Nel Regno Unito lo stato regala religiosità alle coppie gay
Alcuni Paesi europei, da ultimo il Portogallo, ammettono al matrimonio civile coppie dello stesso sesso. Altri si limitano ad offrire a tali coppie uno strumento giuridico alternativo da cui derivano analoghi effetti.
Anche nel Regno Unito, dopo il Civil Partnership Act del 2004, due persone dello stesso sesso possono stipulare un contratto di unione civile: nella sostanza, ma non nella forma, un matrimonio.
Ora il Ministro delle pari opportunità Lynne Featherstone ha dichiarato in Parlamento che chi lo desidera può introdurre nella cerimonia civile «letture, musiche e simboli religiosi».
Dunque il governo britannico non obbliga le chiese ad ospitare riti di unione civile, né tanto meno a celebrare matrimoni religiosi per coppie dello stesso sesso, ma si dichiara disposto ad includere elementi religiosi nelle cerimonie civili se così vogliono i contraenti.
Non è dunque più soltanto in discussione quale libertà lo Stato riconosce alle chiese: e cioè se lo Stato possa imporre donne prete e coppie gay adottive ai cattolici, matrimoni monogamici ai musulmani e matrimoni gay agli anglicani. Siamo di fronte ad un’ulteriore frontiera.
È in questione se lo Stato debba consentire ai cittadini di usare lo spazio civile per quella creatività religiosa, per quella novità teologica, per cui non vi è spazio nelle chiese ufficiali.
Se la mia chiesa non mi fa sposare il mio compagno dello stesso sesso, non solo lo Stato mi riconosce quella unione, ma mi riconosce persino la mia motivazione religiosa e il mio rito.
Due secoli fa toccò al matrimonio civile rompere gli schemi. Ora tocca alle unioni civili di coppie dello stesso sesso. Dovrà lo Stato fare spazio a inedite forme di eretiche unioni religiose?