Mia figlia è lesbica: “aiutatemi a capire”
Lettera di una madre, risponde Umberto Galimberti, tratta da D La Repubblica delle donne n.622 del 8 novembre 2008, p.274
Una madre scrive a una rivista femminile: “Mia figlia mi ha confessato di essersi innamorata della collega… a distanza di tre mesi da questa scoperta, mi sento forse peggio”. Purtroppo ancora oggi affrontare l’omosessualità dei propri figli, per un genitore, non è facile e nel caso delle figlie è spesso complicato dai tanti tabù che ancora circondano l’omosessualità femminile.
Perciò come non comprendere questa madre che, al termine della sua lettera, scrive: “aiutatemi a capire”. E voi, al di là della risposta data da Galimberti, cosa gli avreste risposto? Pensateci! Siamo sicuri che, nei prossimi giorni, altri leggeranno questo post ponendosi le stesse domande.
Si inserisce molto bene nel mondo del lavoro, va a stare da sola e per tre anni più nessun amore. Negli ultimi sei mesi frequenta una notoriamente lesbica e di aspetto molto mascolino al punto tale da essere scambiata per un bel ragazzo… E veniamo al dunque!
Una settimana fa, sollecitata da me che la vedo frequentare sempre più assiduamente questa ragazza, mi ha confessato di essersi innamorata della collega con la quale ha trovato un’affinità totale e per la quale prova le stesse sensazioni che aveva prima provato per il suo ragazzo.
Forse se fosse sempre stata così avrei accettato più facilmente: come può avvenire un cambiamento così radicale in così poco tempo? Sono i miei sessantacinque anni che rendono così dolorosa questa storia? E se solo ora avesse preso coscienza della sua vera identità?
Per ora lo sanno solo gli amici più cari, ma non vuole che lo sappia il fratello: perché? Purtroppo ora capisco di diventare anch’io, persona ritenuta equilibrata, aperta e tollerante e che le sono sempre stata così vicino nei momenti difficili, un altro grande problema per mia figlia che soffre nel vedermi in questo stato.
Mio marito e padre, pur sconcertato e addolorato, cerca, come può, di farmi riflettere e, in modo più razionale, mi dice: “La preferiresti sola e infelice o così?”. Il problema è proprio questo! Sarà veramente felice di questa scelta o in questa ragazza avrà solo trovato un surrogato a quello che non è stata più capace di trovare in un uomo? E perché mi sento così ferita e tradita?
Senza contare poi il risentimento nei confronti della ragazza che ha suscitato il turbamento di mia figlia. Tutta la mia vita professionale è stata a contatto con gli adolescenti e i loro genitori, sempre pronta ad ascoltare e a capire gli altri, aiutatemi a capire me stessa.
Alla base di questa sofferenza c’è il misconoscimento dell’altro, la negazione della sua alterità. Se poi questo altro è nostro figlio o nostra figlia la sofferenza che proviamo dice che ancora non li abbiamo del tutto generati, non li abbiamo davvero staccati da noi, non abbiamo fatto loro dono della loro libertà.
E più atroce è la sofferenza più denota quanto l’attaccamento alle nostre attese e ai nostri desideri è più forte dell’amore che nutriamo per loro, lasciando così intendere che per noi “amore” significa possesso, nel senso che, contrariamente alle apparenze, non riusciamo ad amare davvero chi fuoriesce dalla nostra visione del mondo, non riusciamo ad accettare che non sia quello che è.
Naturalmente, man mano che la nostra sofferenza (sotto la quale traspare inevitabilmente la nostra disapprovazione) si fa manifesta, più radichiamo l’altro nella sua condotta, impedendogli di fatto una riconsiderazione del suo modo di vivere e di amare, perché l’esigenza della libertà, che promuove l’identità e l’individuazione, è decisamente più forte e direi anche più seria di quanto non lo sia condurre una vita come una risposta agli altri.