Le lezioni di vita di Pasolini, quando il dolore si trasforma in scrittura
Riflessioni di Francine De Martinoir pubblicate sul settimanale cattolico La Croix (Francia) il 15 Ottobre 2015, liberamente tradotte da Rita
La mattina del 2 Novembre 1975, Pier Paolo Pasolini fu ritrovato assassinato sulla spiaggia di Ostia, vicino Roma. Aveva 53 anni. Per lungo tempo dopo la sua morte, così come in vita, lui e la sua opera, sia letteraria che cinematografica, hanno sofferto di un’immagine semplificata, di una riduzione a cliché predeterminati: la rivolta, la militanza, l’omosessualità…
E poi la memoria di Pasolini è affondata nell’indifferenza. Ma ecco che, catturato dal suo messaggio, un giovane 23enne è andato sulle tracce di colui che ha rinominato «il santo senza nome in calendario». Eliminando i luoghi comuni, gli stereotipi e le vecchie ubbie, Pierre Adrian ha voluto ritrovare la pista Pasolini. O meglio, due piste.
Anche se l’Italia del 2014 o del 2015 non ha più nulla a che vedere con quella degli anni ’60 o ’70, lui ha visitato i luoghi che lo scrittore detestava, incontrando gli ultimi testimoni della sua esistenza, andando a scavare nei sentieri della sua creazione. Ha ritrovato le vestigia del suo vissuto e delle sue sofferenze: l’infanzia in Friuli con un padre autoritario e violento, la morte di suo fratello Guido durante la Resistenza, la sua relegazione ai margini a causa della sua omosessualità, la riprovazione dei suoi amici che gli valse l’espulsione dal partito comunista. Soprattutto, Pierre Adrian è giunto a captare quel misterioso crogiolo ove il dolore si trasforma in scrittura.
In Friuli, dove tutto è iniziato, ha visitato la cappella dove Pier Paolo ebbe le sue prime « epifanie ». L’Italia è cambiata? Per Pierre Adrian, è diventata quello che Pasolini temeva e di cui profetizzava il trionfo: l’avvento di una società consumistica e materialista di compiaciuti borghesi piccoli piccoli, con un paesaggio ed un’architettura sempre più squallidi, con la trasformazione in esseri senza cuore.
Al fine di comprendere più profondamente l’universo Pasolini, ascolta Keith Jarrett, come Nanni Moretti lo faceva nel suo Caro diario… Ma il punto focale della sua opera e del suo viaggio interiore è in una sceneggiatura, San Paolo, progetto di un film mai realizzato per mancanza di finanziamenti (NdT in verità fu a causa dell’accusa di vilipendio) e che avrebbe dovuto essere il seguito di Il vangelo secondo Matteo, il più bel film mai realizzato sul Cristo.
L’opera contiene anche un secondo percorso per Pierre Adrian, che si autodefinisce «un cristiano della settimana Santa… Un cristiano triste, risvegliato talvolta da un lampo di Resurrezione» per il quale «la lettura della Passione è la più sconvolgente di tutte le letture », confronta la sua fede a quella di Pasolini su Dio, la sua angoscia esistenziale a quella dello scrittore.
Constata che, per il suo maestro di vita, se il Cristo delle cappelle friulane è quello della tradizione, quello di Roma rivela la sua melanconia divenendo una figura rivoluzionaria, in opposizione al tradizionalismo di molti credenti. Pasolini è per lui un suo contemporaneo che condivide le sue stesse delusioni e la sua stessa sete del trascendentale.
Nel 1964, scrisse a P. Rossi che, caduto da cavallo non poteva rimettessi in sella: « Io non posso né montare sul cavallo dei Giudei né su quello dei Gentili, ne sprofondare per sempre nella terra di Dio. »
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Pierre Adrian, La piste Pasolini, Éditions des Équateurs , 190 pages
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Testo originale: Pasolini, leçons de vie