Quando un genitore è omosessuale. Il rivelarsi tra dubbi e paure
Testo di Alessandra Bialetti*, pedagogista sociale e Consulente della coppia e della famiglia di Roma, tratto dalla sua tesi di Baccalaureato su “Genitori sempre. Omosessualità e genitorialità”, Pontificia Università Salesiana, Facoltà Scienze dell’educazione e della formazione salesiana – Facoltà di Scienze dell’Educazione, Corso di Pedagogia Sociale, Roma, anno accademico 2012-2013, capitolo 2, paragrafo 2.1
Secondo la ricerca Modi.di, condotta nel 2005 in Italia da Arcigay con il patrocinio dell’Istituto Superiore di Sanità, si calcola che siano circa 100mila i figli con almeno un genitore omosessuale, il 17% dei gay e il 20,5% delle lesbiche con più di 40 anni hanno figli provenienti per la maggior parte da precedenti unioni eterosessuali. Da queste stime è chiaro che il fenomeno ci interpella come educatori a vagliarne più da vicino i contenuti e le possibili prospettive pedagogiche.
Nel caso di omosessualità si parla di famiglie ricomposte, ovvero composte da figli nati all’interno di precedenti relazioni eterosessuali cui è seguita una nuova unione di tipo omosessuale in cui uno dei partner ha già esercitato in precedenza la funzione genitoriale.[1]
La scoperta in età tardiva della propria omosessualità rappresenta un evento fortemente critico nella vita di una persona per il fatto che si trova inserita da sempre in un tessuto familiare eterosessuale, in aspettative di genere congruenti alla scelta affettiva primaria e, in molti casi, in una genitorialità che si teme di veder entrare in crisi. Occorre sottolineare che la scoperta tardiva dell’omosessualità, è invece, molto spesso, un riappropriarsi di un’identità che si era nascosta, negata, camuffata dietro una presunta normalità data dalla scelta eterosessuale.
La rivelazione può essere tardiva per la forte influenza dell’omofobia sociale ed interiorizzata che non aiuta a comprendere la propria identità ma a nasconderla per timore di rifiuto e ghettizzazione; per il desiderio di rispondere alle pressioni familiari che spingono verso un modello tradizionale; per il desiderio di genitorialità; per la confusione circa il proprio vero orientamento o per la convinzione che il matrimonio possa aiutare a superare la tendenza omosessuale.[2] Il carattere omofobico di molte società potrebbe rallentare, quindi, il processo di appropriazione dell’identità omosessuale spingendo all’omologazione e al conformismo per perseguire, ad ogni costo, una “normalità” accettata socialmente e protettiva per l’individuo stesso.[3]
Il coming out del genitore desta quindi paure, timori, perplessità e sofferenze sia nei coniugi che nei figli. Si delineano nuove geometrie familiari in cui includere il percorso omosessuale del familiare che, pur sempre, rimane genitore. I conflitti che nascono nella coscienza della persona adulta che si scopre omosessuale sono dettati dal senso di indegnità ad essere genitore in quanto omosessuale, dalla paura di non fornire al bambino un ambiente familiare “normale”; dal senso di colpa di aver messo al mondo un bambino “con un problema in più”, dalla gelosia, rivalità e insicurezza nei confronti del genitore biologico.[4]
Di seguito si analizzeranno più specificamente paure e timori che possono bloccare e inibire una corretta capacità genitoriale di sostenere il figlio nel suo cammino di crescita.
Il genitore omosessuale teme di perdere il rispetto genitoriale soprattutto se il figlio si trova nell’adolescenza e ha bisogno di rompere l’idealizzazione genitoriale, tipica dell’infanzia, per trovare se stesso. L’adolescente sente il bisogno di opporsi e distruggere l’immagine onnipotente del genitore e spesso utilizza, in modo strumentale, la rivelazione dell’omosessualità per portare a termine il compito di sviluppo di svincolo dalle figure genitoriali. Si deve tenere presente che si tratta di una reazione normale e momentanea tipica della fase di crescita e che, come tale, nel tempo viene superata. In un’età più precoce la rivelazione, in genere, incontra meno problemi perché è ancora molto forte la dipendenza dal genitore e la sua idealizzazione.[5]
Connessa a questo primo aspetto è la paura del rifiuto da parte del figlio. Nel momento iniziale del coming out è normale che si viva un sentimento di allontanamento che riveste funzione protettiva e difensiva: il figlio si distacca anche violentemente per prendere il giusto tempo per riflettere e metabolizzare la nuova realtà. A lungo termine il rifiuto lascia il passo al riavvicinamento soprattutto se il genitore continua a mantenere gli stessi comportamenti affettivi, emozionali e di guida e se mostra di aver accettato pienamente la sua nuova realtà, libero il più possibile da sensi di colpa e di vergogna.[6]
Il genitore omosessuale si scontra, poi, con la paura della legittimità alla genitorialità. Occorre sottolineare che la capacità genitoriale non è dipendente dall’orientamento sessuale ma dipende dalla qualità della relazione che si instaura con il figlio fin dai primi momenti della sua vita e lungo tutto il percorso educativo. Dare cura, protezione, saper entrare in risonanza emotiva, dare regole e limiti non dipende da una sessualità ma da una relazione autentica e vera.[7]
Un timore molto grande, e che spesso inibisce fortemente la possibilità di una rivelazione necessaria, è la paura di perdere legalmente la custodia del figlio e di essere estromesso dalla sua vita per l’incapacità a svolgere il ruolo genitoriale per via dell’orientamento omosessuale. In realtà, il diritto non prevede nella separazione l’addebitamento della colpa in caso di omosessualità: il dovere, il diritto e la potestà genitoriale rimangono inalterati anche nel caso di una diversa sessualità.[8]
Si può perdere l’affidamento congiunto del figlio solo se si dimostra che il genitore è realmente incapace di rappresentare una figura educativa idonea a differenza del genitore cosiddetto “normale”. A volte l’elevato tasso di omofobia nel coniuge leso, ha portato il giudice, in sede di processo per separazione, ad affidare il figlio al genitore omosessuale ritenuto meno discriminante e più equilibrato per la crescita del bambino.
Erroneamente si ritiene che l’omosessualità sia intrinsecamente psicopatologica, che le capacità genitoriali siano più carenti, che le nuove relazioni sottraggano tempo, cure ed attenzioni alle interazioni genitore-bambino. Di fatto nessuna di queste credenze è stata confermata dalla ricerca. L’unica condizione di svantaggio sembra legata, invece, al pregiudizio e allo stigma sociale.[9]
In chiave pedagogica occorre sottolineare alcune linee guida per convertire paure e timori in nuove strategie di coping. E’ necessario che entrambi i genitori elaborino il lutto di una relazione che si è modificata ma che li pone sempre e comunque come genitori a sostegno della crescita dei figli. Il supporto del coniuge è fondamentale nel preparare e sostenere il figlio rassicurandolo che non perderà alcun legame ma che potrà sempre contare sull’appoggio di entrambe le figure genitoriali.
Occorre dare il massimo ascolto ed accoglienza ad eventuali reazioni e lasciare il tempo necessario perché ognuno trovi il suo nuovo assetto, tenendo presente che il rispetto costruito nel corso degli anni in una buona relazione genitore-figlio, non andrà mai perduto ma sarà solo condotto a ridefinirsi. Il genitore omosessuale è chiamato a combattere il sentimento di ansia e attesa di una non accettazione immediata, dando tempo al figlio di ritrovare il proprio equilibrio.
Insieme al coniuge potrà preparare il terreno ad una necessaria rivelazione utilizzando il materiale disponibile (libri, film, opuscoli informativi) ma soprattutto parlando in famiglia dell’importanza del riconoscimento delle diversità come ricchezza, qualunque esse siano. Il rispetto e valorizzazione delle diversità dovrebbe costituire, infatti, un cardine del processo educativo di ogni famiglia e di ogni istituzione educativa.
Un ulteriore passo di particolare rilievo è il dialogo con i vari agenti sociali con i quali il figlio entra in relazione. Una buona alleanza educativa con la scuola, la chiesa, il mondo sportivo, l’associazionismo, permetterà di limitare i danni della non accettazione della diversità, dovuta spesso all’ignoranza del problema, e il rischio di manifestazioni di bullismo omofobico. Risulta chiara l’importanza della formazione degli educatori che, oggi più che mai, si trovano a fronteggiare situazioni nuove in cui i bambini di omosessuali iniziano a rappresentare una presenza consistente nella vita scolastica e sociale. Occorre, allora, educare le istituzioni a saper trattare la specificità come risorsa educativa in una sorta di lavoro in rete, di alleanza operativa formando ai temi dell’affettività, dell’orientamento sessuale e di genere e alla possibile esistenza di diverse manifestazioni della sessualità.[10]
L’immagine positiva di sé che il genitore omosessuale può sviluppare, integrando nella vita e nella famiglia la sua nuova identità, rappresenta per l’intero nucleo un bene da perseguire e una risorsa da scoprire. Ciò che appare come ostacolo nel cammino familiare potrebbe aprire la porta a nuove relazioni, ad una comunicazione più autentica, ad un clima più agevolante per la crescita e la realizzazione di ognuno.
Non bisogna dimenticare, al contrario, che lo stigma sociale e la paura di uscire allo scoperto rappresentano un carico ulteriore sul benessere psicologico della persona che si trova a dover affrontare un duplice compito di sviluppo: la costruzione o riscoperta della propria identità omosessuale e la riconfigurazione della propria identità genitoriale.[11] Per realizzare tutto ciò occorre senz’altro un percorso di sostegno sia alla persona omosessuale che all’intero nucleo familiare, tema che verrà trattato nel successivo capitolo individuando la rete di risorse di cui attualmente si dispone.
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[1] Cfr. C. CHIARI – L. BORGHI, Psicologia dell’omosessualità. Identità, relazioni familiari e sociali, p. 112.
[2] Cfr. RETE GENITORI RAINBOW, Scoprirsi omosessuale con una famiglia eterosessuale, in <www.genitorirainbow.it/scoprirsi-omosessuale-con-una-famiglia-eterosessuale.html> del 25/03/2012, p. 1.
[3] Cfr. RETE GENITORI RAINBOW, Le coppie di fatto e le separazioni ”omosessuali”, in <www.genitorirainbow.it/category/testimonianze>, del 7/11/2012, p. 1.
[4] Cfr. V. LINGIARDI, Citizen Gay. Famiglie, diritti negati e salute mentale, p. 109.
[5] Cfr. RETE GENITORI RAINBOW, Scoprirsi omosessuale con una famiglia eterosessuale, p. 1.
[6] Cfr. Ibidem, p. 1.
[7] Cfr. Ibidem, p. 1.
[8] Cfr. RETE GENITORI RAINBOW, Le coppie di fatto e le separazioni ”omosessuali”, p. 1.
[9] Cfr. V. LINGIARDI, Citizen Gay. Famiglie, diritti negati e salute mentale, p. 109.
[10] Cfr. RETE GENITORI RAINBOW, Le coppie di fatto e le separazioni ”omosessuali”, p. 1.
[11] Cfr. C. CAVINA – D. DANNA (a cura di), Crescere in famiglie omogenitoriali, Milano, Franco Angeli, 2009, p. 70.
* Alessandra Bialetti, vive e opera a Roma come Pedagogista Sociale e Consulente della coppia e della famiglia in vari progetti di diverse associazioni e realtà laiche e cattoliche. Il suo sito web è https://alessandrabialetti.wordpress.com/