Le cose cambiano. Dopo lo scoprirsi gay nei testimoni di Geova
Testimonianza di Stefano per lo speciale “Le cose cambiano”, pubblicata sul sito di Riforma, settimanale delle chiese evangeliche battiste, metodiste, valdesi, il 26 novembre 2013
“Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore” (1 Giovanni 4,8). Nel mio cammino di vita fino ad oggi, ho avuto modo di sperimentare su me stesso quanto vere siano queste parole scritte dall’apostolo Giovanni.
Nasco ormai quasi trentasei anni fa in una famiglia di testimoni di Geova. Questa condizione mi ha donato l’opportunità di conoscere la Bibbia e di crescere con delle linee guida etiche e morali molto chiare, mi ha anche dato la possibilità di trascorrere l’infanzia in un ambiente sereno e accogliente, dove c’era sempre qualcuno che si prendeva cura di te.
Ho memoria che sin dall’età di sei anni i miei pensieri fantastici si orientavano verso la condivisione della vita con una persona del mio stesso sesso e, nella mia mente di bambino innocente, questo pensiero mi appariva come assolutamente naturale e non riuscivo a concepire che potesse essere altrimenti. Crescendo mi pareva di capire che questa mia realtà interiore doveva rimanere tale, doveva rimanere sotterranea, perché non era contemplata nella realtà di vita che mi era stata proposta come modello di riferimento.
Durante la fase adolescenziale avvertii spesso la sensazione di isolamento che si può provare in uno stato di diversità: diversità religiosa e diversità di orientamento. Molto spesso avevo la sensazione di non poter essere capito e quindi sviluppai una sorta di sdoppiamento del mio essere: una parte nascosta e una parte esposta. Vivevo spesso in una forma di dissociazione dalla realtà.
La fine dell’adolescenza mi portò ad allontanarmi dalla fede, sentivo forte l’attrazione per la sperimentazione di tutte quelle “cose” che “il mondo” proponeva. Anche perché nella comunità religiosa in cui ero cresciuto sentivo di non poter esprimermi in modo completo.
Così, nello sperimentare nuove esperienze, segnatamente nell’ambito dei divertimenti, sentii sempre una forma di inquietudine che mi accompagnava, mi sembrava che esse fossero come un fuoco intenso che consuma la paglia, brucia forte per un momento e dopo scompare, lasciando dietro di sé vuoto e desolazione. Ero diventato egoista e poco capace di vedere l’altro.
All’età di ventotto anni conobbi per la prima volta il nascere in me di una forma genuina di amore. Portava con sé il viso molto espressivo di un ragazzo con una storia difficile e molto, molto lontana dalla realtà che io avevo conosciuto fino ad allora. Fin dal primo momento mi parve chiaro che vivere quella storia era la cosa giusta. Gli anni di relazione che seguirono furono molto intensi, molto veri e a tratti molto difficili. Provai l’esperienza di confrontarmi veramente con la sofferenza e con l’impossibilità di comunicare il mio stato a nessuno. Il mio egoismo faceva fatica a passare e spesso non riuscivo a comprendere gli stati d’animo della persona che avevo accanto.
Una notte in cui tutto mi sembrava buio e senza via d’uscita, laddove mi pentivo persino di essere nato, sentii come la sensazione di una voce che mi chiamava. Sentii che dovevo provare a fare quello che non avevo mai fatto: pregare. Fu la prima vera preghiera della mia vita. Era l’estate del 2012. Pregai Colui che conoscevo con il nome di Geova.
Provai da allora una forza nuova, una forza che mi permise di cambiare gradualmente, con dolcezza e delicatezza, dall’interno. Cominciavo a vedere le cose in modo diverso e soprattutto sentivo aprirsi dei varchi di luce nel mio essere.
Ora il tipo di forza non era quello del fuoco di paglia di cui parlavo prima, ma più simile a quella del roveto ardente visto da Mosè, un fuoco che non consuma, ma che purifica, che dona vita.
La mia relazione con Luiz assunse una forma nuova, più luminosa, divenne un autentico percorso di risalita verso la luce. Questo ci ha permesso di conoscere persone nuove e autentiche che ancora oggi ci sono accanto in questo cammino. Ancora non sappiamo esattamente dove questo cammino condurrà, ma il desiderio è quello di poter condividere con altri quello che il nostro Padre Celeste può fare per tutti coloro che lo desiderano.
Il desiderio è quello di valorizzare le esperienze di sofferenza e di esclusione poiché è da queste realtà che si possono formare individui che capiscono l’amore e l’accoglienza e che sono in grado di entusiasmare il prossimo.
L’invito che mi sento di rivolgere a tutte le comunità religiose è dunque questo: la religione ha il compito di portare la speranza e la luce fra gli uomini. Concentriamoci nel cercare veramente di capire il prossimo e non chiudiamo gli occhi di fronte a tipi di amore che possono diversi da quelli proposti dai modelli millenari. Cerchiamo di capire situazioni e realtà nuove. Nessuno deve rimanere indietro o escluso. Non permettiamo che qualcuno abbandoni la fede perché si sente rifiutato o escluso. Laddove il vero amore si sviluppa, là ci può essere la presenza del Signore.