Donne che amano donne. Coppie allo specchio
Articolo di Lorella Beretta tratto da Vera Magazine, novembre-dicembre 2007
Sono più di 900 mila, in Italia, le coppie di fatto. Alcune insieme da una vita, molte con figli altre no, ma non per questo meno vere di quelle ufficialmente unite in matrimonio davanti a Dio o a un sindaco. Di queste, 700 mila sono eterosessuali, 200 mila omosessuali. Sono, ma per la legge non esistono, il loro status di coppia non viene riconosciuto.
In Italia, è dagli anni Ottanta che si tenta, inutilmente, di far passare una normativa che le tuteli. Così, siamo rimasti uno dei pochi Paesi europei a non dare risposte giuridiche alle convivenze.
E se per le unioni etero il matrimonio civile può essere un’alternativa a quello religioso, gay e lesbiche non hanno strumenti per tutelare legami sempre più diffusi (anche se spesso vissuti nell’ombra). Come le cinque coppie che hanno accettato di raccontarsi. Faticosamente, vincendo la paura di esporsi (ma non quella di farsi fotografare), ci hanno parlato delle difficoltà quotidiane. A voi giudicare quanto urgente e necessaria sia una legge che le riconosca.
OSPEDALE 0FF LIMITS
Anna, 43 anni, insegnante, e Stefania, 45 anni impiegata
Si sono conosciute quindici anni fa e da allora sono una coppia fissa e felice, nonostante le resistenze della famiglia di Stefania. Che sono diventate tragicamente determinanti quando lei è rimasta vittima di un incidente, cadendo in corna. Racconta Anna: «La prima decisione che i suoi genitori hanno preso è stata mandarmi via dalla casa in cui abitavo con Stefania da più di dieci anni. Hanno potuto farlo, visto che l’appartamento era intestato solo alla mia compagna, anche se ne avevo condiviso le spese.
Ma il sopruso più grave è stato il divieto di starle accanto, in ospedale, nel momento della malattia. E anche in questo caso non ho potuto oppormi, perché di fatto io, per Stefania, non ero nessuno. Poi, per fortuna, si è svegliata dal coma. E il suo primo gesto è stato scrivere su un foglio il mio nome, facendo capire che mi voleva vedere… A quel punto nessuno ha potuto più dividerci».
Ricorda Stefania: «È stato brutto scoprire, dopo, quello che era successo. Credo che una legge sia necessaria, oltre che per riconoscere socialmente un legame e, dunque. evitare di trovarsi di fronte a situazioni come quella accaduta a noi, anche per dare dignità, agli occhi degli altri, a coppie come la nostra. Forse, allora, anche per i genitori sarebbe più facile accettarci».
Cinzia Massetti. Ufficio diritti Civili Pesaro
Questo è un caso emblematico di come un vuoto legislativo favorisca pregiudizi e comportamenti lesivi dei diritti fondamentali dell’uomo. Anna si era rivolta a noi per un supporto, ma non ho potuto fare nulla, non c’erano appigli legali per far riconoscere il suo diritto di assistenza verso la compagna. Attualmente, in Italia, a un convivente può essere impedito di dare assistenza, nel momento del bisogno, al partner con cui ha trascorso tutta una vita. Può accadere per le unioni di fatto eterosessuali ed è la norma tra quelle omosessuali, dove quasi sempre la famiglia si oppone al legame.
ALLA LUCE DEL SOLE
Rosangela, 40 anni, giornalista, e Licia, 30 anni, operatrice sociale
Nessun problema sul lavoro, tanto meno in famiglia dove dai genitori alla bisnonna (quella di licia) tutti condividono la loro scelta, che dura da sei anni. «Una legge sarebbe importante, anche se per quanto ci riguarda non ci serve: in caso di malattia o di altre difficoltà, siamo certe che nessuno dei nostri parenti si metterebbe contro l’altra», spiega Rosangela.
«Certo, ci rendiamo conto di essere un caso raro, in una società ancora carica di pregiudizi verso gli omosessuali. Noi viviamo senza nasconderci e lo possiamo fare perché le nostre famiglie hanno accettato il nostro rapporto in modo naturale. Questo ci ha dato la forza di non vergognarci di fronte agli altri.
Licia, che pure fa un mestiere a contatto con la gente, condivide e conferma di non avere mai avuto problemi. Però una legge potrebbe servire a colmare alcune lacune. Per esempio, Rosangela e io abbiamo potuto iscriverci all’anagrafe della nostra città come conviventi, quindi formiamo uno ‘stato di famiglia” e, fiscalmente, le nostre entrate vengono cumulate, tanto che non ho potuto accedere al diritto allo studio (frequenta le magistrali serali, ndr), perché insieme superiamo la soglia di reddito. Per contro, però, questo status non viene riconosciuto per accendere un mutuo».
Gaetano Sirone, assessore ai Servizi demografici di Padova
A Padova abbiamo istituito il Registro che dà riconoscimento anagrafico alle coppie di fatto, sfruttando la legge 1.228 del 1954. L’articolo 4, infatti, specifica che, agli effetti anagrafici, con il termine “famiglia” si intende un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o vincoli affettivi, coabitanti e aventi dimora nello stesso Comune.
Nella pratica significa che per noi una coppia sposata e una convivente hanno pari diritto a ottenere un alloggio popolare, nel caso in cui abbiano tutti gli altri requisiti.
UN BIMBO PER QUATTRO
Arianna, 35 anni, programmatrice, e Paola, 40 anni, commessa: Vivono assieme da due anni e mezzo e da qualche mese stanno cercando di avere un bambino. È il sogno di sempre di Arianna. «Ho faticato un po’ a convincere Paola. Lei all’inizio non ne voleva sapere di andare all’estero per l’inseminazione artificiale. Il pensiero di iniziare trafile lunghissime e viaggi continui ci ha sempre frenato.
Poi, attraverso l’associazione delle Famiglie Arcobaleno, abbiamo conosciuto una coppia gay con lo stesso desiderio. Frequentandoci siamo diventati amici, tra noi si è creato un rapporto di fiducia reciproca e così abbiamo deciso; il figlio lo concepirò io assieme a uno di loro. Non penso che un bambino abbia bisogno della figura paterna per forza, ma sono convinta che sia importante che possa ricostruire le proprie origini, se ne sente il bisogno. Lo riconosceremo io e il padre bio logico, divideremo tutto a metà, ma ci sentiamo coinvolti tutti e quattro con la stessa trepidazione».
Arianna e Paola hanno anche deciso di sottoscrivere un contratto privato tra loro. «L’abbiamo fatto sopratutto per il bambino che verrà, in attesa di una legge che tuteli le coppie di fatto dice Paola. .«Il bambino crescerà a casa nostra, anch’io mi occuperò di lui; metti che un giorno non si senta bene e sia Arianna sia il padre siano fuori città, dovrò portarlo io dal pediatra o all’ospedale: giustamente, mi chiederebbero chi sono. Il contratto privato che stipuleremo serve per dimostrare che anch’io contribuirò alla sua educazione, alla sua crescita».
Stefania Santilli, avvocato consulente legale dell’Associazione Famiglie Arcobaleno
Nel nostro ordinamento giudiziario ci sono molti strumenti di tutela per i viventi, e meno ancora per le coppie o sessuali. Il consiglio, quindi, è quello di tutelarsi attraverso scritture private. Trattandosi di documenti stesi davanti ad un avvocato hanno valore probatorio di volontà delle parti. Tutti i diritti e doveri scontati per una famiglia tradizionale, in un’unione di fatto devono essere messi nero su bianco.
Nel caso di separazione, in presenza di un bambino, l’aver definito il ruolo del genitore “sociale”, non biologico, può costituire la prova di una stretta relazione affettiva con il minore. Così da valutare eventualmente al meglio, in sede giudiziaria, gli interessi dei piccolo.
A SCUOLA CON LA DELEGA
Elena, 45 anni, vigile, e Giuliana, 40 anni, psicologa: Assieme da sedici anni, l’anno prossimo andranno negli Usa a sposarsi, seguendo l’esempio di altre coppie. Il documento non varrà nulla in Italia, ma lo faranno lo stesso per i loro tre bambini, dai 6 agli 8 anni, nati con inseminazione artificiale, effettuata all’estero.
Ma anche, perché no?, per il rito, la festa… Insomma, un modo per sancire ancora di più il loro legame. Dice Giuliana: «La mancanza di un riconoscimento legale pesa nella nostra vita familiare».
E aggiunge Elena: «Alcuni problemi pratici si possono risolvere con scritture private. Il danno maggiore lo si fa ai bambini, che sentono che la loro famiglia non è come le altre, non ha gli stessi diritti e gli stessi doveri delle altre… Eppure, noi siamo,e ci sentiamo, una famiglia». Spiega Giuliana: «Perché Elena possa andare a prendere i bambini a scuola, devo farle ogni anno una delega. Anche se nel modulo di iscrizione lei risulta come l’altro genitore, anche se entrambe firmiamo le pagelle, gli avvisi e le assenze».
Enrica Giannelli, pedagogista clinica
È assolutamente necessario riconoscere per Legge i legami familiari diversi da quelli tradizionali. Occorre pensare agli interessi dei figli, magari nati da precedenti unioni. E poi, sfatiamo l’opinione diffusa che i bambini che crescono con due persone dello stesso sesso possono sviluppare problemi psicologici o addirittura “diventare” a loro volta omosessuali.
I piccoli soffrono le situazioni di conflittualità tra i genitori, non il fatto di avere due mamme o due papà: se nel nucleo familiare, qualunque sia, c’è dialogo e serenità, i bambini crescono senza problemi.
VIA DALLA FABBRICA
Anna, 33 anni, operaia, e Donatella, 30 anni, architetto
Si tenevano per mano, fuori dalla fabbrica, quando il datore di lavoro di Anna le ha viste: «Tra i colleghi qualcuno lo sapeva, agli altri perché avrei dovuto dirlo? Comunque ci ha pensato il direttore: ha fatto circolare la voce che ero lesbica e nel corso di un’assemblea l’ha detto davanti a tutti. Da quel momento hanno iniziato a tenermi a distanza».
Continua Donatella: «Anna si sentiva isolata e non riusciva più ad andare in fabbrica, a sostenere il clima di intolleranza che si era creato, Così, per via delle assenze, è stata allontanata. Ha impugnato il licenziamento e alla fine hanno concluso con una mediazione e con il suo reintegro, ma lei ha deciso di risolvere il rapporto di lavoro».
Daniela Gasparin, avvocato
In situazioni come questa, le maggiori difficoltà sono rappresentate dalla prova del comportamento discriminatorio, che in Italia è a carico del lavoratore, mentre per le direttive europee l’onere della prova è del datore di lavoro. Nel nostro ordinamento, poi, non esiste una norma che tuteli espressamente i diritti dei cittadini omosessuali in campo lavorativo. L’ideale sarebbe prevedere risarcimenti importanti e pubbliche ammende, per evitare che questi comportamenti si ripetano.
Barbara Romarri, segretaria Arcilesbica di Milano
Non è solo una questione giuridica. Una legge che istituzionalizzi le unioni di fatto, anche gay e lesbiche, è necessaria per ridurre, se non eliminare, tutti gli atti discriminatori, dalle battute dispregiative al mobbing, alle violenze psicologiche. Una coppia formata da persone dello stesso sesso non è né subdola né perversa, ma basata su un legame sentimentale che ha la stessa intensità delle coppie eterosessuali.