I laici e le donne che voce hanno nella chiesa cattolica? Siamo un popolo di Dio senza voce?
Articolo* di Jean Molesky-Poz** pubblicato sul sito del settimanale gesuita America (Stati Uniti) il 22 luglio 2019, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
“Maria!” le disse Gesù. Quando lo sentì chiamare il suo nome, gli rispose “Rabbunì!”, “Maestro!”.
“Va’ dai miei fratelli” le disse, assegnandole direttamente il compito di annunciare la “buona novella”.
“Ho visto il Signore!” disse ai discepoli.
Nella nostra parrocchia nel nord della California le donne laiche hanno cominciato nel 1996 a predicare la buona novella durante la liturgia domenicale: una prassi che emerse dall’interno della nostra comunità di fede.
Diverse donne avevano parlato con il parroco della devastante assenza della saggezza spirituale femminile e della leadership delle donne in 2.000 anni di Chiesa Cattolica. Ci chiedevamo e gli chiedevamo: perché le donne che ne sentono la vocazione e sono adeguatamente preparate non possono pronunciare un’omelia, vale a dire un insegnamento che approfondisce il messaggio dei passi biblici del giorno e invita chi ascolta a cambiare mente e cuore?
“Mi chiedevo se qualcuno avrebbe mai posto la domanda” rispose il parroco.
Come Maria di Magdala, le donne [della nostra parrocchia] che pronunciavano omelie avevano avuto una profonda esperienza di vocazione e si sentivano incaricate di diffondere la buona novella. Avevamo fatto opera di discernimento con i nostri direttori spirituali e il parroco. Tutte noi predicatrici laiche avevamo studiato teologia a livello universitario, alcune arrivando fino al master.
Alcune erano o erano state membri di ordini religiosi, oppure avevano una conoscenza approfondita di un particolare problema pastorale della nostra parrocchia. Avevamo dimostrato, da fedeli laiche, competenza ed esperienza, come richiesto dal Codice di Diritto Canonico (n. 766).
I parrocchiani ci dicevano che erano lieti di ascoltare le nostre omelie. Uno di loro mi disse: “Ascoltare una donna cattolica riflettere sulla Parola durante la liturgia domenicale è un’esperienza che non ha paragoni, sia per le donne che per gli uomini, perché ci rafforza, rafforza il Corpo di Cristo”.
Pensavamo che la Chiesa, quella locale e quella universale, riconoscesse in noi dei doni concessici dallo Spirito, come i punti di vista innovativi con cui contribuivamo alla comunità parrocchiale, proprio come la Chiesa primitiva aveva riconosciuto la guida delle donne.
Ogni volta che una di noi predicava, il parroco di cui sopra scriveva alla donna in questione una lettera che consisteva in due pagine e un solo paragrafo, in cui commentava calorosamente la sua omelia. Una volta all’anno il corpo sacerdotale della parrocchia invitava a cena tutte le predicatrici laiche, e lì discutevamo dei nostri punti di forza e di cosa andava migliorato. Noi donne ci sentivamo coinvolte nella guida profetica della parrocchia.
I parrocchiani potevano ben dire, come gli abitanti di Samaria 2.000 anni fa: “Molti Samaritani di quella città credettero in lui per le parole della donna” (Giovanni 4:39a).
Nel 2001 la Conferenza Episcopale Statunitense, in accordo con il Canone 766 del Codice del 1983, dichiarò che “la predicazione da parte dei fedeli laici non può avere luogo durante la celebrazione eucaristica nel momento riservato all’omelia”; tuttavia, la Conferenza riconosceva il diritto di ciascun vescovo di autorizzare la predicazione laica nella sua diocesi, sebbene non durante il momento tradizionalmente riservato all’omelia.
Già da anni il nostro vescovo e i sacerdoti della nostra parrocchia avevano riconosciuto il dono della predicazione laica, e nessuno si aspettava che si sarebbe tornati indietro, ma nel 2009 cominciarono a essere messe in pratica delle restrizioni. Il nuovo vescovo della nostra diocesi stabilì che solamente il sacerdote celebrante dovesse leggere il Vangelo e pronunciare una breve omelia durante la Messa. Noi laici potevamo fare una “riflessione” e condividere i nostri pensieri, ma non pronunciare l’omelia.
I parrocchiani furono sconcertati, ma era un ordine, e noi predicatrici laiche non avevamo scelta: dovevamo obbedire. Nel 2013 è arrivato un nuovo vescovo e i laici non hanno più potuto nemmeno pronunciare una “riflessione”, cosa che è successa in molte altre diocesi statunitensi.
Una mia amica del Wisconsin, che ha predicato una volta al mese nella sua parrocchia per più di vent’anni, mi scrisse della sua “grande tristezza e delusione”, e mi fece leggere la lettera che stava per spedire a monsignor Rembert Weakland,, ex arcivescovo di Milwaukee dal 1977 al 2002, in cui cominciava ringraziandolo per aver “aperto la porta” anni prima alla formazione delle predicatrici e predicatori laici nell’apposito istituto della diocesi. La mia amica sapeva bene di aver portato il Vangelo nella vita, nel cuore e nella mente delle molte persone che l’avevano ascoltata.
La decisione clericale di impedire ai laici di predicare è particolarmente pesante per le donne. A loro non è concesso essere diaconesse, perché sono giudicate indegne dell’ordine sacro, e solamente nell’ultimo secolo siamo state ammesse a studiare teologia nelle università cattoliche. Nel movimento iniziato dal Concilio Vaticano II, che ha auspicato uno spazio maggiore per i laici a ogni livello della vita della Chiesa, le donne hanno visto opportunità inedite di esprimere i loro doni all’interno della Chiesa, e la predicazione laica era un modo molto importante per farlo. Nella nostra parrocchia c’era un predicatore laico e dodici predicatrici.
Negli ultimi mesi ho chiesto ad alcuni membri della nostra parrocchia se pensassero che questa proibizione metteva in dubbio il loro posto all’interno della Chiesa: la maggior parte di loro provava un senso di perdita e di disorientamento, alcune donne provavano rabbia, altre si sentivano deluse e scoraggiate.
Io mi sentivo in lutto, come se mi fosse morta una persona cara. Come spesso viene consigliato a chi è in lutto, capii che dovevo dare un nome a ciò che avevo perso, e farlo mio, per poter guarire e andare avanti. Noi predicatrici possediamo un dono particolare da offrire alla Chiesa, un dono che la nostra comunità ha riconosciuto e accettato, ma una decisione istituzionale l’ha rifiutato.
Ora le donne cattoliche sono in cerca di comunità e trovano nuovi modi di rendere lode e condividere la loro fede. Una donna che conosco, pur rimanendo cattolica, ora partecipa alla vita di una parrocchia episcopale, perché lì il culto adotta un linguaggio più inclusivo. Una donna lesbica è diventata metodista, perché in quella Chiesa si è sentita più accettata. Altre donne vanno in visita a comunità protestanti in cui ci sono donne che predicano. Conosco donne cattoliche che hanno abbandonato la Chiesa per diventare pastore metodiste, unitariane, episcopali, presbiteriane.
Altre donne cattoliche non riescono a trovare una casa.
Che tipo di Chiesa cercano le donne americane in questo XXI secolo? La mia amica Kristi, una laica dell’Ordine del Sacro Cuore, risponde a nome di molte di noi: “Una comunità da amare”.
Kristi sostiene lavoratori a basso reddito e immigrati che combattono per la giustizia e la dignità sul luogo di lavoro, aiutandoli a organizzarsi nei sindacati, per l’assicurazione sanitaria e un salario dignitoso: “Faccio quello che faccio nel mondo perché sono cattolica”.
Ma Kristi si sente ormai fuori posto nella Chiesa: “Ero stata appena invitata a predicare, quando il vescovo ha fermato tutto. Alcuni giorni dopo ho sognato di venire soffocata con un panno nero che mi copriva la bocca, zittita, senza forze. Al punto in cui è, questa Chiesa non è più un luogo sano per la mia anima”.
Recentemente, all’Università di Santa Clara, la teologa suor Elizabeth Johnson CSJ ha affermato che per secoli la Chiesa ha escluso la voce delle donne e la loro saggezza spirituale “a causa della cosiddetta natura femminile”, ma ci vogliono “coraggio e speranza”.
Oggi le donne “non possiedono l’autorità dell’incarico, ma comunque hanno quella del proprio battesimo” ha detto suor Elizabeth. Attraverso l’acqua e lo Spirito Santo ci è stata data nuova vita, donne e uomini. Dobbiamo pregare intensamente nonostante i conflitti: “Non potete farlo da sole” dice suor Elizabeth, suggerendo la formazione di gruppi di sostegno.
Nella nostra parrocchia ogni due settimane abbiamo un gruppo di sole donne per la lettura, la riflessione e la discussione. Alcune bibliste femministe esaminano le storie di donne nella Bibbia, spesso ignorate, e forniscono strumenti per ricostruire una storia biblica in cui le donne sono protagoniste centrali e attive. Alcune donne musulmane dialogano con noi sulla loro fede e madri immigrate clandestine ci raccontano la loro storia, come fanno le donne che svolgono il loro ministero tra le giovani vittime del traffico di prostitute. Parliamo di necessarie azioni sociali che riflettano la dottrina sociale della Chiesa. Organizziamo ritiri, visitiamo monasteri, dove cerchiamo saggezza per la nostra vita quotidiana. Cerchiamo e condividiamo l’intimità contemplativa con Dio, formiamo gruppi di preghiera e spiritualità nelle nostre case, nei nostri appartamenti. Alcune sono diventate membri laici di ordini religiosi, altre stanno mettendo in piedi nuove comunità cristiane di base.
Le esperienze delle donne e il loro modo di rapportarsi al mistero di Dio possono essere una fonte vitale di saggezza spirituale, contribuire a costruire comunità vivaci e inclusive e stabilire forme collaborative di leadership. Dopo tutto, in tutti e quattro i Vangeli Gesù dà incarico a Maria di Magdala (da sola o assieme ad altre donne) di andare dai fratelli ad annunciare la buona novella.
* Il passo biblico è tratto dalla Bibbia di Gerusalemme/CEI.
** Jean Molesky-Poz lavora come docente al programma di ministero pastorale dell’Università gesuita di Santa Clara, in California. È autrice di libri e articoli sulla spiritualità Maya contemporanea e sull’esperienza delle predicatrici cattoliche.
Testo originale: I’m a Catholic woman who was allowed to preach at Mass—until it was banned