Perché i transessuali sono spesso (erroneamente) associati alla prostituzione
Articolo di Maddalena Mosconi pubblicato sul sito Huffington Post Italia il 21 maggio 2013
Nell’immaginario collettivo degli italiani, come è evidenziato dall’esperienza professionale e dalla “vulgata” dei mass-media, la realtà transessuale viene costantemente ed erroneamente associata al fenomeno della prostituzione: i mezzi di comunicazione troppo spesso sovrappongono i due concetti. Questo non fa che peggiorare la qualità di vita delle persone transessuali, che fanno molta fatica a parlare della loro condizione perchè preoccupate che questo possa rappresentare un motivo per essere associate al mondo della prostituzione.
Mi sembra importante prima di tutto sottolineare che la prostituzione riguarda di fatto solo una parte della popolazione transessuale: le MtF (sigla che indica il percorso dal maschile al femminile).
Inoltre la pratica di tale attività in passato è stata sicuramente rinforzata dal fatto che, attraverso il suo esercizio, si riusciva, in tempi brevi, a guadagnare le ingenti somme di denaro necessarie per gli interventi ormonali, chirurgici ed estetici effettuati presso strutture private o, troppo spesso, addirittura clandestine, condizione questa di grande rischio per la salute della persona.
Nel Servizio presso cui lavoro (SAIFIP) solo il 24% delle persone transessuali MtoF ha avuto esperienze di prostituzione. La maggior parte svolge lavori assolutamente nella “norma” ed è integrata all’interno del mondo del lavoro (il 64% sono occupati). Le nostre ricerche evidenziano come le difficoltà economiche siano solo uno dei fattori in grado di orientare una persona verso questa scelta che, per le sue implicazioni, ha comunque sempre alla base complesse motivazioni di carattere personale.
In tema di transessualismo sembra che la multiforme esperienza nel mondo della prostituzione costituisca un forte sostegno all’identità femminile della persona. L’uso di abiti appariscenti, di tacchi alti e di gioielli vistosi, l’esposizione pubblica ed esasperata del corpo, solo a volte caratterizzato da curve iper-femminili, rappresentano un potente insieme di auto ed etero segnali in grado di dare alla persona ciò di cui sente più il bisogno: la conferma della percezione di sé come donna. Inoltre l’esercizio dell’attività costituisce un forte rispecchiamento per l’identità di genere: rimanda alla persona un’immagine di sé non solo come donna, ma come femmina desiderabile e desiderata “a qualunque prezzo”, addirittura più desiderata di una “vera donna”.
A questo proposito può essere utile riportare la testimonianza di Maria, una donna transessuale che, all’interno dei colloqui psicologici, mi racconta la sua esperienza nel mondo della prostituzione. “Nel momento in cui ho capito di essere transessuale, il mio desiderio di vestirmi e presentarmi come donna ha prevalso su tutto il resto. Allo stesso tempo avevo una grande paura di vestirmi al femminile nella vita di tutti i giorni, temevo che le persone potessero prendermi in giro e accorgersi della mia vera identità. Per questo ho iniziato a prostituirmi.
Nonostante la soddisfazione di essere ammirata e desiderata al femminile, ho sempre provato un forte disgusto durante i rapporti sessuali, soffrivo e urlavo in silenzio. Anche perché la maggior parte dei clienti mi chiede di avere rapporti attivi e , quando vengono a sapere che non li pratico, mi scaricano”.
A tal proposito è bene ricordare quanto il mercato della prostituzione transessuale sia fiorente e, soprattutto, quanto sia enfatizzato dai mass-media. Ci tengo a sottolineare, inoltre, le profonde differenze tra la condizione dei viados e quella delle persone transessuali. I primi sono uomini, quasi sempre sudamericani, che si travestono al femminile, a volte fanno l’intervento al seno, per guadagnare più soldi e, nel momento in cui decidono di ritornare nel paese d’origine, si tolgono le protesi e tornano a presentarsi al maschile.
Per queste persone non ci sono problemi ad avere rapporti attivi con altri uomini, anche per questo guadagnano molti soldi; gli uomini, o almeno la maggior parte, sono disposti a pagare di più pur di “essere penetrati” e di avere rapporti non protetti. E’ importante sottolineare che per le persone transessuali MtoF l’attività sessuale è quasi sempre motivo di profondi conflitti interiori e di grande sofferenza. Il forte rifiuto del proprio corpo e degli organi genitali in particolare rende, questa sfera della vita, una tra le più problematiche.Le persone desiderano vivere la loro sessualità in armonia con l’identità psichica che il loro corpo non rispecchia, ma disconferma.
Nel tentativo di superare questo limite, o quanto meno di abbassare i livelli d’ansia legati a questo vissuto, alcune persone, pur coinvolgendosi in una relazione sessuale, durante i rapporti non si spogliano completamente o cercano la complicità delle luci spente.
Tornando alla storia di Maria mi sembra molto importante sottolineare come per lei, ora nel momento iniziale del suo percorso di adeguamento, quando prevalgono le insicurezze, le paure e i vissuti d’ansia, sia fondamentale cercare di mostrare ed esibire il più possibile la sua femminilità. E’ proprio per tale motivo che spesso le persone transessuali MtoF utilizzano, nelle fasi iniziali del loro percorso, un abbigliamento marcatamente femminile. Spesso arrivano ai colloqui in ospedale con tacchi alti, vestiti da sera e molto truccate, un abbigliamento assolutamente inadeguato rispetto a un contesto ospedaliero. Mi riportano con gratificazione il commento volgare ricevuto nel corridoio dell’ospedale, ed è proprio questo che permette loro di sentirsi viste e soprattutto desiderate.
Nel corso del tempo questo bisogno viene meno; quando la terapia ormonale inizia a dare degli evidenti risultati e il percorso di accettazione della propria condizione procede, non solo iniziano a indossare un abbigliamento più sobrio ma, soprattutto, provano fastidio per certi tipi di commenti. In questo momento si può iniziare a lavorare su cosa significhi e cosa comporti essere vestiti con la minigonna e i tacchi a spillo piuttosto che con i pantaloni e le scarpe basse.
In conclusione vorrei sottolineare ancora una volta che l’esperienza della prostituzione riguarda solo una bassa percentuale di persone transessuali e che spesso i giornali e le televisioni parlano solo delle prostitute transessuali tralasciando completamente la realtà dei clienti che con le loro richieste “particolari” spesso non mostrano alcun rispetto per la persona che hanno davanti.