Perche Cristo ci chiama ad accogliere le persone LGBT+?
Riflessioni* di Tiro Angelo Daenuwy SJ** pubblicate sul sito gesuita Outreach (Stati Uniti) il 24 maggio 2022, liberamente tradotte da Giacomo Tessaro
Molti anni fa, tramite un confratello gesuita che viveva nella nostra comunità, conobbi una famiglia, formata da due genitori diplomati in un liceo gesuita, un figlio e una figlia. Sembrava una famiglia perfettamente felice: la figlia assomigliava al padre, mentre il figlio ricordava la madre.
Pochi mesi dopo esserci conosciuti, la madre mi chiese di parlarmi riguardo sua figlia, che si era appena laureata e lavorava all’estero, ma che non riusciva a comprendere. Alla fine incontrai ambedue i genitori nella nostra residenza gesuita.
La madre aveva paura di perdere sua figlia. Dopo averla sentita descrivere la relazione con sua figlia, ho compreso quanto fosse difficile per lei ammettere che fosse lesbica. La ragazza aveva fatto coming out con i genitori e aveva raccontato loro la sua scoperta della sessualità, ma la madre rifiutava di accettare e di comprendere l’identità della figlia. Pensava che forse stava frequentando cattive compagnie: la ragazza aveva la passione per la giustizia sociale, e forse aveva simpatizzato troppo con le minoranze sessuali, che l’avevano “infettata”.
La madre ferì i sentimenti della ragazza, e dopo una serie di litigi la loro relazione divenne fredda, la madre si fece confusa e temette di poter perdere la figlia. Sperava che un giovane gesuita come me potesse riportare alla ragione la sua figliola “prodiga”.
Ero in una situazione difficile: la madre si aspettava che io facessi da mediatore, anche se dovevo essere neutrale e astenermi da posizioni moralistiche: Chi sono io per giudicare?
Finalmente, dopo aver contattato la ragazza via Instagram, seppi della lotta che aveva dovuto sostenere per comprendere la sua identità sessuale.
Per le persone eterosessuali e cisgender, che sono considerate “la norma” dalla società, può essere difficile accettare il fatto che esistono diverse identità sessuali.
Le persone eterosessuali e cisgender possono dare per scontato che la gente attorno a loro abbia la loro medesima identità sessuale; per loro, l’essere umano “normale” è quello attratto esclusivamente dal sesso opposto. Se l’eterosessualità è naturale, allora ogni persona che non rientra in questo schema viola la natura stessa. D’altro canto, una persona LGBTQ che vive in un mondo eterosessuale potrebbe sentirsi fuori posto, financo depressa, perché non potrebbe adattare il suo orientamento sessuale alla “norma”.
Questo è un problema serio, in quanto molte persone che si identificano come queer vengono spinte verso le “cure” offerte da molti istituti, ma ciò che dovrebbe “curare” spesso non fa che peggiorare le cose: non si può “curare” l’orientamento sessuale, né tantomeno l’attrazione.
Molte persone queer tentano di nascondersi da se stesse e dagli altri apparendo “normali”; in casi estremi, molte scelgono di togliersi la vita, ma altre scelgono di vivere una vita non autentica. Chi invece sceglie di apparire così com’è, spesso deve lottare costantemente con chi non lo vuole accettare.
Gli Indonesiani, in generale, non accettano la comunità LGBTQ: secondo un sondaggio condotto dal Pew Research Center nel 2019, solamente il 9% degli Indonesiani accetta le persone omosessuali.
Sfortunatamente, l’orientamento sessuale non è qualcosa che possa essere inferito dall’apparenza esteriore di una persona: se potesse essere identificato per via del colore della pelle, dai capelli, o da qualche segno sulla pelle, forse sarebbe più facile capire che è una cosa del tutto naturale.
Nonostante questo, la realtà delle identità sessuali non può essere negata da chi la vive, eppure molti pretendono che le identità sessuali non-normative siano una scelta egoista che alcuni compiono perché fa “trendy”.
I punti di vista della madre e della figlia hanno ambedue le loro complessità, e questo mi ha reso difficile gettare un ponte tra di loro senza l’aiuto di un mediatore. L’unica speranza che hanno è il comune legame famigliare, ma se una rifiuta di comprendere l’altra, non è certo una situazione ideale.
La paura innescata dagli stereotipi negativi che circondano le persone LGBTQ hanno avuto il sopravvento sulla necessità della figlia di venire compresa. La madre temeva che la figlia potesse vivere una vita triste e solitaria. Forse è convinta che le persone queer non possano avere una vita sana e soddisfacente. Possono certo adottare bambini, o concepirli attraverso le tecnologie mediche, ma sono in grado di allevarli e di occuparsi di loro?
Queste paure, però, vengono da una conoscenza lacunosa. La madre aveva paura che la figlia non sarebbe mai stata felice, e che non avrebbe mai avuto una vita degna di questo nome, ma è un punto di vista che va modificato: sua figlia non troverebbe mai la felicità (o si allontanerebbe dalla famiglia, in casi estremi) solo se sua madre non cambiasse idea.
Non è certo edificante che la maggior parte della retorica antiomosessuale sia basata su pochissimi passi biblici estrapolati dal loro contesto per poter attaccare le persone LGBTQ come nemici della natura che vanno eliminati. Se noi crediamo che il nostro Dio è un Dio d’Amore, questo tipo di retorica non è incompatibile con la Sua compassione? Si tende a dimenticare che la violenza è anche verbale, e viene esercitata su innumerevoli bambini e bambine che vengono bullizzati solamente perché non sono abbastanza mascolini o femminili. Le parole di odio lanciate verso di loro hanno creato l’illusione che il mondo non li accetti per quello che sono.
Noi cristiani siamo chiamati a seguire Gesù, e a fare nostri i suoi insegnamenti nelle nostre vite. Gesù ci ha sempre indicato la via dell’amore, e ripreso coloro che si consideravano santi. Ha mostrato le virtù dell’umiltà e dell’apertura verso le persone emarginate dalla società, come gli agenti delle tasse e le prostitute.
Seguiremo Gesù e i suoi insegnamenti solamente per un particolare tipo di persone? La Bibbia lo ritrae mentre permette alla persone di far sentire la loro voce e di essere considerate eguali, e arriva a incontrarsi e parlare con un indemoniato nudo di cui tutti avevano paura (Marco 5:1-20).
Purtroppo spesso le persone LGBTQ finiscono per essere pecore separate dal loro gregge, e nella solitudine che ne deriva devono cercare le loro risposte e scoprire altre comunità, che le accettino per quello che sono. Per chi non fa parte della loro comunità spesso è più facile ridurle al silenzio o riprenderle, piuttosto che permettere loro di parlare ed essere capite.
Forse noi, comunità ecclesiale, dobbiamo essere come Gesù, sempre disponibile a capire chi è considerato “anormale”. Forse siamo più interessati a servire chi è “normale”, perché non crea problemi.
Ma cosa fare quando “l’anormale” è un membro della nostra famiglia, o siamo noi stessi? Saremo disposti ad andare da queste persone e ascoltare chi è messo ai margini della società?
* Articolo originariamente pubblicato in indonesiano.
** Tiro Angelo Daenuwy SJ è un novizio gesuita che sta conseguendo un master in teologia alla Pontificia Facoltà di Teologia Wedabhakti dell’Università Sanata Dharma, in Indonesia. Ha conseguito una laurea in antropologia all’Università Marquette nel Wisconsin.
Testo originale: Christ calls us to welcome LGBTQ people