Mamma, papà, sono gay!
Relazione di Paola Dall’Orto letta all’incontro “la Relazione in famiglia” del 1 febbraio 2006 tratta da www.nuovaproposta.it
Come reagiscono i genitori quando scoprono che il loro amato figlio è gay o lesbica e che, salvo clamorose sorprese, non gli darà mai un nipotino in maniera tradizionale?
Tutti sappiamo come non sia sempre facile per i genitori porsi in relazione con i ragazzi in età adolescenziale. I genitori, senza accorgersene, trovano dinanzi a sè non il bambino o la bambina che conoscevano, dipendente quasi in tutto e per tutto, ma una persona con pensieri e volontà propri. Una persona poco conosciuta e difficile da conoscere, anche a causa dei silenzi tipici dell’adolescente per cui spesso diventa difficile stabilire una comunicazione vera.
A maggior ragione, ancora più complessa è la comunicazione con i ragazzi o le ragazze che percepiscono dentro di sé lo strutturarsi di un identità che include un orientamento omosessuale.
Il ragazzo, infatti, conosce la condanna sociale che grava sull’omosessualità e sa di non potere rispondere a molte delle aspettative genitoriali. In una famiglia rigida che non accetta orientamenti non conformi ai modelli proposti, difficilmente il ragazzo/a tenderà a parlare di sé; più facilmente si chiuderà in se stesso e/o assumerà atteggiamenti vari e di ribellione.
È più facile che i ragazzi si aprano al dialogo con i genitori in una famiglia che per mentalità, cultura, o sensibilità, è più disposta ad accettare l’alterità dei figli.
La speranza della possibilità di un dialogo è sicuramente una delle molle che favorisce nei ragazzi l’apertura ai propri genitori.
Ciò non significa che la notizia dell’omosessualità del proprio figlio/a non sconvolga, ancora oggi, i genitori, anche i più disponibili all’ascolto, come un fulmine a ciel sereno.
Posso parlare della mia esperienza acquisita all’AGEDO, in tanti anni, durante i quali molto è cambiato nel senso che, attualmente, si stanno aggiungendo alla maggioranza di genitori che soffrono e reagiscono molto male, anche i genitori che ti chiedono come fare per aiutare il figlio/a a socializzare, perché troppo giovane per potere frequentare i gruppi già costituiti. (Es padre che chiede per il figlio di 14 anni)
Come prima reazione, per il genitore è in genere un vero e proprio shock; si chiede il perché dell’omosessualità del proprio figlio o della propria, il perché doveva capitare di essere omosessuale proprio a lui o proprio a lei, all’interno di una “famiglia cosiddetta per bene”. Di solito la colpa viene attribuita, come sempre,alla madre (anche se le ricerche di Bell e Weinberg lo escludono).
Le reazioni sono anche di paura, di confusione per non sapere come gestire questo nuovo modello, mai sperimentato personalmente, addirittura sconosciuto o conosciuto attraverso volgari rappresentazioni.
Si cerca di evitare di parlarne negando l’evidenza, negando questa realtà crudele – e questo è un atteggiamento molto negativo per il figlio/a che, così, non si sentono riconosciuti.
Si assumono atteggiamenti spesso iperprotettivi per timore che il figlio/a finisca in ambienti loschi, si abbandona persino il ménage familiare per centrare tutta l’attenzione su di lui/lei, spesso in modo pesante anche per il resto della famiglia.
Superato questo primo impatto, che può anche portare a veri e propri scontri fra i coniugi, il genitore si chiede se veramente non sia il frutto di una moda, un atteggiamento per emergere e chiedere attenzione, sicuri dunque che sia una scelta e non una condizione di vita. Si ritiene quindi che si possa, con l’aiuto di uno psicologo o di uno psichiatra, guarirlo da questa malattia narcisistica.
Gli/le si parla a lungo, nella speranza di capire il perché, come mai;(e qui, possibilmente, sono i figli/e a dovere aiutare il genitore sprovveduto a farsi strada nella confusione), ci si creano gravi sensi di colpa, soprattutto per non avere capito prima il suo stato d’animo, lontani da una relazione di aiuto.
Il clima in casa non è dei migliori, ognuno arroccato sulle proprie verità. Forse più che aiutare, si cerca rassicurazione per sé.
Certo, soprattutto nei piccoli centri e paesi il problema si fa più grande, perché ci si vergogna, ci si vorrebbe nascondere, non esistere più. Si va personalmente dallo psicologo per farsi sentire dire che è solo un momento della vita che noi tutti viviamo, soprattutto nell’adolescenza, ma che poi passerà.
Spesso, ancora oggi la diagnosi è di malattia curabile (Vedi Nicolosi – infettivologa Chiara Atzori Ospedale Sacco di Milano).
Sovente i genitori che non vogliono sentire ragioni, mettono in atto ricatti affettivi: “se non la smetti di essere così, vuol dire che non mi vuoi bene – perché hai fatto questa ” scelta” , forse per farmi un dispetto? Ho conosciuto anche genitori che, alla rivelazione in tarda età, hanno molto sofferto per l’insincerità del figlio/a, non tenendo in conto il suo disagio, la sua solitudine e la sua paura di perdere il loro affetto.
Ma ci sono ancora genitori violenti (ragazza di Palermo, ecc.). Ricordiamoci che l’omofobia è una vera e propria malattia psichiatrica.
Malgrado i genitori siano sufficientemente preparati ad affrontare le diverse problematiche legate alla crescita, nessuno mai li ha preparati a una tale eventualità. Davanti ad un figlio che chiede: mamma, papà, come potrò vivere, quali progetti potrò fare per il futuro? (Domande, volendo, comuni a tutti i ragazzi, ma molto più pregnanti e spesso drammatiche per chi dovrà fare i conti con una società omofoba), di fronte a queste domande un genitore non può sfuggire alle proprie responsabilità, non può far finta di non aver capito.
E’ importante, perciò, che i figli sappiano che i genitori ci sono: per ascoltarli, guidarli, aiutarli, sostenerli. Non si smette di essere genitori perché il proprio figlio/a è omosessuale.
I genitori potranno sempre dire al loro figlio/a che sanno benissimo che la sua vita sarà un po più difficile, ma che loro, tra i problemi che dovrà affrontare, non ci saranno, perché avranno riconosciuto ed accettato quello che costituisce per lui una importantissima parte di sé, il suo orientamento.
I genitori hanno una grande opportunità, se sanno coglierla, poiché una differenza forte come l’omosessualità insegna a saper vedere, ascoltare i figli, tutti i figli, dando loro dignità di persona, rispettandoli per quello che sono e non per quello che vorremmo che fossero. Aiuta anche ad allargare la mente a percepire ciò che prima non vedevi, accecato dal perbenismo e dalle stereotipie, in una crescita personale a contatto con il mondo.
Dall’esperienza dell’AGEDO risulta che solitamente l’età in cui i ragazzi giovani hanno il coraggio di confidarsi con i propri genitori si aggira sui 15-16-17 anni.
Divenire adulti significa riconoscere il diritto di essere se stessi. E questo diritto non può certamente essere negato ad un adolescente soltanto perché sente di avere un orientamento sessuale non conforme alla maggioranza.
Potrà così ricercare la propria felicità e realizzazione attraverso la lente dell’omosessualità che include anche l’amore e l’affettività. La consapevolezza di questo diritto è un aiuto alla crescita serena, nell’autostima: permette di vivere senza nascondersi, senza paura di tradirsi con uno sguardo o una frase. Non sarebbe né umano né cristiano.
Chi vive nella paura, solo con difficoltà e sofferenze, non potrà sviluppare una personalità armonica. I ragazzi/e, in genere, parlano con gli amici/he dei loro amorucci, imparano a interagire con l’altro sesso e nessuno chiede loro di tenere nascosta la propria eterosessualità, ma ad un ragazzo omosessuale ciò viene imposto dall’omofobia diffusa; niente di strano se le conseguenze rischiano di essere disastrose (suicidi, abbandono scuola carattere scontroso, tendente alla solitudine ecc.)
La famiglia e la scuola possono fare molto, se vogliono. Compito dei genitori, in generale, è sempre quello di aiutare i ragazzi a crescere e a raggiungere l’autonomia interagendo positivamente col mondo: compito molto più difficile per chi ha figli/e omosessuali, poiché la società ancora non è preparata, anche a causa di grande ignoranza e deleteria dipendenza dalle parole di chi, anticristianamente, si crede di parlare a nome di Dio, influenzando anche chi dovrebbe prendersi in carico il benessere dei propri cittadini.
Sicuramente alcune basi fondamentali dell’ identità sono state elaborate nell’ adolescenza ed è importante che questa elaborazione possa avvenire in un clima sereno di autostima e fiducia.
I genitori di figli/e omosessuali sanno che essi, al pari degli altri, possono essere persone positive, che contribuiscono alla crescita della società e chiedono a testa alta visibilità serena per loro e per se stessi, pari opportunità e diritto di cittadinanza. Erigere steccati serve solo ad isolare e ad escludere.