Testimonianza di Francesco da Brescia del Progetto Giovani Cristiani LGBT sul IV Forum dei Cristiani LGBT (Albano 15-17 maggio 2016)
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Ciao a tutti. Mi chiamo Francesco, ho 27 anni e sono originario di Brescia. Da qualche anno il lavoro, la curiosità, e anche un senso di necessità di allontanarmi dalla mia città natale, mi hanno portato a Losanna, in Svizzera. Ho capito ed accettato la mia omosessualità solo negli ultimi anni, dopo un paio di relazioni eterosessuali con ragazze splendide, ma che non potevo rendere felici e che mi lasciavano dentro un senso di tradimento e di non essere all’altezza. Tutto questo all’interno di un ambiente a chiara connotazione cattolica, che mi ha cresciuto ed aiutato a maturare la mia fede, ma che allo stesso tempo ha probabilmente ritardato e reso più complessa questa presa di coscienza di chi sono.
Poi lo squarcio. Il primo ragazzo che mi guarda con interesse, che o guardo negli occhi per la prima volta senza paura o senza sentirmi sbagliato. La prima relazione, la prima esperienza. Finisce qualche mese dopo per la distanza (lui sta a Friburgo, in Germania), e mi lascia scombussolato. Ok, ho capito chi sono (forse), ma che cosa ha a che fare quello in cui credo con tutto ciò? Sono sbagliato, malato? Come posso conciliare la mia fede in Gesù Cristo con quello che sto vivendo e che, in fin dei conti, sono?
Domande che si trascinano. E non so come trovare una mia dimensione: i miei amici storici sono abbastanza radicali nel giudizio sull’omosessualità, gli amici omosessuali sono a tutti gli effetti dei mangiapreti, e quelli dell’università generalmente non credono. Un bel casino, insomma, trovare qualcuno con cui confrontarsi a 360 gradi. Nel frattempo mi butto in milioni di cose per tenere la testa occupata e non pensare.
Poi una sera l’inaspettato: durante una sessione di cazzeggio spinto su Facebook, finisco su di un video di Saverio Tommasi, giornalista di fanpage. Il tema era una manifestazione delle Sentinelle accompagnata da una serie di interviste a coppie omosessuali e membri di famiglie arcobaleno. Tra le interviste passa quella ad un ragazzo, Iacopo, che parla della sua fede e del partecipare a questo gruppo di cristiani omosessuali, Kairos. Il primo pensiero: “Non sono solo”.
Comincio a seguire la pagina di Kairos su internet, venendo anche a conoscenza del progetto Gionata, per qualche mese. Poi a dicembre 2015 comincio ad avvertire un senso d’urgenza, capisco che è l’ora di rimettersi in marcia. Ho già perso troppo tempo restando fermo. Scrivo una mail per chiedere qualche informazione. Comincio a dialogare e concordiamo un pranzo a Firenze durante le vacanze di Natale. L’attesa si fa trepidante. Entusiasmo e un senso di paura si alternano senza sosta. Il giorno prima un’attacco di panico, vorrei annullare tutto. Fortunatamente il buon senso riprende il controllo e salgo sul treno che mi porta a Firenze. Una notte in giro per la città con la mia inseparabile macchina fotografica e poi il momento tanto atteso. L’incontro è decisamente tranquillo e poco impegnativo: a causa delle vacanze di Natale, in città non c’è quasi nessuno. Mi accolgono Matteo e Simone. Il tempo non è molto più che una pausa pranzo da condividere, e vola tra qualche racconto e le mie domande: ho sete di capire, di sapere, di vivere.
Ci salutiamo qualche ora più tardi: ho un treno da prendere. Mentre guardo dal finestrino il paesaggio tosco-emiliano sfrecciare via, capisco che è iniziato – finalmente – un altro viaggio.
Torno a Firenze a fine febbraio, in occasione dell’incontro sulle TRANSizioni. La sera prima dell’incontro Innocenzo e Carlo mi invitano a cena, insieme a Vanna e Matteo. Anche qui la paura sale: non ho mai conosciuto una coppia omosessuale stabile, né tantomeno una persona che abbia effettuato una transizione. Di cosa parleremo? Saprò vincere le mie paure e i – putroppo anche miei – pregiudizi? Pochi minuti e i dubbi si sciolgono in un’estrema tranquillità. Quando si lascia spazio all’inconto con le persone, e che persone, non ci sono pregiudizi o dubbi che tengano.
Due giorni splendidi passano rapidamente, e neanche la cancellazione del volo di rientro riesce a rovinare l’incredibile sensazione di essere stato, forse per la prima volta in vita mia, autentico. Solo e semplicemente me stesso, senza la costante e pressante necessità di misurare cosa fare o cosa dire.
Due mesi volano via in un battito di ciglia, e poi arriva Roma. Sono salito su quell’aereo venerdì pomeriggio senza rendermi davvero conto di quello che stavo facendo. Qualche mezzo di trasporto più tardi, faccio il mio ingresso al IV Forum dei Cristiani LGBT di Albano Laziale. Non ho troppe aspettative all’inizio, se non il desiderio di rivedere dei volti che ormai considero amici. E forse è proprio questo stato d’animo che mi ha permesso di vivere al meglio il forum: quando le aspettative non sono troppo esigenti, è li che siamo pronti ad accogliere lo stupore.
Sono stati due giorni pieni, felici, autentici. Dove ho potuto confrontarmi con vissuti simili al mio, con persone che ti capiscono con uno sguardo. I workshop, con Gianni Geraci prima e con la psicologa Arianna Petilli poi, sono stati come una cascata d’acqua fredda. Riflettere sul coming out assieme ad altri che vivono, o hanno vissuto, le mie stesse paure, è stato un vero dono, e qualcosa che fino a qualche tempo fa non avrei mai immaginato.
Le testimonianze di Silvia prima, che ha accompagnato suo figlio nel suo coming out, e poi la storia di Martina, custodita dai suoi genitori, sono state qualcosa di importante. Lo stesso effetto che fa l’apertura di una finestra in una stanza affollata – per dirla alla Gianni Geraci. E non nego che abbiano suscitato in me anche un po’ di invidia, l’invidia di chi non è mai riuscito ancora ad aprirsi ai suoi genitori, ad essere autentico.
Capisco che è arrivato il momento decisivo. Sono stanco di nascondermi e di utilizzare tutte queste energie per controllarmi, non lasciare sfuggire una parola sbagliata, dire di non aver ancora trovato “la persona” giusta, per non dire “il ragazzo”. Ma mentre fino ad ora era stata la paura a tenermi inchiodato, quello che sento ora è più una mancanza di fiducia nelle persone a cui non mi sono ancora rivelato nella mia autenticità, genitori in primis.
Chiaramente, con i tempi che mi serviranno.
C’è tuttavia una riflessione più profonda che vorrei condividere con tutti voi. Il Forum di quest’anno è stato costruito attorno ad un concetto fondamentale: qual è la mia responsabilità di cristiano omosessuale nei confronti di una Chiesa pigra e incapace di vedere? E come posso fare io a cambiare le cose, nel mio piccolo e nella vita di tutti giorni?
Ma c’è un’altra domanda che per me è più pressante: mi sembra abbastanza evidente che coloro che, da omosessuali, riescono a conciliare la loro sessualità con la fede, sono una netta minoranza. Ed altrettanto evidente è come il muro che la Chiesa ha innalzato davanti a noi omosessuali non abbia fatto altro che allontanare molti di noi, e me in primis per un periodo, dall’unica cosa che in fin dei conti importa davvero: Cristo.
C’è una citazione di Edith Warton a cui sono molto affezionato: “There are two ways of spreading light: to be the candle or the mirror that reflects it.” ( “Ci sono due modi per diffondere la luce: essere la candela, o lo specchio che la riflette”)
Quindi se davvero Cristo è la mia candela, allora è mia responsabilità essere lo specchio che permette a questa luce di arrivare anche a chi si è sentito rifiutato, ha abbandonato o è stato allontanato perché “sbagliato”. E quindi ecco qui la mia domanda: come farlo? come essere davvero quello specchio?
Scusate se sono stato lungo o poco chiaro, ma non è stato affatto facile mettere in ordine tutti le riflessioni di questi ultimi mesi. Ma era importante farlo, ed era altrettanto importante riuscire a condividerlo.
Ed ora? Di nuovo in cammino. Ma da qui in avanti, mai più da solo. Buon viaggio ad ognuno di voi.
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ps. vi lascio una canzone che si adatta particolarmente a quello che sto vivendo.
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