Perchè la Chiesa cattolica, sulla morale sessuale, è una urlatrice muta
Articolo di Volker Resing* pubblicato sulla rivista mensile cattolica Herder Korrespondenz (Germania) n° 7 del luglio 2015, pp.332-333, libera traduzione di finesettimana.org
La morale sessuale della Chiesa non ha quasi più alcuna risonanza. Più importante che mai sarebbe la messa a fuoco della sostanza del messaggio. Quello che occorre è una riflessione autocritica dei propri errori per recuperare credibilità – anche per i dibattiti attorno al cosiddetto matrimonio gay e alle teorie gender.
È proprio di sesso che si tratta. Il vescovo di Passau, Stefan Oster, lo ha affermato in un commento su Facebook, e sembrava che avesse fatto lui un gran scoperta. Però ha ragione. Da circa un anno il mondo cattolico torna a discutere con vigore di questioni di matrimonio e famiglia. I temi sono l’atteggiamento verso i divorziati risposati e l’omosessualità, convivenze, fedeltà, responsabilità. Appunto, come scrive Oster, in sostanza, soprattutto di sesso. Che però rimane implicito. Nascosto. Vergognoso.
Naturalmente dietro alle diverse problematiche ci sono molti altri ambiti complessi e delicati, naturalmente ci sono molti contributi e molte valutazioni importanti provenienti dai differenti contesti, però la gran parte dei dibattiti si occupa non della sostanza, ma del suo “annebbiamento”. Bisogna ad esempio constatare che, nel dibattito ecclesiale, su entrambi i fronti, si è diffuso e affermato un linguaggio lontano dal reale [eine Sprache des Uneigentlichen] che contribuisce considerevolmente alla paralisi all’interno della Chiesa, e ad un atteggiamento che va dalla incomprensione fino al totale non-ascolto a livello di opinione pubblica.
Davanti ad ogni posizione è evidente che la Chiesa, in un ambito in cui per secoli era stata determinante, ha perso autorità – almeno nel mondo occidentale, ma chiaramente anche al di là. Questa cosa non è del tutto nuova, ma si sta ulteriormente acutizzando in maniera drammatica. Per quanto riguarda l’ambito più intimo della morale, alla Chiesa nel frattempo manca la competenza linguistica. È interessante notare che questo vale sia per posizioni ritenute progressiste che per visioni considerate conservatrici. Qui la Chiesa si è impappinata e bloccata in se stessa – a volte anche con una spaventosa autosufficienza.
“Linguaggio lontano dal reale” [Sprache der Uneigentlichkeit] vuol dire che troppo spesso si gira attorno al problema. Il vescovo Oster commenta nel suddetto intervento la dichiarazione del Comitato centrale dei cattolici tedeschi (ZdK) sul tema della benedizione di convivenze omosessuali. Il ZdK si esprime a favore di una benedizione perché, dice, anche in altre forme di convivenza possono essere vissuti certi valori del matrimonio. Oster si scandalizza di questo concetto di valori. Perché non si tratterebbe solo di fedeltà, disponibilità alla riconciliazione e impegno reciproco, in quanto tutto questo lo si può trovare anche nelle amicizie – perfino in bande di gangster possono essere vissuti dei “valori”.
Invece una convivenza deve essere avallata comprendendo anche la prassi sessuale, riconosce Oster. Ma questo si scontra con la dottrina della Chiesa. “La fede e la Scrittura non si basano primariamente su valori, ma sulla rivelazione”, così lo esprime il vescovo di Passau. Invece il ZdK sta dimenticando “aspetti essenziali dell’immagine biblica dell’essere umano e del modo di intendere la rivelazione biblica”. E questo solo a causa della questione sessuale?
Oster ha ragione nel constatare che la morale sessuale effettivamente infastidisce il ZdK. Naturalmente la maggioranza del ZdK vuole – e lo vogliono anche molti cattolici – che coppie dello stesso sesso abbiano il diritto di convivere e di praticare sesso – senza essere giudicati dalla Chiesa.
Naturalmente la richiesta di un atto di benedizione per la “comunione di responsabilità” è un po’ come un cavallo di Troia dal punto di vista politico-ecclesiale, per non richiedere apertamente il cambiamento della morale sessuale. Lo stesso vale per la faccenda dei rapporti sessuali al di fuoridel matrimonio (fornicazioni) o del divorzio (rottura del matrimonio). Ma questo modo di parlare complicato e indiretto nella Chiesa c’è appunto da entrambe le parti e in tutti gli angoli. Oster argomenta che nei modi di vedere della Chiesa nulla è cambiato da 2000 anni. Perché mai dovrebbe cambiare qualcosa adesso, si chiede. Questo è certamente un oscuramento della genesi della tradizione.
Come se nella storia della Chiesa, la sessualità (praticata!), soprattutto la sessualità femminile, da sempre e senza eccezioni fosse stata considerata “un meraviglioso dono di Dio” (così la definisce oggi Oster). Anche solo la discrepanza tra Agostino e Tommaso d’Aquino illustra già una parabola (di apprendimento) talmente forte, che alla fine bisogna davvero smetterla di parlare di una ininterrotta continuità di 2000 anni. Anche questo è un oscuramento della testimonianza che contribuisce allo svuotamento della dottrina.
C’è una fissazione sulla sessualità, così che – per quanto la cosa sia paradossale – non si rende giustizia al mistero della sessualità – alcuni parlano perfino di santità della sessualità – e appunto la si trasforma nel suo contrario. Nella questione dell’ammissione ai sacramenti dei divorziati risposati, questo viene alla luce esemplarmente, quando si propugna il “matrimonio in bianco”, anche nell’interesse dei figli, cioè una convivenza in cui si rinuncia alla sessualità. Solo l’assenza dell’atto sessuale nobilita allora la nuova relazione e fa quasi apparire meno tragica una separazione, un divorzio, un abbandono del partner.
Ma come si può trasmettere ai giovani un atteggiamento responsabile verso il “meraviglioso dono della sessualità”, se la forma più alta è la rinuncia allo stesso? Non è il messaggio, ma proprio la lingua della dottrina che ha portato all’impasse totale. Il cardinale di Vienna Christoph Schönborn ha una volta attirato l’attenzione su un simile paradosso. Nei confronti dei giovani, affermava, la Chiesa si concentra con tutte le sue forze a bollare negativamente il contatto sessuale prima del matrimonio, invece di puntare in positivo sulle nascenti convivenze e matrimoni.
Sarebbe un compito immane, di fronte a “Youporn” o “Sexting”, puntare sulla bellezza della sessualità nell’ambiente protetto di rapporti d’amore o matrimoniali responsabili e duraturi, e sostenerlo. La Chiesa non è più capace di far questo, con la sua stessa morale si è atrofizzata trasformandosi in una muta urlatrice che si è rovinata le corde vocali con problemi di dettaglio come i metodi contraccettivi nel matrimonio.
L’ottimismo normativo della Chiesa nella storia ha spesso avuto anche un effetto positivo, ma attualmente in alcuni ambiti si è irrigidito. Fortunatamente molte persone sono più intelligenti di quanto non pensino delle cassandre cristiane: la maggioranza continua ad augurarsi quello che la Chiesa effettivamente insegna.
Nei giovani cresce il desiderio di fedeltà e affidabilità. Non è vero che si stia diffondendo come un’ulcera una concezione edonistica della vita, così come alcuni si sentono in dovere di evocare per offrire l’ambientazione adatta al loro pessimismo culturale.
Oggi c’è una nuova drammaticità, che risulta da un lato con la richiesta del cosiddetto matrimonio gay – e con l’acutizzazione creata dal voto favorevole della maggioranza degli irlandesi. Dall’altro lato si è sviluppata, dal movimento di uguaglianza ed emancipazione, una linea di pensiero che viene descritta con il concetto di gender o di ricerca di genere. Entrambi questi sviluppi portano ad isterie ideologiche che si rafforzano.
Come è usuale nelle ideologizzazioni, esse allontanano lo sguardo dai problemi veri. Detto in poche parole: anche chi è a favore del matrimonio gay dovrebbe rendersi conto della problematica per cui in una società che si pluralizza e si atomizza, forme familiari con figli possono sempre più subire pressioni.
Non ogni persona che fa dimostrazioni a favore della famiglia tradizionale è omofoba. Dovrebbe accettare che ciò che è diverso ha bisogno di una diversa denominazione. La trasmissione della vita non è affatto qualcosa di triviale. Al contempo, ognuno di coloro che rifiutano il matrimonio gay dovrebbe rendersi conto che non è da molto che la non-discriminazione dell’omosessualità è diventata una cosa “ovvia”, come sosteneva recentemente il cardinale Gerhard
Ludwig Müller. Il grido di richiesta del matrimonio gay si spiega invece innanzitutto con la storia di discriminazione che arriva fino ad oggi, proprio nell’ambiente cattolico.
La Chiesa istituzione annebbia e oscura il suo messaggio se non rinvia più fortemente alla propria esperienza di apprendimento nelle questioni di sessualità e convivenza. Naturalmente non è priva di colpe per quanto riguarda l’omosessualità. Chi oggi vuole parlare in maniera credibile, deve ammettere i propri errori e le proprie ipocrisie.
Allo stesso modo, la Chiesa non è priva di colpe riguardo alle donne, di fronte alla loro
mutata coscienza del proprio ruolo di donne nel matrimonio e nella famiglia. La Chiesa potrà parlare di nuovo in maniera credibile d’amore, convivenza e sessualità solo se rifletterà seriamente sul fatto che l’allontanamento della storia umana dalle strutture patriarcali ha cambiato e continua massicciamente a cambiare anche il matrimonio e la famiglia, la sessualità e l’amore. Forse sono stati addirittura il cristianesimo e il suo fondatore, con la nuova e più radicale rappresentazione del matrimonio e del divorzio, ad aver posto, all’inizio, le basi per questi sviluppi di emancipazione. Però a prescindere da questo atto, forse allora audace, rimangono appunto i 2000 anni di mezzo, su cui occorre riflettere, per essere credibili o, meglio, per ridiventarlo. Allora può essere assolutamente giusto criticare alcuni eccessi della “ideologia gender”. Allora può essere anche urgente e opportuno opporsi ad una follia di fattibilità rispetto a bellezza, sesso e sessualità. Ma questo diventa possibile solo con l’umiltà umana, che è consapevole dei propri errori. Il rinvio a una verità divina ha portato troppo spesso ad un ibrido umano, soprattutto in questioni di sesso.
Il vescovo di Essen Franz-Josef Overbeck nel 2010 divenne famoso al grande pubblico per un talksow con Anne Will, in cui il cineasta gay Rosa von Praunheim lo aveva provocato. Osterbeck aveva ribattuto con la frase “l’omosessualità è un peccato”. Per questo fu molto attaccato perché si era espresso in modo ancor più severo di quanto asserisce il catechismo, che definisce peccato solo l’esercizio dell’omosessualità e condanna il disprezzo degli omosessuali. Di nuovo, si tratta “solo” di sesso? Il vescovo ha poi cercato il dialogo. “Tutti noi, sostenitori o contrari, dobbiamo imparare a discutere di questi temi evitando la polarizzazione”, ha dichiarato ora in un’intervista al quotidiano “taz”.
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* Volker Resing, nato nel 1970, è giornalista e scrittore. Dal 1° ottobre 2014 è capo redattore di “Herder Korrespondenz” con sede a Friburgo e a Berlino. Precedentemente, Resing era Redattore della Katholische Nachrichten Agentur (KNA) a Berlino. Dal 2002 è stato corrispondente dalla capitale Berlino per diversi quotidiani e per giornali cattolici.
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Testo originale: Leitartikel: Eine stumme Ruferin