Perché, nonostante tutto, non lascio la Chiesa cattolica
Per molti cattolici, tra cui mi metto anch’io, i tempi presenti sono penosi e intessuti di dolorose rimesse in discussione.
Questo disagio trova la sua origine nel recente seguito di controversie suscitate da gravi mancanze di giudizio pastorale da parte di certi dirigenti della nostra Chiesa.
Infatti, se continuiamo a rivendicare la nostra appartenenza al cattolicesimo, malgrado il nostro disaccordo profondo con certe prese di posizione dei suoi dirigenti, è che dopo il Concilio Vaticano II, abbiamo preso sul serio l’affermazione che vuole che la Chiesa siamo noi!
Prima del papa, dei cardinali e dei vescovi, la Chiesa è l’insieme dei battezzati, questo Popolo di Dio in cammino nella storia.
In seguito a questo stesso Concilio, siamo intimamente convinti che le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini e delle donne del nostro tempo, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono anche le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e che non c’è niente di veramente umano che non trovi eco nel nostro cuore.
Ingenui?
Certo, molti non capiranno mai questa volontà indefettibile di restare nella Chiesa cattolica. Ci giudicheranno irresponsabili, ingenui o decisamente pazzi… Non ho niente di meglio per replicare loro che le dichiarazioni fatte nel 1993 da monsignor Robert Lebel, in occasione dei funerali di Simonne Monet-Chartrand (quella grande militante femminista, profondamente cristiana pur essendo profondamente critica verso l’istituzione cattolica):
“I credenti che hanno un incredibile senso critico verso la Chiesa, e incrollabili nella loro appartenenza a questa stessa Chiesa, sono i testimoni di cui essa ha bisogno per progredire. Questi testimoni sono tanto più efficaci in quanto sono all’interno. Sono parte della Chiesa, sono la Chiesa che si autocritica per riposizionare incessantemente la sua doppia fedeltà a Cristo e al mondo nel quale si è incarnato.”
Ecco la sfida che si pone oggi ad un buon numero di cattolici. coniugare, in una tensione feconda e mai risolta, un incredibile senso critico verso la Chiesa ed una incrollabile appartenenza a questa stessa Chiesa.
Una simile posizione è scomoda, fa pensare, è mal vista tanto a “sinistra” che a “destra”, se non addirittura semplicemente ridicolizzata… Fa vacillare infatti la concezione semplicistica della Chiesa ridotta troppo facilmente ai discorsi e alle pratiche delle sue autorità ufficiali.
Obbliga a tener conto del pluralismo che attraversa e dinamizza l’istituzione ecclesiale, così come la grande diversità dei tipi di impegno e delle solidarietà che caratterizzano i suoi membri.
“Terra natale”
Sì, lo confesso: mi è impossibile lasciare la Chiesa cattolica dal momento in cui ho capito che al di là delle sue necessarie – ma spesso manchevoli – strutture visibili, essa è per me, una “terra natale”.
Luogo in cui sono stato immerso nella morte e nella resurrezione di Cristo; luogo che mi ha visto nascere al Vangelo; luogo in cui lo Spirito mi chiama continuamente alla libertà del Regno.
Memoria viva di tutto un popolo, il mio, questa Chiesa è la mia eredità inalienabile di battezzato. Lo spazio a partire dal quale io cerco, con altri, di costruire una società migliore e dove, come affermiamo al termine del Simbolo di Nicea-Costantinopoli, aspetto la vita del mondo che verrà.
Quando la tentazione della rottura diventa forte, mi attacco a queste verità fondamentali. Mi ricordo allora della mia responsabilità, del mio dovere e del mio diritto di vivere, di parlare e di agire in questa Chiesa che è la mia. Una Chiesa all’interno della quale, ad immagine della casa del Padre, molti possono trovare la loro dimora (v. Giovanni 14,2). Ecco perché, nonostante tutto, non lascio la Chiesa.
* Marco Veilleux è viceredattore capo della rivista Relations animata dai Gesuiti del Quebec. Ha diretto il libro “Transmettre le flambeau – Conversation entre les générations dans l’Église (Fides, 2008). Questo suo testo è già stato pubblicato in Le Devoir il 2 aprile 2009