Una coppia lesbica e la sua lotta per il battesimo del figlio
Testimonianza di Angie e Doreen tratta da Share your Story: Gay and Lesbian Experiences of Church, pubblicato da Changing Attitude Ireland* (Éire e Irlanda del Nord), pp. 17-20, liberamente tradotta da Silvia Lanzi
Stiamo insieme dal 2004 e siamo una coppia solida, impegnata e fedele. Vogliamo affrontare il benessere pastorale della nostra famiglia e abbiamo intenzione di far crescere nostro figlio in una famiglia amorevole, dove poter imparare i valori cristiani e poter usufruire di tutte le attività e le opportunità sociali possibili in una comunità calda e accogliente.
Sono cresciuta nella Chiesa d’Irlanda, in una parrocchia evangelica, e ho fatto la cresima nella cattedrale diocesana. Tra la fine dell’adolescenza e l’inizio dell’età adulta mi sono allontanata dalla Chiesa. Più tardi ho frequentato una Chiesa presbiteriana ed ero assistente alla Boys Brigade (una sorta di gruppo scout n.d.t.) e ho creduto fosse importante che i ragazzi della BB e le loro famiglie avessero dimestichezza con me che andavo in chiesa accanto a loro. Comunque, ho smesso di lavorare con la Boys Brigade e non frequento più nemmeno la Chiesa.
Durante gli anni di formazione la mia compagna ha frequentato la Gospel Hall (un gruppo di assemblee cristiane indipendenti in tutto il mondo in comunione tra loro attraverso un insieme di dottrine bibliche e pratiche condivise n.d.t.). Sarebbe piaciuto molto a tutte e due frequentare regolarmente una Chiesa, ma desideravamo trovare un posto dove fossimo accolte e accettate per quello che siamo. Volevamo essere conosciute come i genitori del bambino e non “far finta” che io fossi sua madre e la mia compagna una nostra “amica” o, come la gente spesso fingeva di credere, mia “sorella”.
Ci incontrammo per la prima volta con il rettore della nostra parrocchia della locale Chiesa d’Irlanda all’inizio della settimana. Era un gentiluomo piacevole e fu abbastanza onesto da ammettere di essere un po’ sbalestrato dalla nostra situazione. Sembrava che lottasse con il suo desiderio di battezzare nostro figlio e la sua consapevolezza riguardo la nostra sessualità.
Avemmo una discussione molto franca riguardo gli altri parrocchiani ed egli fu d’accordo che il loro modo di porsi era piuttosto conservatore. Per prima cosa spiegammo il nostro desiderio di trovare un posto nella famiglia della Chiesa e quanto sarebbe stato importante per il nostro bambino mentre cresceva. Il rettore apprezzò il nostro desiderio di essere coinvolte nella vita della Chiesa ma non era certo che avremmo avuto l’accoglienza che cercavamo e comunque non voleva che rimanessimo ferite. La sua esitazione riguardo alla congregazione e la sua risposta alla nostra presenza in chiesa fu motivo di preoccupazione per me e per la mia compagna.
Preferimmo andare in una chiesa, anche distante, dove ci sentivamo benvenute e accettate che frequentarne una nella quale ci saremo trovate a disagio sia io che la stessa congregazione. Il rettore discusse anche l’attitudine conservatrice della diocesi locale e disse che avrebbe dovuto rifiutarsi di battezzare il bambino, altrimenti avrebbe contravvenuto al canone 26. Non era assolutamente nostra intenzione mettere il rettore in una posizione imbarazzante o causargli difficoltà non necessarie con la congregazione o il vescovo.
Il rettore era preoccupato che, se non avesse battezzato il bambino, non avremmo trovare un altro luogo dove farlo. Perciò, per ridurre la pressione che sentiva su di sé, gli suggerii di pensarci su per qualche giorno prima di prendere una decisione e lo avrei avvisato se avessi trovato altre soluzioni fattibili. Disse che ciò sarebbe stato utile e promise di contattarci ancora verso la fine della settimana. Mentre il rettore aveva dichiarato di non essersi mai rifiutato di battezzare un bambino nella sua parrocchia, era chiaro che era alle prese con un problema. Credo che sentisse empatia per la nostra situazione ma non sono sicura che sarebbe stato capace di bilanciare la sua coscienza e i suoi obblighi.
Abbiamo avuto una seconda visita dal rettore ieri nel tardo pomeriggio. Ha suggerito di frequentare la chiesa per un periodo di tre mesi, alla fine del quale ci saremmo incontrati ancora per discutere l’argomento battesimo. Non ci fu data nessuna assicurazione che la cosa sarebbe stata accettabile a quel punto (comunque ha ripetuto che non ha mai avuto intenzione di non battezzare il bambino), però ha riconosciuto che un battesimo privato sarebbe appropriato. Mentre superficialmente questo sembra accomodante, non offre alcuna indicazione sui sentimenti della congregazione a questo proposito e non allevia la nostra preoccupazione per quanto riguarda il nostro continuo timore di non essere accettate all’interno di ciò che chiaramente vogliamo.
Ci è chiaro che il rettore ha delle riserve sulla nostra situazione e, sebbene affermi continuamente di non aver mai rifiutato di battezzare un bambino, è chiaro che sta lottando. Credo che, essendo stato in una parrocchia per quindici anni, dovrebbe sentire e capire come potrebbe rispondere la sua congregazione e non mi ha confortato il suo suggerimento secondo il quale, quando la nostra situazione sarà nota ai suoi membri, riconosceranno me e la mia compagna come persone e forse questo si rifletterà nelle loro reazioni.
Essendo stata costretta a licenziarmi dal mio lavoro come risultato del pregiudizio anti-gay e avendo avuto esperienza di alcune persone delle nostre famiglie, che si dicevano cristiane, che ci hanno voltato la schiena, sono diffidente a introdurmi in una comunità ecclesiale con falsi pretesti solo per essere respinta ed evitata dopo pochi mesi.
Il rettore continua a discutere sull’argomento del padre biologico e la sua insistenza che il suo nome appaia nei registri è anche motivo di preoccupazione per noi. Visto che abbiamo contratto una unione civile, che ci offre gli stessi diritti legali di una coppia eterosessuale sposata, non abbiamo voglia di mettere il nome del donatore sul registro perché la mia compagna è l’altro genitore, con le responsabilità di un genitore.
Gli abbiamo chiesto se questa era una richiesta legale, visto che noi non ne sapevamo nulla. Ero un po’ irritata durante il nostro incontro e, sebbene possa accettare la prospettiva e la posizione del rettore, temo che non colga appieno la nostra posizione e le nostre riserve, che aumentano via via.
Dopo due visite a casa da parte del rettore, la coppia ha deciso che il battesimo nella locale parrocchia non faceva per loro. Sono diventate quel che si dice “membri abituali” di una chiesa cittadina, dove il loro bambino è stato in seguito battezzato.
Domande
1. Come reagireste se una coppia omosessuale entrasse nella vostra comunità?
2. I preti dovrebbero battezzare il figlio di una coppia omosessuale unita civilmente?
3. I preti dovrebbero chiedere che il nome del donatore sia scritto nel registro battesimale?
* Changing Attitude Ireland è un network di persone etero, gay, lesbiche, bisessuali e transgender, laiche e ordinate, legato alla Chiesa d’Irlanda, espressione della Comunione Anglicana nella Repubblica d’Irlanda e nell’Ulster, che opera per la piena affermazione delle persone LGBT all’interno delle Chiese d’Irlanda.
Testo originale (PDF): Share your Story: Gay and Lesbian Experiences of Church