Le iniziative per le persone LGBT delle università gesuite negli Stati Uniti
Articolo di Hans pubblicato sul blog Dos Manzanas (Spagna) il 23 maggio 2016, liberamente tradotto da Dino
In Spagna (e anche in Italia) può sembrare strano che un’università cattolica offra copertura ad azioni o gruppi LGTB. Per quel che ne sappiamo, di fatto nessuna università cattolica spagnola ( o italiana) annovera un gruppo LGTB pubblicamente definito come tale. Tuttavia, andando negli Stati Uniti troveremo una realtà piuttosto diversa, addirittura sorprendente.
Uno sguardo alle università cattoliche rette dalla Compagnia di Gesù negli Stati Uniti mostra un vistoso riconoscimento pubblico della realtà LGTB attraverso diverse iniziative con tanto di appoggio istituzionale. Tra di esse segnaliamo in primo luogo IgnatianQ, una “Conferenza Ignaziana di LGTBQ e alleati”: consiste in un incontro annuale diretto da studenti e comprende l’insieme delle università gesuite negli Stati Uniti. Il suo obiettivo è “focalizzarsi sulle intersezioni tra fede, sessualità e giustizia sociale nel contesto di un campus gesuita. IgnatianQ spera di educare la persona nella sua integralità, creando spazi sicuri per il dialogo, la riconciliazione, la comprensione, la crescita e la formazione di comunità. L’incontro annuale offre agli studenti l’opportunità di costruire la propria rete di appoggio con altri studenti di istituzioni gesuite in tutto il Paese mentre proseguono il loro lavoro LGTBQ nei rispettivi centri”.
Queste riunioni hanno avuto inizio nel 2014 alla Fordham University. L’anno scorso si sono tenute a Georgetown, una nota università di cui parleremo in seguito (dove ha studiato l’attuale re Felipe VI) e quest’anno presso la Seattle University, dall’1 al 3 aprile.
L’esempio di Georgetown
Le riunioni di IgnatianQ non sono assolutamente qualcosa di isolato; al contrario, costituiscono un passo avanti nella visibilità LGTB nelle università gesuite negli Stati Uniti, di cui un esponente fondamentale, nella già citata Università di Georgetown, è il LGTBQ Resource Center. Attivo dal 2008, il LGTBQ Resource Center è stato il primo centro di questo tipo. Di se stesso dice “di essere al servizio di persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer e in ricerca”: secondo il suo opuscolo ha una notevole attività. Ospita vari gruppi “informali”, con una grande varietà di partecipanti: donne LGTBQ e persone transessuali, bisessuali e asessuali. Tra le sue iniziative vi sono giornate di ritiro, simposi e incontri. Spicca ad esempio Journeys (Viaggi), un ritiro per giovani LGTB che ha come scopo “condividere esperienze e riflettere sull’individuo e la formazione di comunità. Mediante la riflessione individuale e condivisa sulle proprie esperienze di vita, gli studenti possono sviluppare una stima e un rispetto autentici per quello che sono e per tutto quello che non sono”. Possiamo ricordare anche OUTober, una serie di azioni di visibilizzazione degli studenti LGTB e di presa di coscienza della propria realtà, con un denso programma di attività.
Comunque, la cosa che ci sembra ancor più significativa è la visibilità tramite video e campagne pubbliche. Abbiamo così la campagna I am (Io sono) che fa parte delle azioni di OUTober e ha come obiettivo che le persone parlino di se stesse e delle “molteplici identità” che le definiscono. Vediamo dei ragazzi parlare e definirsi come LGTB ma, più significativo ancora, troviamo alcuni docenti, compreso uno dei decani della School of Foreign Service (Scuola di Servizio per l’Estero), Samuel Aronson. Georgetown ha partecipato anche alla campagna It Gets Better (Va meglio) con un video in cui vari studenti si definiscono LGTB e incoraggiano ad accettarsi.
Così hanno avuto invitati di spessore: Ben Cohen, un giocatore di rugby eterosessuale che è molto conosciuto per il suo attivismo a favore dei diritti LGTB; Simon LeVay, uno degli scienziati che a suo tempo ha studiato le possibili basi biologiche dell’omosessualità; Joe Solmonese, che è stato presidente di Human Rights Campaign, o James Alison, sacerdote cattolico apertamente gay.
Richiama attenzione anche l’aiuto economico, dato che nel 2012 una donazione di un milione di dollari da parte di Paul J. Tagliabue e di sua moglie Chandler ha consentito la creazione della Tagliabue Initiative for LGBTQ Life: Fostering Formation and Transformation (Iniziativa Tagliabue per la Vita LGBTQ: Promozione della Formazione e della Trasformazione), che fa parte del LGTBQ Resource Center: “Il centro è ispirato dai principii cattolici e gesuiti, dal rispetto della dignità di tutti e dall’educazione della persona nella sua completezza e abbiamo il grande piacere di dare aiuto con i suoi servizi, che offrono un ambiente sicuro, inclusivo e rispettoso per gli studenti LGTBQ”.
Questa trasformazione di Georgetown in università LGTB-friendly ha richiamato ad esempio l’attenzione del New York Times che le ha dedicato un reportage nel 2013, quando venne eletto presidente degli studenti Nate Tisa, apertamente omosessuale. In questo servizio sorgeva una domanda ovvia: com’è possibile una tale visibilità in un’università che si definisce cattolica e pertanto deve sottostare alla dottrina vigente? Ovviamente le proteste di gruppi conservatori non sono mancate, compresa una petizione indirizzata allo stesso arcivescovo di Washington, che però non sembra aver sortito alcun effetto. In questo senso, uno sguardo più attento mostra come venga posta attenzione al linguaggio; in nessun momento viene messa in discussione la dottrina: si parla di “autenticità”, di “accettazione di se stessi”, di parlare di “tutto quello che uno è e non è” e ci si riallaccia alla tradizione gesuita, che certamente insiste molto sulla conoscenza di sé. In questo senso Todd A. Olson, decano degli studenti, già aveva affermato nel citato reportage del New York Times che l’attenzione nei confronti delle persone LGTB costituiva parte della cura personalis radicata nella tradizione ignaziana. Che la conclusione, per molti, sia di arrivare ad un punto diverso da quello indicato dalla dottrina è un altro discorso, che si affida alla coscienza personale, e anche questo rientra molto nella tradizione ignaziana…
Un esempio che si è diffuso
Peraltro, anche se è stata la prima, Georgetown non è l’unica università gesuita negli Stati Uniti ad avere un’esplicita attenzione alla realtà LGTB. Ad esempio, l’Università Loyola di Chicago ha una sezione di “iniziative LGTBQ”. Troviamo un riconoscimento istituzionale della realtà LGTB anche nella Fordham University di New York, già citata come prima sede ospitante delle conferenze IgnatianQ; ci sono iniziative simili anche in università emblematiche come la Marquette o il Boston College.
In definitiva, se il riconoscimento pubblico della realtà LGTB in una università cattolica (incluso l’aspetto istituzionale) appare in Spagna ancora molto lontano, è chiaro come altrove da vari anni stia avvenendo qualcosa di molto diverso.
Testo originale: Notable visibilidad LGTB en universidades jesuitas de Estados Unidos