Alla festa delle famiglie non ci sentiamo invitati. Un gay cattolico scrive a Benedetto XVI
Lettera aperta di Gianni Geraci del gruppo Guado di Milano tratta dal settimanale Vita, 17 Maggio 2012
Caro papa, qualche giorno fa un’amica mi ha detto queste testuali parole: «Arriva a Milano il vostro nemico e voi non fate niente?». E davvero lei è convinta che tu sia un “nemico dichiarato” delle persone omosessuali come me.
Vedi! Si trattasse di una persona un po’ esaltata non darei troppo peso alle sue parole. Ma si tratta di una persona equilibrata, che ha due figli, che si avvia ormai verso l’età della pensione e che va a messa tute le domeniche.
Se anche lei ti percepisce come un “nemico” delle persone omosessuali credo che ci sia davvero qualche cosa che non va. Ho provato a fare un esame di coscienza (perché quando si debbono individuare le cause di un fenomeno occorre sempre partire dalle proprie responsabilità) e mi sono accorto di vivere la tua visita con una certa freddezza, la stessa freddezza che vedo in molte persone che mi vivono vicino.
Vedi, caro papa, tu vieni a Milano per il VII incontro mondiale delle famiglie, e io ho sempre pensato che la famiglia fosse il luogo in cui si vive la solidarietà all’interno di una rete di relazioni e quindi, ho sempre pensato di essere parte di numerose famiglie: la famiglia umana, innanzi tutto; quella grande famiglia che è la chiesa in cui, seguendo le parole di Gesù, siamo tutti figli di uno stesso Padre e, quindi, siamo tutti fratelli; la mia famiglia d’origine: la mia mamma, mia sorella con mio cognato e i miei nipoti; la famiglia che ho costruito con il mio compagno nei dieci anni di convivenza che abbiamo alle spalle.
Ecco però arrivare tanti signori precisini che si mettono a dire che «occorre chiamare le cose con il proprio nome» e iniziano a ripetere che: «una famiglia è tale solo se poggia su tre fattori inseparabili: la differenza sessuale (uomo-donna), l’amore come dono di sé e la fecondità».
E così tagliano fuori dalla grande festa che si farà a Milano non solo me e il mio compagno, ma anche le persone anziane che non possono avere figli, i vedovi e le vedove e tutte le persone sole. Mi verrebbe da dire che tra gli esclusi, con una definizione così ristretta, ci sarebbero anche i religiosi e i sacerdoti che fanno la promessa di celibato, ma questi credo che non si accorgano della discriminazione, perché, di vivere in un certo modo l’hanno scelto loro.
E così, caro papa, alla grande festa che ci sarà a fine mese, io non mi sento invitato. E come vuoi che sia contento se mi accorgo che vicino a casa mia c’è una grande festa a cui nessuno pensa di invitarmi?
Il problema grande, però, non sono io, perché la vita di preghiera che, per fortuna, il Signore mi ha regalato, mi permette di non soffrire più di tanto per le cose che gli uomini dicono quando credono di parlare in nome suo. Il problema sono quelli che sono ancora convinti che essere cattolici significhi dimenticarsi di avere una coscienza e prendere per oro colato tutto quello che i tuoi ministri ci dicono.
Questi hanno iniziato a pensare che tu sia un nostro nemico e, purtroppo, non trovano nessuno che dica con forza che, tra te e quelli come me che sono omosessuali, non ci deve essere nessuna inimicizia, perché altrimenti tu non saresti il papa di una chiesa che ha deciso di essere cattolica, cioè universale.
E’ per questo che, adesso che vieni a Milano, ti dico che, nonostante il senso di esclusione che continuo a provare, voglio accoglierti come un grande amico e voglio partecipare, come un parente lontano che gioisce per delle nozze a cui non è invitato, alla festa che farete.
Ma è ancora per questo che chiedo anche a te di fare un piccolo passo e di dire parole di amicizia anche per i tanti che, come me, quando sentono parlare di “famiglia”, di “lavoro” e di “festa” si sentono un po’ tagliati fuori.
Non te lo chiedo per me, te lo chiedo per loro.