Ognuno di noi è diverso, al di là delle etichette
Testo tratto dal sito parentsdhomos.ch (Svizzera), liberamente tradotto da Daniela C.
“Io? Sono etero. Ognuno di noi è diverso dagli altri. Ciò avviene in moltissimi campi; uno dei quali è l’orientamento sessuale. Per quel che mi riguarda sono un uomo e sono le donne ad attrarmi. Normale? Banale? Non esattamente. Ciò che vale per me, infatti, non vale per tutti. Dunque la mia eterosessualità fa parte della mia personalità.
Di fatto, quando mi guardo intorno, sono costretto ad ammettere che alcuni dei miei amici hanno un orientamento sessuale diverso dal mio. Tra i miei compagni di scuola, ad esempio, molti erano omosessuali; alcuni lo dichiaravano, cosa relativamente ben accetta dal resto della scuola, ma per la maggior parte degli altri l’esteriorizzazione rappresentava una tappa ancora troppo difficile da raggiungere.
La cerchia degli amici più intimi lo sapeva, ma con gli altri si manteneva il segreto. E così, quando capitava di apprendere che la “giovane amica” di qualcuno, quella che abitava a un’ora di treno da Ginevra, era in realtà un ragazzo, riuscivo a comprendere ancora meglio la pressione che queste persone dovevano provare.
Ma perché tante difficoltà? Il giudizio degli altri? La pressione della società? Secondo me i problemi sono vari. Per esempio, devo ammettere che ancora oggi vedere due uomini che si abbracciano non mi sembra “normale”.
Di sicuro questo mio comportamento non è esemplare, ma a che serve mentire? D’altra parte, a mio giudizio, la cosa più importante è superare lo stadio del rigetto e sforzarsi di accettare che per questi uomini abbracciarsi rappresenta, giustamente, una cosa “normale”; anche se il modo in cui noi concepiamo ciò che è normale non è lo stesso. Per concludere, credo che sia giunto il momento per ognuno di noi, di provare a fare uno sforzo. Ad esempio, ricordando continuamente a noi stessi che le persone che si trovano in questa situazione non vivono una condizione facile; e che il nostro compito è quello di aiutarle, e non di categorizzarle”. (Alain, 20 anni, studente di Ginevra, eterosessuale).
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La liberazione del coming-out
Pur avendo sempre saputo di essere omosessuale, ho comunque atteso i 18 anni prima di iniziare a fare coming-out. Inizialmente, considerato che volevo esserne realmente sicura, e che ero al mio primo amore, ho aspettato i 18 anni.
Poi, dopo questa prima esperienza, non ho più avuto dubbi. Prima di questa data, in realtà, avevo avuto delle piccole storie, niente di serio, in attesa di trovare il compagno giusto, ma alla fine ho capito che si trattava di avere delle preferenze diverse; anche se volevo convincermi che non fosse così.
Il mio coming-out l’ho fatto in un’uscita serale, circondata dai miei migliori amici e da mio fratello. Tutti l’hanno presa bene ed erano contenti che avessi deciso di renderli partecipi. Quel giorno mio fratello si commosse molto e mi chiese perché non gliel’avessi mai confessato prima.
Non gli ho mai risposto, ma credo che la ragione sia stata, molto banalmente, la paura. La paura di non essere accettata per quella che ero. L’aver fatto questo annuncio fu un sollievo enorme.
Finalmente potevo parlare dei miei sentimenti più profondi ai miei amici. Non restava che avvisare anche i miei genitori. E ancora una volta ho avuto paura; anche se so che loro sono molto rispettosi su questo argomento. È vero… in teoria, ma in pratica?
Per cui ho deciso di aspettare di avere una relazione seria prima di annunciarglielo. O, ancora meglio, spero che siano loro a darmi una mano tirando fuori quest’argomento; dato che talvolta ho l’impressione che sappiano tutto o che, perlomeno, dubitino di qualcosa.
Nella mia vita non ho mai veramente subito atti di omofobia, fatta eccezione per qualche insulto. Non me ne sono mai preoccupata troppo.
Credo che si debba portare rispetto in ogni circostanza e che le persone che mi hanno insultata non l’hanno fatto; o, forse, appartenevano a una comunità che non accetta le differenze sessuali come invece si dovrebbe.
In particolare, è vero che per strada una coppia omosessuale è molto più osservata. Nonostante ciò, non ho mai sentito il peso degli sguardi negativi. Ah! Com’è piacevole potersi tenere per mano senza pensare agli altri… A scuola non mi sembra di essere mai stata informata dell’esistenza di orientamenti sessuali diversi, ma d’altro canto non ci è stata raccomandata neppure l’eterosessualità; quindi non mi sono mai sentita realmente esclusa.
E di certo, a scuola, non avrei ottenuto informazioni maggiori; magari grazie a delle giornate di studio fuori tema. Per concludere, voglio dire che non mi considero sfortunata perché ho delle preferenze diverse.
Se avessi potuto scegliere avrei, senza dubbio, scelto l’eterosessualità. Per facilità intendo. Per trovarmi in quella che è considerata la “norma”. Ma, oggi, per niente al mondo vorrei cambiare il mio orientamento sessuale. Sono felice così come sono, e so che mi sentirò completamente sollevata il giorno in cui lo dirò ai miei genitori”. (Isa, 19 anni, svizzera, studentessa, lesbica).
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Il lato più intimo della mia vita
“Omofobia ? Che significa ? Io sono una giovane donna di 21 anni e, in questo momento, sto uscendo con una persona come me, ossia con un’altra donna. Ciò presume, quindi, che io mi trovi dal lato debole della barricata. E in effetti, pur vivendo in Svizzera dal 2007, ci tengo a portare avanti questa idea delle barriere; sempre presenti e pesanti.
Per paura che mi respingessero, c’ho messo circa tre anni prima di riuscire a confessare le mie preferenze sessuali alla mia famiglia.
Questo anche quando pensi che l’amore, che si presuma che un genitore debba al proprio figlio in maniera incondizionata, non ha niente a che vedere con faccende del genere!
Ammetto che, in fin dei conti, pressione e apprensione provengono in gran parte dall’esterno; eppure, nel mio caso, sono stata io ad immaginare degli scenari tremendi.
Essere diseredata dai miei parenti, ad esempio, non mi sembrava un’idea così improbabile… Ma adesso, ora che la mia famiglia è al corrente, e che siamo ancora parenti, mi chiedo infine perché mai avessi così paura; e, soprattutto, di che cosa?
Senz’altro è stata la paura di essere diversa, di non rientrare in un modello ammesso dalla società. E ne approfitto per sottolineare che la paura della diversità non riguarda unicamente il singolo caso dell’omosessualità, ma tutte le situazioni in cui qualcuno si permette di infrangere i limiti tracciati da altri.
Infatti, per quanto avessi bisogno di punti di riferimento o d’identificazione, decidendo di dichiarare la mia omosessualità, ho fatto un grande passo; anche se altri prima di me l’avevano già fatto e di certo non sarò io l’ultima a farlo. Ho oltrepassato un limite con la paura di restarne bruciata. Si ha sempre paura di essere respinti dagli altri.
Spesso, ancora oggi, mi capita di essere incerta e di controllare i miei gesti; soprattutto quando sono con i miei amici in pubblico. Non mi piace vivere quasi tutto il tempo in incognito, ma alla fine sono io che lo voglio perché nessuno mi ha mai insultata o molestata a causa delle mie scelte. Nei casi come il mio, spesso si prova un sentimento di profonda solitudine e d’incomprensione da parte degli altri.
È questo il motivo per cui, insieme a un po’ di amici dell’università di Ginevra, ho voluto mettere in piedi un gruppo di studenti e studentesse omosessuali, bisessuali ed eterosessuali; per fare in modo che chiunque voglia fare un passo avanti verso la completezza e la diversità non sia affatto stimato di meno.
Perché siamo proprio noi, in quanto studenti e studentesse universitari, le future donne e i futuri uomini che entreranno in politica; i futuri giornalisti, giudici e, soprattutto, genitori!”. (Leila, 21 anni, ha madre olandese-svizzera e padre americano. E’ attratta dalle donne).
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Senza titoli, nè etichette
Il consumo di massa è ovunque. A nostra completa disposizione per soddisfare tutti i nostri capricci del momento. Ogni cosa è quasi sempre calcolata, etichettata e prodotta per essere subito venduta, e poi consumata, il più velocemente possibile. Pasti veloci, sesso veloce. La mode cambiano ogni tre mesi! La sessualità non si è sottratta a questo immenso disordine pubblico. Eterosessuale, omosessuale, bisessuale, transessuale… E la lista continua: metrosessuale, cybersessuale, intersessuale, altro sessuale, diversessuale, ecc. Diciamo “basta”! Certamente già sapete cosa significano questi termini.
Evito, quindi, di dare altri dettagli. Scherzi a parte, tutto ciò serve a descrivere le proprie preferenze emozionali e sessuali sul piano amicale e amoroso. Ma perché complicarsi la vita? Chi ci obbliga ad usare tutte queste etichette? Vi chiedo: vi siete mai chiesti se i vostri compagni di classe fossero etero, bi, omo, & C.? Per quanto mi riguarda vado bene, più che bene, così come sono. Ho una famiglia splendida e un fidanzato formidabile.
Adoro il mio lavoro e i miei colleghi sono stimolanti e mi fanno ridere. Ho una rete di contatti sociali favolosa: tutte persone che apprezzo. In sintesi, io respiro e vivo la mia vita approfittando di ogni istante che mi si presenta.
Ma, fino a qualche anno fa, tutto ciò era impensabile; come se non mi fosse permessa tanta grazia. Non sono mai stato vittima di un’aggressione, né di minacce a proposito del mio orientamento sessuale; ma, nonostante ciò, ho affrontato lo stesso un lungo percorso. È all’età di 18 anni che, finalmente, ho accettato chi sono.
Durante la mia adolescenza (12- 16 anni), il desiderio di essere come tutti gli altri mi stava bene. Forse era per proteggermi dalle prese in giro, o per ignorarle. Perché, in fondo a me stesso, sapevo benissimo di essere attratto dai ragazzi.
Dopotutto, non vedo nessuna differenza tra l’amare un uomo o una donna: è sempre amare. È la società che non la pensa così! In effetti, i miei genitori si sono accorti subito che sono diverso. Dovevo comportarmi correttamente dal momento che certi gesti, certi abbigliamenti e certe espressioni, ai loro occhi, non avevano niente di virile. Non tutto era permesso.
Non hanno mai cercato di capire il perché di questa diversità. “Dormi con una ragazza o con un ragazzo?”. Ogni cosa era interpretata male. Tutto ciò mi ha impedito di cercare chi io fossi veramente, di sapere e di fare quello che volevo; cosa che, invece, mi aspetto da questa vita.
Un giorno dell’estate del 1999, ho fatto il mio così detto coming-out davanti a mia sorella e ad alcuni amici. Non potevo continuare a tacere. Volevo, insomma, condividere le mie gioie, le mie speranze e i miei timori con le persone che amo.
Anche per mostrargli che siamo tutti uguali e che abbiamo bisogno di condividere cose simili. È da allora, e solo dopo, che le persone che mi avevano insultato smisero di fare delle osservazioni scortesi sul mio orientamento sessuale.
Perciò, mostrarsi per come si è realmente facilita i buoni rapporti. I miei genitori si sono accorti che vado meglio, che esprimo meglio le mie idee e che sono più vero. Alla fine anch’io ho lo stesso valore della gente “normale”.
In questa società in costante evoluzione, la famiglia resta il mio punto di riferimento principale. Essa comincia a prendere, sempre di più, delle altre forme o strutture. Ora il modello “uomo + donna = bambini” non è altro che uno tra tanti. Se il focolare domestico dona amore, protezione e educazione, perché non concedergli il diritto di esistere?
La strada è ancora lunga. Ma ogni volta che troviamo il coraggio di essere sinceri con noi stessi, si compie un piccolo passo contro i pregiudizi e i tabù. (Robert, 26 anni,omosessuale)
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Sono tornata dall’Indocina ieri mattina
Ho paura di scrivere nero su bianco quello che ho passato nella mia vita. Forse non sono ancora pronta a raccontarlo o può darsi, semplicemente, che le mie ferite non si siano ancora rimarginate. Da bambina, è dura dirsi che ti piacciono le donne. Ripeti a te stessa che non sta bene e cambi canale quando c’è un film omosessuale. Senz’altro avevo il terrore che gli altri potessero leggere sul mio viso che ciò mi intrigava.
Allora sono uscita con dei ragazzi, ma non mi sentivo realizzata. Che ci vado a fare? Chi sono io? Perché ? Queste domande mi attraversavano l’anima senza darmi tregua. E poi, un giorno, ho avuto il coraggio di dirlo a mia madre.
È stato difficile; mia madre non l’ha accettato, e, ancora oggi, la questione non è risolta. Ricordo che lei mi disse di vedere uno psicologo e che lui mi avrebbe aiutata. Io mi ripetevo: “A che scopo? Non sono mica malata”.
Rifiutai categoricamente di andarci. Furono degli anni penosi, dato che dovetti sopportare le osservazioni umilianti di mia madre. Tuttavia, ho avuto fortuna; perché ho trovato una persona che non mi ha giudicato e che ha detto a mia madre di lasciarmi un po’ tranquilla: sto parlando di mia nonna. Anche se tengo tantissimo a mia madre, nessuno mi comprende così bene come mia nonna.
Ho avuto davvero fortuna. Posso capire che questa notizia fu uno choc per mia madre; d’altro canto avevo distrutto la visione che lei aveva del mio avvenire (matrimonio, bambini, ecc.). Per quel che mi riguarda, non ho distrutto proprio niente; perché, con la mia compagna, ho moltissimi progetti.
Voglio sposarmi e formare una famiglia con lei. Sono la donna più felice del mondo e la più realizzata. Lei mi ama, io la amo; e questa, per me, è la cosa più importante, ciò che mi fa vivere” (Una ragazza di 20 anni. Studentessa d’arte. Franco-spagnola).
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Testo originale: Témoignages d’homosexuel-le-s. Enlevez les étiquettes