Le questioni transgender interrogano le Chiese. La storia di Erin
Riflessioni di Erin Swenson tratte dal sito Trans Faith Online (Stati Uniti), del maggio 2001, liberamente tradotte da Giacomo Tessaro
Oggi, mentre molte Chiese e gruppi religiosi lottano aspramente sulle problematiche della sessualità e della fede, pochi hanno grattato la superficie delle molte questioni che circondano l’identità di genere.
Eppure le questioni sul concetto di genere sono potenzialmente più difficoltose di quelle sulla sessualità, perché il dibattito sull’identità di genere riguarda non tanto come ci comportiamo, bensì quello che siamo. L’identità di genere è distinta dall’orientamento sessuale, e più basilare di quello. La nostra sensazione di essere maschio o femmina precede la nostra attrazione affettiva.
Quello che siamo è più basilare di cosa facciamo o da chi siamo attratti; è quindi, in molti sensi, una problematica più esplosiva e pericolosa per le Chiese e le comunità che amano essere omogenee.
Molti anni fa ho affrontato la dura prova della difesa della mia ordinazione come pastore presbiteriano. Questa sfida derivava dalla mia decisione di cambiare genere dopo 23 anni di pastorato come uomo. Dopo sedici mesi di dibattiti e aspre discussioni, nell’ottobre del 1996 il Presbiterio dell’area metropolitana di Atlanta votò per accettare la mia ordinazione, facendo di me la prima pastora di una Chiesa protestante storica ad aver cambiato genere e aver conservato la sua ordinazione.
Per tutta la vita avevo mantenuto una facciata di normalità nella disperata speranza di non far vedere a nessuno la mia terribile verità: che volevo essere donna. Questo desiderio sembrava del tutto contrario alla ragione, contrario a tutto ciò che sembrava giusto e buono per me. Non riuscivo a spiegare quei sentimenti, ma sapevo che venivano dal più profondo del mio essere.
Pregavo di essere liberato da quello strano anelito, ma senza risultato. Fin da ragazzo sono stato fortemente coinvolto nella Chiesa. Venni eletto nel consiglio giovanile, nel quale fui incoraggiato a diventare un pastore regolare. Ero membro del gruppo di lottatori del mio liceo e avevo molti hobby tipicamente maschili, come la falegnameria e l’elettronica. Eppure non potevo scacciare quella sensazione che la realtà di chi sapevo di essere non quadrava con il corpo maschile in cui ero nato.
Spesi enormi quantità di energia cercando di diventare l’uomo con cui la Chiesa e la società volevano avere a che fare. Mi sposai relativamente giovane, sperando, inutilmente, che il matrimonio mi avrebbe finalmente dato qualche risposta e liberato dalle mie ansie. Non solo iniziai una psicoterapia, ma divenni io stesso un terapista nel tentativo di capire e venir fuori dalla mia situazione.
Lottavo con la depressione e mi immergevo nel lavoro e nelle responsabilità per nascondermi dalla terribile verità che mi portavo dentro. Mi impegnavo con la massima diligenza al compito di vivere e lavorare come un uomo, e per molti anni ci riuscii. Convinsi perfino me stesso che avrei potuto nascondere quella verità per tutta la vita, che sarei morto con il mio segreto ancora intatto.
Ma dovetti pagare pedaggio alla depressione e alla negazione. Oltre alla mia salute, ne risentì il mio matrimonio, che si ruppe, non a causa dei miei “problemi di genere” ma per la mia determinazione a negare la realtà, che aveva distrutto il rispetto per me stesso e per la mia compagna. Finalmente decisi che non potevo sostenere più a lungo la menzogna.
C’è una certa ironia nel fatto che, da quando ho deciso, pagando di persona, di farla finita con l’inganno, dedicandomi a una vita più autentica e veritiera verso me stessa e verso Dio, sono stata spesso accusata di inganno. Mi hanno detto che le mie azioni sono una negazione del chiaro insegnamento delle Scritture e della bontà della mia creazione, che sto mentendo a me stessa e a Dio, che sto facendo vergognare la Chiesa e confondendo altri cristiani che forse stanno lottando con la loro identità sessuale. Queste accuse sono spesso intrise di una rabbia che trovavo difficile da comprendere.
Mi chiedevo perché la mia decisione dovesse scatenare una così violenta opposizione. Molte volte mi è parso di dovermi difendere dalla rabbia esistenziale dei miei accusatori più che da un vero argomento teologico, come se la realtà di ciò che sono, una realtà che riveste la mia anima, minacciasse il fondamento stesso di ciò che crediamo.
Ma, lottando con queste domande, sono arrivata a capire che tale rabbia non è solo la rabbia dei miei accusatori o della mia Chiesa; per lungo tempo è stata anche la mia rabbia. Ho passato i migliori anni della mia vita spremendo le mie energie per portare avanti i miei compiti di marito, padre e pastore contro una realtà personale che sembrava del tutto inaccettabile non solo agli altri, ma anche a me stessa e a Dio. Mi pareva di essere stata esclusa dal regno dei cieli, che Dio mi tesse tirando una specie di scherzo cosmico.
Per gran parte della mia vita ho pensato di essere sola in queste lotte; negli anni invece ho appreso che molte altre persone sperimentano lo stesso intenso conflitto tra le tradizionali aspettative di genere e il loro personale senso di identità. Coloro la cui identità di genere non si adatta facilmente alle rigide categorie disposte dalla nostra cultura sono chiamati transessuali o transgender.
Non sono così arrogante da credere che Dio in qualche modo mi abbia creato transgender per “insegnare qualcosa alla Chiesa”. Credo però che Dio utilizzi le nostre vite per realizzare i suoi propositi. Credo anche che la lotta della Chiesa con me e gli altri transgender sia parallela alla lotta della Chiesa con se stessa. In un certo senso anche la Chiesa ha lottato con un cambiamento di genere. La realtà di noi transgender obbliga la Chiesa a confrontarsi con noi, che lo voglia oppure no.
Riconsiderare il concetto veterotestamentario di sessualità mi ha aiutato a fare luce su questo. Nel mondo antico gli organi sessuali maschili erano visti come sacri in un modo che trascendeva da ogni altro aspetto della biologia umana. Si credeva che, nell’atto sessuale, il maschio depositasse un completo, microscopico essere umano nel ventre della donna, perché se ne prendesse cura e lo nutrisse mentre cresceva fino alle dimensioni giuste per nascere. Ovviamente, in quanto sorgente della vita tutta, gli uomini erano onorati.
Questa antica visione “scientifica” si inseriva molto bene nella cultura fortemente patriarcale in cui gli uomini erano il centro della vita sociale e religiosa. Come molte antiche culture patriarcali, gli antichi Ebrei vedevano le donne non solo come cittadine di seconda classe ma come persone di un ordine del tutto diverso, come vite degne di essere possedute e utilizzate dagli uomini.
Ma il distacco da questo mondo patriarcale comincia nei primissimi capitoli delle nostre Scritture. Ambedue i racconti della creazione che ci arrivano dai nostri progenitori ebrei in Genesi dicono qualcosa di radicale per i loro tempi. Ambedue le storie, in modi diversi, pongono uomini e donne vicini gli uni alle altre, trattando di loro insieme (“Maschio e femmina li creò”) o operando un chiaro collegamento biologico tra i corpi degli uomini e i corpi delle donne (la costola di Adamo).
In Gesù, Dio affronta di nuovo la cultura patriarcale e gli atteggiamenti religiosi. Le donne, prima viste solamente come delle proprietà soggette alla volontà dei loro mariti-padroni, vengono considerate da Gesù come esseri umani degni di rispetto. Nelle sue discussioni con i farisei sul divorzio Gesù non fa che chiarire questo punto. Ancora più profonda si rivela la sua amicizia con le donne, e la loro valorizzazione nel suo ministero. Nonostante gli insegnamenti sulla vita famigliare del primo Paolo, la Chiesa primitiva continuò chiaramente a conferire incarichi di rilievo alle donne.
Oggi, due millenni dopo, lottiamo ancora con il patriarcato. Nostro malgrado, molti, forse tutti noi continuiamo a ritenere lo stato maschile superiore a quello femminile. Niente mi ha illuminato in proposito più della mia transizione da un ruolo sociale all’altro. Durante i primi mesi di vita da donna avevo il problema di urtare le persone per strada. Sulle prime pensai fosse semplicemente una specie di vertigine emotiva dovuta al fatto di aver finalmente permesso a me stessa la piena espressione della mia vera identità. Ma cominciai a notare che quelle collisioni mi capitavano quasi esclusivamente con uomini. Ho dovuto fare molta autoanalisi prima di capire gli gli uomini e le donne attraversano gli spazi pubblici in maniera diversa: gli uomini tendono a camminare dritti verso la loro destinazione, mentre le donne tendono a seguire percorsi più tortuosi. Un giorno ho capito improvvisamente, dopo l’ennesima collisione con un uomo, che gli uomini hanno la precedenza sulle donne nello spazio pubblico. Lo stesso uomo che tiene aperta la porta per me, il momento dopo mi urta sul marciapiede. Ho capito che gli uomini hanno il diritto di passare davanti! Essendo abituata a percorrere le strade come un uomo, ora le stavo percorrendo come un uomo quando gli uomini si aspettavano che le percorressi come una donna. Da qui le collisioni!
Per tutta la mia vita ho lottato, anche con Dio, con la differenza tra quello che appariva di me, come venivo trattata dagli altri, e come mi sentivo dentro di me. I miei sentimenti patriarcali contribuivano alla mia sensazione che fosse in qualche modo una vergogna sentirsi donna e volere disperatamente essere donna. Sapevo per certo che sarei diventato un miserabile emarginato se solo avessi rivelato la mia terribile verità. Ma attraverso la storia Dio ci ha invitati a distaccarci dall’antico mito che l’uomo e la donna sono di una sostanza differente e perciò profondamente diversi l’uno dall’altra.
Dio ha continuato a guidarci fuori dal pregiudizio e dall’ignoranza, di cui siamo tutti vittime, verso la luce della verità. La Chiesa, un’istituzione caratterizzata dal suo forte patriarcato (nonostante sia la Sposa di Cristo) è entrata nell’epoca in cui deve affrontare la decostruzione del genere per come l’abbiamo conosciuto. La mia richiesta che la Chiesa riconosca la mia realtà di transgender arriva in un’epoca in cui noi, come la Chiesa, siamo disorientati dal nostro stesso essere transgender.
Mentre i e le credenti continuano a fare la pace con la realtà transgender e con le molte differenti varietà di espressioni di genere che si trovano tra di noi, ci sono altre sfide che ci aspettano. Molte Chiese accoglienti hanno aggiunto i transgender alle loro pubbliche dichiarazioni di inclusività verso lesbiche, gay e bisessuali, senza accorgersi che i problemi sollevati dalle persone transgender sono molto diversi. Le Chiese che hanno imparato a tollerare le differenze nelle espressioni di affetto nel privato della camera da letto possono trovare più difficile comprendere e accettare le nostre espressioni pubbliche che non collimano con le espressioni culturali.
Le domande sul genere, e i miti profondamente radicati che lo circondano, certamente provocheranno paura e rabbia all’interno della Chiesa.
Siamo abituati a occuparci del nostro corpo (minding our bodies) e ci sentiamo molto meno a nostro agio nell’incarnare la nostra mente (embodying our minds). La realtà transgender mette tutto questo in discussione e potrà diventare, negli anni a venire, il cuore della lotta.
La verità che noi persone transgender viviamo è una verità che il popolo di Dio sta lottando per comprendere. Non sono mai stata un vero uomo e so che non potrò mai essere una vera donna.
Sono una transgender e lo sarò per sempre. La mia speranza è che anche la Chiesa riconosca la sua natura transgender e scopra in maniera più piena l’amore di Dio per tutti noi, non perché siamo maschio, femmina o perché ci troviamo nel mezzo, ma perché siamo tutti e tutte figli e figlie di Dio.
Testo originale: Body and Soul United