Padre James Martin: “Il celibato sacerdotale non è la causa degli abusi sessuali”
Articolo di padre James Martin SJ* pubblicato sul sito del settimanale gesuita America (Stati Uniti) il 15 dicembre 2017, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Il 15 dicembre [2017] il tribunale australiano incaricato di investigare sugli abusi sessuali sui minori ha consigliato alla Chiesa Cattolica di abolire il celibato sacerdotale e ha proposto che i sacerdoti vengano perseguiti se non riportano alle autorità le prove di pedofilia che apprendono in confessione. Nel 2010 padre James Martin scrisse un articolo per spiegare perché il celibato non è la causa degli abusi sessuali nella Chiesa Cattolica.
Molti fattori sono in gioco dietro lo scandalo degli abusi sessuali nella Chiesa Cattolica: questa ne è una lista estremamente breve, e perciò incompleta. Per prima cosa, l’inadeguata cernita degli aspiranti al sacerdozio conduce uomini con patologie psicologiche ad essere ordinati. Quando alcuni vescovi hanno ricevuto segnalazioni di abusi sessuali, queste sono state tragicamente sottovalutate o ignorate. Secondo, spesso i crimini sessuali non sono stati denunciati all’autorità civile, un po’ per il dovere che pensano di avere certi vescovi di “evitare scandali”, un po’ per paura di andare in tribunale, un po’ per la poca disponibilità ad affrontare il sacerdote colpevole. Terzo, non riuscendo a capire la gravità degli effetti degli abusi sulla vittime, dando troppo affidamento alle cure di certi psicologi e privilegiando le richieste dei sacerdoti alla cura pastorale delle vittime, alcuni vescovi hanno trasferito i sacerdoti colpevoli di parrocchia in parrocchia, dove continuavano a mietere vittime.
Questa è una enorme semplificazione, che non tiene conto di molte cause importanti, ma in generale rende l’idea delle ragioni che stanno dietro a questi crimini. (Notate che ho scritto ragioni e non scuse. Non ci sono scuse per questi crimini.)
Questa è anche, in breve, la conclusione di un’approfondito studio del National Review Board, un gruppo indipendente di laici cattolici creato dai vescovi statunitensi nel 2002, in seguito al primo scandalo abusi nella Chiesa americana. Le analisi del gruppo hanno condotto alla politica di “tolleranza zero” della Gerarchia negli Stati Uniti.
Nella lista dei fattori non compare il celibato, perché il celibato non è la causa della pedofilia. Questo però non ha impedito a dotti opinionisti e intellettuali, tra cui alcuni cattolici, a indicare il celibato come causa degli scandali.
Nello stesso periodo in cui il National Review Board ha pubblicato il suo studio, il John Jay College of Criminal Justice (Facoltà John Jay di Diritto Penale) ha concluso uno studio a livello nazionale secondo cui circa il 4% dei sacerdoti americani è stato accusato di abusi commessi nel periodo tra il 1950 e il 2002. Un singolo caso di abuso sarebbe già troppo, ma questa percentuale di pedofili è la metà di quella rilevata tra i maschi negli Stati Uniti: uno su dieci, secondo Ernie Allen, presidente del National Center for Missing and Exploited Children (Centro Nazionale dei Bambini Scomparsi e Maltrattati). (In un articolo comparso su Newsweek nel 2010, Margaret Leland Smith, una ricercatrice della John Jay, ha stimato la percentuale essere più vicina al 20%). “Noi non crediamo che la Chiesa Cattolica sia un nido di pedofili o un’istituzione che ospiti più pedofili di altre” ha dichiarato Allen a Newsweek.
Nel loro libro incisivo intitolato Predatory Priests, Silenced Victims (Preti predatori e vittime zittite), la psicologa ed esperta di abusi sui minori Mary Gail Frawley-O’Dea e la sua collega Virginia Goldner fanno notare come tali abusi avvengano anche per mano di pastori protestanti, rabbini ebrei, imam musulmani, monaci buddhisti e responsabili Hare Krishna, ma questi fatti non impediscono agli opinionisti di additare il celibato sacerdotale come causa principale degli abusi sessuali.
Ma tutto questo non ha senso. Per prima cosa, se il 4% dei sacerdoti statunitensi è stato accusato di abusi, rimane un 96% che non è stato accusato di nulla e che conduce una vita sana e produttiva nella sua parrocchia. (Per metterla in un altro modo: se il celibato conduce all’abuso, perché non è pedofilo anche l’altro 96% dei sacerdoti?) Seconda cosa, il 30% degli abusi avviene in famiglia, eppure nessuno sano di mente direbbe che il matrimonio è causa degli abusi. Quando un insegnante abusa di un allievo, nessuno sano di mente direbbe che l’insegnamento è causa degli abusi. Molte vedove e vedovi, per non parlare delle persone single, non hanno nessuna relazione sentimentale, eppure nessuno li sospetta di essere pedofili. Allora perché il celibato dei sacerdoti cattolici dovrebbe fare eccezione?
La critica al celibato sacerdotale proviene dal fatto che lo si comprende poco. Astenersi volontariamente dal sesso, così pensa la gente, è contronatura; esclude una parte naturale della vita, e conduce quindi ad avere comportamenti poco sani. È cosa poco sana, così si dice, perciò il sacerdozio attrae solo persone problematiche. Altri affermano che il celibato è impossibile, perciò i preti che dicono di essere celibi, mentono. La maggior parte della gente non conosce nessun prete, nessun religioso o religiosa, e tendiamo a demonizzare ciò che non conosciamo. Sono facili stereotipi che nascono dalla frustrazione e dalla paura.
Vorrei perciò parlare di celibato dalla mia condizione di uomo celibe. (Tecnicamente, i preti diocesani fanno una promessa di celibato, cioè di non sposarsi; i membri degli ordini religiosi, invece, fanno voto di castità. All’atto pratico, però, le due cose funzionano nello stesso modo, e i due termini sono intercambiabili.)
Uno dei molti scopi del celibato è amare la gente il più liberamente e profondamente possibile. Questo può sembrare strano a chi è abituato a definire in modo negativo la castità religiosa, vale dire, insistendo sulla mancanza di rapporti sessuali, ma da lungo tempo questa è la Tradizione della Chiesa. A parte le sue varie radici, la castità religiosa è stata pensata come un altro modo di servire il prossimo e la comunità, e può darsi che abbia qualcosa da insegnare a chiunque, non solo alle persone consacrate.
Per quanto riguarda noi gesuiti, per fare l’esempio dell’ordine a cui appartengo, la castità serve a renderci più liberi, per servire più prontamente il prossimo. Non siamo legati ad una persona in particolare, ed è più facile per noi passare a un altro incarico. Come affermano le Costituzioni gesuite, la castità è “essenzialmente apostolica”; dovrebbe aiutarci ad essere “apostoli” migliori, più liberi di rispondere a alle esigenze di chi ci sta attorno. La castità dovrebbe essere amore più libertà.
Ovviamente, il celibato non è per tutti; se lo fosse, il mondo sarebbe molto più piccolo. La stragrande maggioranza della gente è chiamata all’amore romantico, al matrimonio, all’intimità sessuale, ai figli e alla vita di famiglia. Il loro principale canale d’amore sono i coniugi e i figli. È un amore più esclusivo, che si concentra su poche persone. Questo non vuol dire che le coppie sposate e i genitori non amino nessuno al di fuori della loro famiglia, solo che l’oggetto principale del loro amore è la famiglia.
Il consacrato e la consacrata cattolici vivono una situazione ben diversa. Fanno la promessa di celibato o pronunciano il voto di castità per offrirsi a Dio nella maniera più piena possibile e per rendersi disponibili ad amare quante più persone possibile. Questo non vuol dire che le persone sposate o single, oppure il clero delle altre religioni, non possa fare lo stesso, solo che questo è ciò che sembra funzionare per noi. È una via tra le tante.
Questa potrebbe essere un’intuizione valida per una cultura che considera il sesso il modo migliore, se non l’unico, di esprimere l’amore: la castità e il celibato ci dicono che esistono altri modi. Alcune delle persone più amorevoli che conosco sono uomini e donne casti, che mi dimostrano il loro amore in modo non sessuale: mi fanno compagnia quando sono giù, condividono con me le loro gioie e le loro pene, mi stanno persino ad ascoltare mentre mi lamento. La sana castità è lì a ricordarci che è possibile amare senza avere un rapporto esclusivo con qualcuno e senza essere sessualmente attivi. Al di là del sesso, esistono molti modi di amare, attraverso azioni altrettanto significative.
Chi ama di più: la coppia innamoratissima con una vita sessuale molto attiva, la coppia di mezza età molto impegnata, che fa l’amore meno di frequente per via degli impegni famigliari, o la coppia di teneri anziani i quali, per via degli acciacchi, non sono più sessualmente attivi? Chi ama di più: l’uomo sposato che ama sua moglie, o la donna single che ama il suo cerchio di amicizie? Chi ama di più: il sacerdote che, nel suo sano celibato, lavora molte ore per i suoi parrocchiani, o la moglie sessualmente attiva che adora suo marito? La risposta è che tutti loro amano, in modo diverso.
Con questo non voglio negare che alcuni sacerdoti abbiano voluto “nascondere” le loro predilezioni sessuali malate e il desiderio di dare la caccia ai bambini ritirandosi nel celibato sacerdotale come fosse un bozzolo protettivo, ma questo non significa che il celibato sia causa della pedofilia, non più del matrimonio, del fare figli o dell’insegnamento. Non vuol dire nemmeno che il celibato sia la maniera migliore di organizzare il sacerdozio, o che sarà per sempre la regola per il clero diocesano: la Chiesa Cattolica ha già cominciato ad ammettere nei suoi ranghi il clero sposato proveniente dalla Comunione Anglicana. Non vuol dire nemmeno che un clero composto esclusivamente da maschi non abbia, lungo i secoli, nutrito una cultura d’élite, che ha privilegiato le esigenze dei sacerdoti stessi su quelle dei laici, ma questo ha più a che fare con il potere che con il celibato in sé e per sé. E non vuol dire nemmeno che affidare ruoli ecclesiastici chiave a donne e uomini sposati non abbia dato un maggior vigore alla denuncia degli abusi sessuali. Ma nulla di tutto questo implica che di per sé il celibato induca un individuo a compiere abusi.
Gli stereotipi sul celibato confondono ancora di più per poco che uno pensi alla vita di alcune tra le figure religiose (e celibi) più amate di tutti i tempi: san Francesco d’Assisi, santa Teresa d’Ávila, papa Giovanni XXIII, l’arcivescovo Óscar Romero, madre Teresa e, per gran parte della sua vita, il Mahatma Gandhi.
Senza contare il fatto che, quasi sicuramente, Gesù era celibe (i vangeli parlano liberamente di sua madre, dei suoi fratelli e delle sue sorelle. Sarebbe strano se avesse avuto una moglie e non fosse mai menzionata). Forse Gesù è rimasto celibe per esprimere l’impegno per la sua personale missione, o forse perché era consapevole che la sua vita randagia sarebbe stata difficile da sopportare per una moglie, o forse perché ha voluto risparmiare a una possibile sposa le sofferenze che prevedeva avrebbe patito.
Gesù era celibe: questo non significa che fosse un pedofilo, o che io lo sia, né che lo sia la grande maggioranza dei sacerdoti. Gli stereotipi sui sacerdoti celibi sono assurdi e pericolosi, come quelli su altre prassi religiose non ben comprese, o quelli su gruppi poco conosciuti. Voi probabilmente non praticate il celibato, forse non approvate il fatto che sia prescritto per i consacrati e non lo capite fino in fondo, ma questo non significa che siete autorizzati a condannarlo, tanto meno a indicarlo come causa di un problema dalle radici molto più complesse.
* Il gesuita americano James Martin è editorialista del settimanale cattolico America ed autore del libro “Un ponte da costruire. Una relazione nuova tra Chiesa e persone Lgbt” (Editore Marcianum, 2018). Padre James ha portato un contributo sull’accoglienza delle persone LGBT nella Chiesa Cattolica all’Incontro Mondiale delle Famiglie Cattoliche di Dublino e ha portato una sua riflessione anche al 5° Forum dei cristiani LGBT italiani (Albano Laziale, 5-7 ottobre 2018).
Testo originale: It’s not about celibacy: Blaming the wrong thing for sexual abuse in the church