Cinquant’anni dopo Stonewall. Viaggio nei paesi dove non ci sono diritti per le persone LGBT
Articolo di Yuval Noah Harari* pubblicato sull’edizione in lingua francese del magazine online Slate (Stati Uniti) il 12 luglio 2019, prima parte, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Nel 1969, quando la polizia di New York, volendo fare una retata alla Stonewall Inn, si vide opporre una resistenza inaspettata da parte dei manifestanti LGBT+, nella maggior parte dei Paesi l’omosessualità era ancora un reato. Fare coming out, anche nelle società più tolleranti, equivaleva a un suicidio professionale e sociale. Oggi, al contrario, la prima ministra serba è apertamente lesbica, e il primo ministro irlandese ostenta con fierezza la sua omosessualità, assieme all’amministratore delegato di Apple e molti altri uomini e donne della politica, dell’arte e delle scienze.
Negli Stati Uniti il repubblicano medio ha una posizione molto più progressista sul tema di quanto ce l’avesse, nel 1969, un democratico appartenente a una associazione omosessuale. Si è passati dal quesito “Lo Stato deve mettere in galera le persone LGBT+?” a “Lo Stato deve riconoscere il matrimonio tra persone dello stesso sesso?” (e quasi la metà dei repubblicani è favorevole).
Detto questo, ancora quasi settanta Paesi del mondo ritengono l’omosessualità un crimine. L’Arabia Saudita, l’Iran, il Brunei, tra gli altri, applicano la pena di morte nei confronti degli omosessuali. Discriminazioni, violenze e crimini d’odio pullulano anche nelle società più aperte, e i notevoli progressi che hanno segnato gli ultimi cinquant’anni non sono assolutamente una garanzia per il futuro. La storia avanza raramente lungo una linea retta e non c’è alcuna ragione di pensare che la liberazione LGBT+ si estenderà senz’altro a ogni area del mondo, compresi l’Arabia Saudita e il Brunei. Sono sempre possibili violenti rigurgiti omofobici, anche nei Paesi più progressisti: poco tempo fa il Guardian ha pubblicato delle sorprendenti statistiche secondo cui i crimini omofobici e transfobici nel Regno Unito sono raddoppiati negli ultimi cinque anni.
Facciamo un’analogia storica, e prendiamo in considerazione la situazione degli Ebrei in Europa tra gli anni ‘20 e i primi anni ‘30. In questo periodo gli Ebrei europei vengono liberati da secoli di leggi discriminatorie e ottengono, in numerosi Paesi, la totale uguaglianza giuridica, economica e politica. Proprio come le odierne comunità LGBT+ che vanno fiere dei capi di governo di Serbia e Irlanda, quasi un secolo fa gli Ebrei prendevano atto con soddisfazione che Walther Rathenau, ministro tedesco degli esteri, e Léon Blum, primo ministro francese, erano ebrei. Come oggi le persone gay, lesbiche e transgender rivendicano il loro diritto ad arruolarsi nelle forze armate per servire il loro Paese – ultima frontiera dell’integrazione nazionale -, durante la Prima Guerra Mondiale 100.000 Ebrei hanno combattuto lealmente nell’esercito tedesco e 12.000 hanno perso la vita per la patria.
I gay e le lesbiche che oggigiorno si sentono talmente sicuri della loro posizione [nella società] da sostenere i partiti di estrema destra, come Alternative für Deutschland in Germania e la Lega in Italia, hanno i loro corrispettivi ebrei nel periodo tra le due guerre. All’inizio il Partito Nazionale Fascista di Mussolini aveva preso le distanze dall’antisemitismo, e in seguito migliaia di ebrei hanno sostenuto il Duce, anche iscrivendosi al Partito. Una delle amanti di Mussolini era ebrea, come anche il suo ministro delle finanze negli anni ‘30. Sappiamo tutti come è finita questa storia: Blum è sopravvissuto per un pelo a Dachau e i veterani ebrei della Grande Guerra si sono ritrovati ad Auschwitz assieme agli ebrei fascisti.
Ci sono dei segnali allarmanti che ci dicono che l’era della liberazione LGBT+ potrebbe essere il preludio di un periodo di persecuzioni senza precedenti; in particolare, le persone LGBT+ potrebbero divenire i principali bersagli delle cacce alle streghe ultranazionaliste. Nell’Europa orientale, per esempio, i dirigenti nazionalisti, non potendo prendersela con gli Ebrei a causa dei terribili ricordi della Shoah, scelgono invece di spaventare i loro popoli con la leggenda del complotto gay mondiale.
I governi di Polonia e Ungheria hanno preso l’abitudine di additare i gay come agenti stranieri che minacciano la sopravvivenza non solamente della nazione, ma anche di tutta la civiltà occidentale, riuscendo persino a stabilire un legame tra la comunità LGBT+ e l’immigrazione: affermano infatti che il complotto gay spera di far crollare il tasso di natalità per aprire le porte alle orde di immigrati.
Il regime russo non sta a guardare, e decreta che il complotto omosessuale mondiale sta cercando di distruggere il Paese. I media ufficiali presentano sia le manifestazioni contro il governo in Russia, sia la rivoluzione ucraina del 2013-14 come parte del complotto gay, come scrive Timothy Snyder nel libro La paura e la ragione. Il collasso della democrazia in Russia, Europa e America (Rizzoli, 2018). [Tali media] dipingono le persone LGBT+ come dei traditori, in quanto l’omosessualità sarebbe estranea alle tradizioni russe, e di conseguenza il semplice fatto di essere omosessuale è dimostrazione che la tale persona è un agente straniero.Un sondaggio condotto nel maggio 2018 ha rivelato che il 63% dei Russi è persuaso dell’effettiva esistenza di una rete gay mondiale organizzata, che opera per la distruzione dei valori spirituali tradizionali russi, e pertanto all’indebolimento del Paese.
Per combattere questa fantomatica minaccia la Russia ha votato nel 2013 la famosa legge contro la “propaganda gay”, la quale ha condotto all’arresto e alla persecuzione di numerose persone. Nell’agosto 2018 Maxim Neverov, un adolescente di sedici anni, è stato accusato del “crimine” di aver scaricato numerose foto di uomini da gruppi di incontri del social network russo Vkontakte. Allo studente di liceo è stata comminata una multa di 50.000 rubli [698 euro], una somma maggiore del salario medio mensile russo, prima di essere assolto in appello.
* Yuval Noah Harari, nato nel 1976, si è laureato in storia all’Università di Oxford. I suoi tre saggi (Sapiens. Da animali a dèi. Breve storia dell’umanità, Homo Deus. Breve storia del futuro e 21 lezioni per il XXI secolo, editi da Bompiani) sono dei fenomeni internazionali, tradotti in quasi cinquanta lingue e presenti in molte classifiche di bestseller in tutto il mondo.
Testo originale: Cinquante ans après Stonewall, la mise en garde de Yuval Noah Harari sur les droits des LGBT+