Omosessualità e genitorialità. Il cammino di scoperta di una nuova identità
Testo di Alessandra Bialetti*, pedagogista sociale e Consulente della coppia e della famiglia di Roma, tratto dalla sua tesi di Baccalaureato su “Genitori sempre. Omosessualità e genitorialità”, Pontificia Università Salesiana, Facoltà Scienze dell’educazione e della formazione salesiana – Facoltà di Scienze dell’Educazione, Corso di Pedagogia Sociale, Roma, anno accademico 2012-2013, paragrafo 2.3
La scoperta della propria identità può avvenire sia nel periodo dell’adolescenza sia in età adulta con vari risvolti ed implicazioni.
L’adolescenza è un periodo particolarmente delicato per gli omosessuali in quanto, in questa età, non è facile ammettere di essere diversi soprattutto se condannati dalla società. Ciò non significa, tuttavia, che l’omosessualità sia una patologia, il problema è riconoscerla in se stessi e dinanzi agli altri sia in giovane età che in età più avanzata.[1]
La pedagogia e il mondo dell’educazione si deve interrogare sull’accompagnamento degli adolescenti omosessuali nella società moderna per sostenere il loro cammino di comprensione ed accettazione.
Occorre ricordare i rilevanti rischi di depressione nella fase adolescenziale con un tasso di suicidi estremamente elevato per l’adolescente omosessuale che vive isolamento e rifiuto. Secondo le stime statunitensi, un terzo dei suicidi giovanili avviene tra i giovani omosessuali e il ricorrere a comportamenti a rischio (alcolismo, droga, condotte delinquenziali) pare sia collegato alla confusione generata dal proprio orientamento sessuale non integrato.
La tappa di acquisizione della propria identità risulta, quindi, particolarmente difficile per l’adolescente omosessuale perché sa che la sua sessualità è radicalmente diversa da quella dei suoi simili ed è indispensabile che genitori, insegnanti ed educatori siano consapevoli dei problemi cui va incontro.[2]
Si registrano alcune differenze di genere: il ragazzo effeminato è molto più oggetto di derisione di una ragazza mascolina e vive un forte senso di diversità e svalutazione per sentirsi simile al sesso “debole”, mentre la ragazza acquista prestigio dall’assimilazione al sesso “forte”.
La ragazza può giocare indistintamente con maschi e femmine mentre il ragazzo in genere è accettato solo dalle femmine aumentando così il senso di confusione e la sensazione di essere strano. Il ragazzo è stigmatizzato sin dall’infanzia, e spesso anche i genitori assumono atteggiamenti contraddittori: la madre diventa iperprotettiva e il padre spesso si allontana da lui non riconoscendolo pienamente maschio.[3]
La scoperta dell’identità omosessuale avviene gradualmente: una prima tappa, come visto, avviene nell’adolescenza in un momento in cui si deve ancora imparare a incanalare le pulsioni sessuali, entrare in relazione con l’altro sesso e sviluppare un’identità sociale indipendente dalla famiglia. Questo passaggio per l’eterosessuale è facilitato dalla società a differenza dell’omosessuale che sente di vivere una sessualità non riconosciuta e accettata nemmeno dal gruppo dei pari così importante per la sua crescita. Da qui nasce un senso di isolamento e solitudine.
L’adolescente prova vergogna per ciò che percepisce di essere e vive un calo notevole dell’autostima già così precaria in questa fase evolutiva. Inizia il periodo dell’allontanamento dai rapporti familiari ed amicali dovendo nascondere e contenere desideri e sentimenti inaccettabili. In questa fase l’omosessuale potrebbe anche assumere atteggiamenti e comportamenti dichiaratamente eterosessuali per dimostrare la sua normalità.
Tuttavia potrebbe correre il rischio di infliggersi il dolore del non riconoscimento di sé e vivere il senso di colpa di non essere come tutti vorrebbero. In una seconda tappa, dopo il periodo di confusione dubbi ed isolamento, il giovane giunge a dare un nome a ciò che prova, l’esplorazione di sé avviene in modo meno caotico, trasgressivo e pericoloso e inizia il cammino verso l’accettazione ed integrazione.[4]
L’immagine di sé come omosessuale inizia a cambiare, si scoprono sentimenti e sensazioni sconosciute e si inizia a sviluppare una vita sociale in cui il condividere la propria condizione di vita con i simili e il sentirsi appartenente ad una comunità è il primo passo verso una riappropriazione sia della vita che della propria identità sociale.
Il giovane che si scopre omosessuale deve elaborare il lutto per un’identità eterosessuale che ha sempre vissuto come unico modello esistente. Tutti i bambini crescono con l’idea di un matrimonio, di una famiglia “regolare”, di una genitorialità. Rendersi conto che tutto questo potrebbe non accadere, o deve assumere altre forme non riconosciute, genera una forte sofferenza perché chiama alla rinuncia di un progetto di vita a lungo preparato e atteso dalla famiglia e dalla società.
Da qui il diniego della propria omosessualità, il rifiuto, la collera, il patteggiamento di fare del tutto per cambiare, la depressione e, se tutto si risolve positivamente, l’accettazione e l’elaborazione di un altro progetto di vita.[5]
Come genitori ed educatori, nell’accogliere un adolescente omosessuale, occorre sempre tener presente quanto sia già complesso per un coetaneo eterosessuale rinunciare alla parte infantile di sé, scoprire il corpo che cambia, muovere i primi passi nel mondo dell’affettività. La realtà dell’omosessuale in scoperta di sé, è notevolmente più complessa perché assume le sembianze di una “cosa” non definita che le norme sociali condannano e spingono a mascherare spesso sotto una vita coniugale regolare ma in un’ambiguità che rischia di bloccare il processo identitario.
Da tutto questo nasce il disprezzo di sé, il considerarsi un errore di natura, il credere di avere un’esistenza menomata e non destinata alla realizzazione piena e serena, il sentirsi e viversi come costantemente alienati da se stessi e dagli altri. Impotenza, disconferma, passività, rassegnazione, senso di illegittimità ed estraneità, deresponsabilizzazione circa il proprio progetto di vita, diventano i sentimenti dominanti.[6]
In questo difficile percorso il patrimonio affettivo familiare ed amicale è il punto di riferimento fondamentale: molti riescono ad esprimere la loro diversità come arricchimento e, se supportati, a vivere la propria autenticità e a cogliere spunti di realizzazione alternativi.[7]
L’educatore, dovrebbe porsi accanto allo stato confusionale della persona omosessuale ed intervenire sul suo senso di isolamento su più livelli: cognitivo in quanto si tratta di combattere l’immagine negativa di sé mutuata da stereotipi e pregiudizi; sociale perché frutto di discriminazione, ed affettivo perché spesso sono proprio le figure di riferimento più importanti a voltargli le spalle.[8]
Nell’ambito di uno sviluppo armonico della personalità, come educatori bisogna tenere presente che l’adolescente omosessuale, come anche l’adulto, percepisce come estremamente dissonante il riconoscimento dei propri desideri a confronto con le proprie convinzioni religiose incappando nel rischio di sentirsi sbagliato e non accettato anche nel rapporto con la dimensione spirituale e all’interno della chiesa.[9]
In questo campo, di particolare rilievo, sono i percorsi di sostegno alle persone credenti omosessuali con l’intento di coniugare fede e sessualità come aspetti fondamentali della persona umana. Si cita l’esperienza dei gruppi Nuova Proposta, il Guado, La Sorgente, Ponti Sospesi, Davide e Gionata, Kairós. La fede, e la possibilità di viverla, diventa fattore altamente protettivo della crescita della persona omosessuale come accoglienza e rispetto della sua dimensione spirituale.
La scoperta dell’omosessualità può avvenire in età tardiva e spesso dopo un percorso di vita eterosessuale e un’esperienza di genitorialità. Nell’adulto la scoperta di sé può essere ancora più disorientante anche perché completamente immerso in un tessuto familiare e sociale che rimanda continuamente la sua diversità dalle aspettative di ruolo e la sua non normatività.
Una persona in tali condizioni può arrivare a perdere il controllo di se stessa, rifugiarsi in un isolamento completo o adire condotte impulsive e fortemente trasgressive ed irresponsabili. La scoperta tardiva può essere considerata una “nuova adolescenza” con tutti gli incerti, i dubbi, la confusione, le paure e l’angoscia tipica di questa fase ma con un’età anagrafica che lascia poca possibilità di sperimentazione, ridefinizione, ripensamenti.[10]
L’adulto che si scopre omosessuale profonderà inizialmente ancora più sforzi nel cercare di conformare la propria sessualità alle aspettative sociali, familiari, amicali, rinforzando ulteriormente la concezione di sé come persona non desiderabile.
Nel caso di un genitore, il timore sarà di viversi improvvisamente incompetente ad essere una buona guida per i figli.[11] Spesso la vera identità verrà celata e mascherata sotto rapporti eterosessuali di comodo e di facciata per salvaguardare l’integrità personale e la propria identità sociale. Tutto questo potrebbe generare una grande sofferenza data dal non riconoscersi, accogliersi e viversi come realmente si è, costretti a vestire panni che non sono i propri.
Anche in questo caso, come educatori all’interno di un percorso di pedagogia familiare, e come società educante, occorre farsi carico del particolare cammino che la persona intraprende per giungere alla piena realizzazione della propria identità, supportando e sostenendo sia il percorso di integrazione di sé, sia il ruolo genitoriale. Sostenere il genitore diventa allora sostenere i figli e l’intera famiglia.
In ultima analisi occorre fare un breve cenno al problema dell’omofobia che ostacola profondamente l’accoglienza di sé come persone omosessuali. L’omofobia è «il disagio, la svalutazione, l’avversione, su base psicologico-individuale e/o ideologico-collettiva, nei confronti delle persone omosessuali e dell’omosessualità stessa. E’ sistema di credenze e stereotipi che mantiene giustificabile e plausibile la discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale».[12]
La società è intrisa di atteggiamenti e messaggi omofobici, la cultura di molti paesi è ancora estremamente discriminante verso la condizione omosessuale ed assolve una chiara funzione difensiva per mantenere un necessario e rassicurante equilibrio sociale, fondato su valori condivisi e riconosciuti, ma intolleranti verso altre realtà. In questo caso la società rischia di proiettare all’esterno le proprie paure ed emarginare l’omosessuale perché portatore di un orientamento che incute timore e perpetua il pericolo della destabilizzazione.[13]
L’omofobia poggia il suo fondamento sull’ eterosessismo o eterormatività della società, ovvero la credenza che l’eterosessualità sia l’unica via di realizzazione del proprio sé, che non esistano percorsi alternativi e che l’autenticità della persona passi solo attraverso l’accettazione dei comportamenti, pensieri, sentimenti e atteggiamenti veicolati dalla maggior parte della società.[14]
Non si vuole esprimere alcuna valutazione morale ma sottolineare che, educativamente parlando, non ascoltare le istanze delle persone omosessuali, con il diritto ad una piena realizzazione della loro identità integrata nella vita sociale, rappresenta un grande rischio di inautenticità e alienazione della persona stessa.
L’atteggiamento fortemente omofobico, sia di molte famiglie che della società, spingono la persona omosessuale verso l’omofobia interiorizzata ovvero un insieme di atteggiamenti negativi che il soggetto prova, più o meno consapevolmente, verso la propria ed altrui omosessualità identificandosi come soggetto non desiderabile o “sbagliato”.
Questo porta a tutta una serie di conseguenze: scarsa accettazione e stima di sé, forme di avversione profonda e odio nei confronti di se stessi, sentimenti di incertezza, inferiorità e vergogna, incapacità di comunicare agli altri la propria vera essenza, convinzione di essere rifiutati a causa della propria identità, identificazione con gli stereotipi e pregiudizi discriminatori.[15]
Spesso l’omosessuale diventa il peggior persecutore di se stesso cosicché il vero nemico da combattere è quella voce interiore che continua ad esprimere il proprio essere invisibile, illegittimo, clandestino nel proprio stesso corpo. Nessuno sceglie di essere omosessuale altrimenti è chiaro che, dovendo fronteggiare una simile avversione e fobia personale e sociale, non avrebbe mai optato per un orientamento e un cammino costellato di sofferenze e difficoltà .Questo è un punto di vista che come società educante non si dovrebbe mai dimenticare.
Non è possibile addentrarsi ulteriormente nella trattazione dell’omofobia ma risulta chiaro che, pedagogicamente parlando, come comunità educante ci si debba porre il problema di come accompagnare la persona omosessuale, giovane o adulta, nel suo percorso di integrazione.
Questo risulta meno agevole in una società che, ritenendo l’eterosessualità l’unico orientamento esistente e l’unica norma valida, non agevola la costruzione serena del proprio sé fino ad arrivare all’intolleranza agita nei gesti e nei comportamenti e all’attacco, a volte purtroppo ancora mortale, di chi si pone fuori dai canoni di “normalità”.
_______
[1] Cfr. M. CASTAÑEDA, Comprendere l’omosessualità, p. 27.
[2] Cfr. Ibidem, p. 67.
[3] Cfr. M. CASTAÑEDA, Comprendere l’omosessualità, p. 57.
[4] Cfr. Ibidem, p. 64.
[5] Cfr. M. CASTAÑEDA, Comprendere l’omosessualità, p. 68.
[6] Cfr. P. RIGLIANO, Amori senza scandalo, p. 126.
[7] Cfr. Ibidem, p. 125.
[8] Cfr. A. DI LUOFFO, Educazione al rispetto delle omosessualità, 2008, p. 53.
[9] Cfr. L. PIETRANTONI, L’offesa peggiore. L’atteggiamento verso l’omosessualità: nuovi approcci psico-logici ed educativi, p. 53.
[10] Cfr. M. CASTAÑEDA, Comprendere l’omosessualità, p. 72.
[11] Cfr. A. DI LUOFFO, Educazione al rispetto delle omosessualità, 2008, p. 68.
[12] V. LINGIARDI, Citizen Gay. Famiglie, diritti negati e salute mentale, Milano, Il Saggiatore, 2007, p. 127.
[13] Cfr. M. CASTAÑEDA, Comprendere l’omosessualità, p. 108.
[14] Cfr. C. CHIARI – L. BORGHI, Psicologia dell’omosessualità. Identità, relazioni familiari e sociali, p. 65.
[15] Cfr. V. LINGIARDI, Citizen Gay. Famiglie, diritti negati e salute mentale, p. 127.
* Alessandra Bialetti, vive e opera a Roma come Pedagogista Sociale e Consulente della coppia e della famiglia in vari progetti di diverse associazioni e realtà laiche e cattoliche. Il suo sito web è https://alessandrabialetti.wordpress.com/