Il senso morale dei cattolici e gli atti omosessuali
Testo dei teologi Todd A. Salzman* e Michael G. Lawler** tratto dal loro libro The Sexual Person: Toward a Renewed Catholic (La persona sessuale. Verso un’antropologia cattolica rinnovata)***, Georgetown University Press, USA, 2008, capitolo 7, paragrafo 10, libera traduzione di Antonio De Caro del gruppo Davide di Parma
I dati provenienti dalle scienze sociali suggeriscono che anche il terzo fondamento su cui la Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF) basa il suo giudizio sull’immoralità degli atti omosessuali, “il senso morale del popolo cristiano”, è oggi soggetto a critica tanto quanto la lettura dei testi biblici e l’argomento della legge naturale. In uno studio del 1997 James Davidson e i suoi colleghi descrivono “come i cattolici americani affrontano la fede e la morale”.[1] Rispetto alla sessualità omosessuale, essi hanno scoperto che il 41% degli appartenenti alle parrocchie concordano con il Magistero (gli atti omosessuali sono sempre cattivi) e che il 49% crede che, almeno in certe circostanze, la decisione di intraprendere tali atti va lasciata alla responsabilità degli individui.[2]
Uno studio del 2001 ha riportato tale misura del 49%, cioè di coloro che credono che la decisione di intraprendere atti omosessuali spetti agli individui: solo il 20% credeva che essa dipendesse in qualche misura dal Magistero.[3] Gli autori commentano che i loro dati “delineano una tendenza che si allontana dal conformismo e va verso l’autonomia personale” a proposito di temi sessuali.[4]
Questa tendenza era più marcata nei cattolici cresciuti dopo il Concilio Vaticano II, di 38 anni o più giovani.[5] Anche Dean Hoge e i suoi colleghi documentano questa tendenza che si allontana dall’autorità e va verso la coscienza personale sui temi etici. Nel suo studio, egli ha scoperto che il 73%dei cattolici di origine ispanica e il 71% dei cattolici di origine non ispanica erano certi che, su questioni etiche, l’autorità finale è la coscienza informata dell’individuo.[6] La stessa tendenza è ben documentata in altri paesi occidentali.[7] Sorge allora una ragionevole domanda teologica: i dati sociologici di questo tipo ci dicono qualcosa sull’insegnamento del Magistero e la fede della Chiesa?
Una risposta immediata e cruciale è che i dati sociologici non sono un’espressione della fede e dell’insegnamento della Chiesa Cattolica. Nemmeno essi devono dirci quello che la Chiesa dovrebbe credere e insegnare, poiché il 50%, e persino il 100%, dei Cattolici potrebbero essere nell’errore. I dati empirici riportati prima, tuttavia, fanno due cose importanti. Ci dicono quali sono le reali convinzioni dei Cattolici riguardo alla moralità degli atti omosessuali e dimostrano che queste convinzioni possono divergere sensibilmente da quelle proposte dal Magistero.
Questi dati probabilmente non ci dicono nulla sulla verità della dottrina magistrale riguardo la moralità degli atti omosessuali, ma ci dicono qualcosa sulla sua rilevanza per la vita della Chiesa contemporanea. Ciò non dovrebbe né essere accettato acriticamente né respinto come se non avesse rilevanza per la vita della Chiesa. Papa Giovanni Paolo II insegna che “la Chiesa apprezza la ricerca sociologica e statistica” ma aggiunge immediatamente l’avviso che “tale ricerca non va considerata in sé un’espressione del sensus fidei”.[8] Il papa ha ragione. La ricerca empirica né esprime né crea la fede della Chiesa, ma manifesta senz’altro che cosa i cattolici realmente credono o non credono, e questa realtà sperimentale è una base per una riflessione critica riguardo ogni affermazione su ciò che “la Chiesa crede”. È questa riflessione critica, sempre richiesta dai teologi della Chiesa,[9] che noi abbiamo intrapreso in questo capitolo e in tutto questo libro.
Il teologo e sociologo Robin Gill deplora che gli esperti di etica cristiana sono stati “riluttanti ad ammettere che la sociologia abbia un ruolo costruttivo da giocare nella loro disciplina. È raro trovare un esperto di etica cristiana preparato ad esaminare i dati sugli effetti morali del frequentare la Chiesa. Invece, le comunità cristiane sono diventate fin troppo idealizzate”.[10]
“Le comunità cristiane” potrebbe essere un eufemismo per il Magistero Cattolico, che tende a parlare della fede della Chiesa come era, più che come è. Se, come il Concilio Vaticano II ha insegnato chiaramente che “il corpo dei fedeli nella sua interezza non può errare in questioni di fede”,[11] allora essi devono essere infallibili nelle verità in cui realmente credono. È tale fede reale che viene scoperta dalla ricerca sociologica. Avery Dulles osserva che, per determinare il sensus fidei, che è così rilevante per questa discussione, “dobbiamo guardare non tanto alle statistiche, quanto alla qualità dei testimoni e alla motivazione per il loro assenso”.[12]
Siamo d’accordo. Il sensus fidei, la capacità connaturata di discernere la verità verso cui lo Spirito di Dio sta guidando la Chiesa, va individuato attentamente da tutti coloro che sono competenti. Giovanni Paolo II ha ragione: contare semplicemente le persone non esprime necessariamente la fede della Chiesa. Contare le persone, tuttavia, che includerebbe virtualmente tutti i fedeli, soprattutto virtualmente tutti i fedeli teologicamente competenti, rivelerebbe con altissimo grado di certezza la fede reale dell’intera Chiesa. Quello che affermiamo qui sui dati sociologici che riguardano la fede della Chiesa sulla moralità degli atti omosessuali è che essi rivelano uno sviluppo che i teologi della Chiesa e il Magistero dovrebbero esaminare con cura.
Quello che è chiaro dalla precedente indagine sull’insegnamento della Bibbia e del Magistero sugli atti e le relazioni omosessuali è l’importanza dell’esperienza come fonte di conoscenza morale. Nella dialettica fra le fonti della conoscenza morale per valutare moralmente atti e relazioni omosessuali, l’esperienza ha valore fondante, addirittura al primo posto. Concordiamo con Farley, che nota che l’esperienza “è una parte importante di ciascuna delle altre fonti ed è sempre un fattore per interpretare le altre”.[13]
Essa offre un contesto sociale e storico per interpretare le altre fonti di conoscenza morale e chiarisce se e in che misura le fonti, prese singolarmente e nel loro insieme e le conclusioni normative che esse raggiungono “hanno senso” e “suonano vere” nei termini della “nostra più profonda capacità di verità e bontà”.[14]
Inoltre, dato che la Scrittura, la tradizione e le discipline secolari non giungono ad alcuna conclusione irrefutabile” sulla moralità delle relazioni omosessuali, “l’esperienza concreta diviene una fonte determinate su questo tema”.[15] Basandoci sul metodo storico-critico adottato dal Magistero, abbiamo dimostrato che le interpretazioni tradizionali della Scrittura volte a condannare gli atti omosessuali sono prive di legittimo fondamento. Sembra esserci una frattura fra l’evoluzione della tradizione e il suo uso della Scrittura per condannare gli atti omosessuali da una parte, e l’adozione relativamente recente del metodo storico-critico per interpretare le Scritture dall’altra parte.
Il metodo storico-critico non supporta le tradizionali conclusioni normative dedotte dalla Bibbia su questo tema. Lo stesso metodo storico-critico, se applicato ai recenti insegnamenti del Magistero sugli atti omosessuali, rivela un’altra frattura fra i risultati degli studi empirici riguardo le coppie e i genitori omosessuali e le infondate posizioni del Magistero in senso contrario. Vista la radicata, e talvolta discriminatoria e violenta, retorica del Magistero quando tratta il tema dell’omosessualità,[16] ci vorrà un po’ di tempo per aprirsi a una revisione ermeneutica delle fonti della conoscenza morale che potrebbe permettere una revisione della dottrina del Magistero sugli atti omosessuali.
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[1] James D. Davidson, A. S. Williams, R. A. Lamanna, J. Stenftenagel, K. Maas Weigert, W. J. Whalen, e P. Wittenberg, The Search for Common Ground: What Unites and Divides Catholic Americans (Huntington, IN: Our Sunday Visitor, 1997), 11.
[2] Ibi 47.
[3] William V. D’Antonio, J. D. Davidson, e D. R. Hoge, American Catholics: Gender, Generation, and Commitment (Lanham, MD: Altamira Press, 2001), 76.
[4] Ibi 85.
[5] Ibi 84.
[6] Dean R. Hoge, W. D. Dinges, M. Johnson e J. L. Gonzales Jr., Young Adult Catholics: Religion in the Culture of Choice (Notre Dame: University of Notre Dame Press, 2001), 59-60.
[7] Vedi Michael Hornsby-Smith, Roman Catholicism in England: Customary Catholicism and Transformation of Religious Authority (Cambridge: Cambridge University Press, 1991); Timothy J. Buckley, What Binds Marriage? Roman Catholic Theology in Practice (London: Chapman, 1997); e John Fulton (a cura di), Young Catholics at the New Millennium: The Religion and Morality of Young Adults in Western Countries (Dublin: University College Press, 2000).
[8] FC, 5.
[9] Vedi Commissione Teologica Internazionale, Theses on the Relationship between the Ecclesiastical Magisterium and Theology (Washington, DC: United States Conference of Catholic Bishops, 1977), tesi 8, 6.
[10] Robin Gill, Churchgoing and Christian Ethics (Cambridge: Cambridge University Press, 1999), 1.
[11] LG, 12.
[12] Avery Dulles, Sensus Fidelium, America, November 1, 1986, 242.
[13] Farley, Just Love, 190.
[14] Ibi195-96.
[15] Ibi287.
[16] Mark D. Jordan, The Silence of Sodom: Homosexuality in Modern Catholicism (Chicago: University of Chicago Press, 2000), 46.