Liberata a Londra la lesbica iraniana Pegah. Rischiava il rimpatrio e la lapidazione
Articolo tratto da Repubblica del 12 settembre 2007
La lesbica iraniana Pegah era fuggita nel 2005 nel Regno Unito dopo che la sua compagna era stata arrestata ed aveva chiesto asilo. Dopo due anni di attesa le era stato negato. Il 13 agosto scorso, infatti, era stata decisa la sua espulsione a Teheran, dove l'attendeva, con ogni probabilità, la lapidazione. Dopo una mobilitazione internazionale è nuovamente libera.
LONDRA – Pegah, la donna lesbica iraniana che dalla Gran Bretagna rischiava l'estradizione nel suo paese e la morte, "è libera". A dare l'annuncio è il gruppo EveryOne, che ha promosso la mobilitazione per la sua vita, e che fa sapere che la donna "si trova a casa di amici a Sheffield".
La notizia della liberazione di Pegah Emambakhsh dal centro di detenzione di Yarl's Wood di Clapham – fa sapere il gruppo EveryOne – è arrivata nella tarda serata di ieri. La sua liberazione, dicono con soddisfazione dall'organizzazione, è frutto della mobilitazione internazionale ha cui hanno aderito migliaia di cittadini e centinaia di associazioni e organizzazioni per i diritti umani.
La donna si era rifugiata in Inghilterra per sfuggire una condanna a morte per omosessualità. Ora il governo britannico ha cambiato posizione ed il suo status non è più quello di persona accusata di immigrazione clandestina ma di rifugiata in attesa di permesso di soggiorno. Non sarà quindi costretta a tornare in Iran.
L'appello di Poettering a Brown: "Trattare con urgenza il caso". In una lettera al primo ministro britannico Gordon Brown il presidente del Parlamento Europeo Hans Gert Poettering ha chiesto ufficialmente al governo britannico di "trattare con urgenza il caso di Pegah Emambakhsh e agire in modo tale che la signora non venga rimandata nel suo Paese d'origine, dove l'attenderebbe la morte certa". Un appello, quindi, a trovare una soluzione certa e definitiva per la donna.
"Ora che Pegah è fuori del carcere possiamo tirare un sospiro di sollievo – ha detto Matteo Pegoraro di EveryOne – queste ultime ore sono state piene di tensione, eravamo preoccupati per la salute di Pegah e ci attendevamo una risposta da Yarl's Wood, dopo le nostre ultime campagne per la sua liberazione".
Una campgana internazionale. La campagna lanciata via Internet dal gruppo EveryOne ha raccolto oltre 20 mila adesioni e sono giunti nel carcere inglese – secondo quanto riferisce lo stesso gruppo – quasi 30 mila mazzi di fiori indirizzati alla donna. Nell'arco di due settimane – conclude EveryOne – Pegah verrà ascoltata dall'Immigration Court, ossia la Corte d'Appello inglese, cui i legali si sono rivolti per una definitiva risoluzione del caso.
"Vigileremo con attenzione – osserva Pegoraro – rimanendo accanto a Pegah, ansiosi di conoscere la decisione finale della Corte in merito alla sua richiesta di asilo come rifugiata nel Regno Unito".
Nel 2005 la fuga da Teheran. La donna, il cui caso ha avuto un'enorme eco internazionale – anche l'Italia non aveva escluso di accoglierla e concederle asilo per evitarne la condanna a morte in patria – era fuggita nel 2005 nel Regno Unito dopo che la sua compagna era stata arrestata, ed aveva chiesto asilo. Asilo che dopo due anni di attesa le era stato negato. Il 13 agosto scorso, infatti, era stata arrestata e l'Home Secretary, Jaqui Smith, aveva deciso la sua deportazione a Teheran, dove l'attendeva una condanna certa ad almeno 100 frustate e, con ogni probabilità, la lapidazione.
Dopo molti momenti di tensione e parecchie notti in bianco, in collegamento continuo con l'Inghilterra, finalmente la buona notizia, ricorda ancora Pegoraro. "Ora restiamo in attesa di una risposta chiara da parte del governo britannico sulla sua sorte definitiva. Vigileremo perché non si sa mai cosa può accadere e speriamo che il governo italiano, che si è interessato al suo caso, non abbassi la guardia" aggiunge Pegoraro.
"La storia di Pegah è esemplare ma è solo la punta di un iceberg di moltissimi casi simili, ugualmente gravi e disperati, che in Europa non devono più restare ignorati" conclude. […]