Unioni civili: Chiesa di base e protestanti a fianco del mondo lgbt
Articolo di Ingrid Colanicchia pubblicato su Adista Notizie n° 6 del 13 febbraio 2016, pp.3-5
Fanno meno rumore, non urlano slogan, non evocano scenari apocalittici e non fanno leva sulle famigerate radici giudaico-cristiane della nostra società. E forse proprio per questo non compaiono spesso sui grandi mezzi di comunicazione. Eppure ci sono e non sono pochi. Parliamo di tutti quei cattolici che sul ddl Cirinnà la pensano diversamente dai vari Gandolfini, Miriano, Adinolfi e che il 30 gennaio scorso si sono ben guardati dal farsi vedere al Circo Massimo, ma che non per questo sono stati zitti.
Le Comunità di Base
A prendere la parola per prime sono state le Comunità di Base, intervenute nel dibattito alla notizia che una trentina di parlamentari cattolici del Pd avevano sottoscritto un documento in cui si chiede di stralciare dal ddl Cirinnà sulle unioni civili la stepchild adoption. «Nessuno mette in discussione il loro diritto di intervenire nel dibattito pubblico, come è conforme a qualunque democrazia che sia autenticamente tale», si legge nel comunicato diffuso dalla Segreteria Tecnica Nazionale: «Quello che ci sconcerta e ci sorprende, e a dir il vero anche ci irrita, è l’aver motivato come “cattolici” la loro presa di posizione. Perché questo parte dal presupposto (infondato e illegittimo) che il mondo cattolico sia un’entità compatta e omogenea, ignara del pluralismo, come invece è ormai evidente da quando è scomparso il collateralismo fede-politica».
«Avremmo preferito – proseguono le CdB – che quei parlamentari si fossero definiti come liberi e responsabili cittadini tout court, o semmai come “alcuni cattolici”, senza alcuna pretesa di ergersi a titolari di un diritto di rappresentanza universale dei credenti italiani, dimenticando in questo modo che ci sono moltissimi cattolici che, anche in fatto di unioni civili, la pensano in modo radicalmente diverso da loro». «Dietro questa pretesa – è l’opinione delle CdB – se ne cela anche un’altra, quella di poter e dover veicolare nel mondo politico le posizioni espresse dalla maggioranza della gerarchia cattolica.
Quello che come Comunità di Base abbiamo sempre affermato – si legge ancora nel comunicato – è invece che la sfera della politica (guidata dalla responsabilità e dalla coscienza personale) è assolutamente autonoma e non può in alcun modo essere vincolata a direttive dell’autorità ecclesiastica che, in materie delicatissime come la legislazione statale, non hanno alcun titolo per esercitare interferenze sullo Stato presentando come vincolanti per i legislatori “cattolici” i propri giudizi e i propri orientamenti. Piuttosto – è la conclusione delle CdB – sarebbe bene che la Conferenza episcopale italiana promuovesse su queste tematiche un libero confronto e una discussione sincera fra tutti i cattolici, senza pretendere di riservare al clero il monopolio del retto giudizio evangelico».
Noi Siamo Chiesa
Ancora più netta l’associazione Noi Siamo Chiesa. «Nel turbinio mediatico di questi giorni appare, in modo del tutto fuorviante, che tutti i cattolici, dentro o fuori il Parlamento, siano contro, o del tutto o in parte, alla proposta di legge in discussione. Non è così», puntualizza l’associazione: «Anche se ha poca immagine, una vasta area di opinione concorda con essa, particolarmente quella che si ispira, con particolare convinzione, al messaggio e allo spirito del Concilio Vaticano II».
L’associazione accoglie con favore sia «la normativa sulle coppie di fatto» che «si propone di regolamentare (in ritardo) una realtà sociale ormai presente in tutto il Paese e in ogni stato sociale»; sia le unioni civili che, «come regolamentate nella prima parte del ddl, sono differenti dal matrimonio». «Ci troviamo di fronte, in questo ddl, a fattispecie ben diverse tra di loro, le unioni di fatto dalle unioni civili e queste ultime dal matrimonio», scrive Noi Siamo Chiesa. «Si è giunti a questa conclusione dopo una interminabile discussione; c’era infatti il problema di indicare che le unioni civili non avrebbero dovuto essere o sembrare una specie di matrimonio.
I dieci articoli sulle unioni civili si richiamano al codice civile nella normativa sul matrimonio solo per quanto riguarda i rapporti patrimoniali e successori. Ora – prosegue Noi Siamo Chiesa – si sostiene che queste norme di richiamo non andrebbero bene. Il richiamo evocherebbe il fantasma del “similmatrimonio”.
Non si capisce, se non come espressione di una contrapposizione identitaria e della volontà di boicottare tutta la legge, l’animosità con cui cattolici, interni ed esterni al Parlamento, sostengono con accanimento che ci troveremmo ancora, in base a questo richiamo, di fronte a una specie di vero e proprio matrimonio in contraddizione con l’art. 29 della Costituzione. Ciò offenderebbe, si sostiene, i fondamenti stessi del vivere civile. Un semplice esercizio di pacata onestà intellettuale non guasterebbe», è il consiglio dell’associazione.
Quanto alla stepchild adoption Noi Siamo Chiesa ritiene che «tale strumento normativo consenta di sanare molte situazioni di precarietà e di difficoltà e vada nella direzione della tutela dei minori e della loro giusta collocazione all’interno anche delle famiglie omogenitoriali. Tutte le analisi sociologiche – ricorda Nsc in chiusura – dicono che l’educazione dei bambini in questo tipo di coppie non soffre in alcun modo per questa particolare condizione».
Agesci e Acli…
Ma anche tra le associazioni più “istituzionali” qualcosa si muove. Prima di tutto al Circo Massimo non c’erano storiche realtà come Acli, Azione Cattolica ed Agesci, le quali, in un esercizio di difficile equilibrismo, non hanno respinto le argomentazioni della piazza ma non hanno comunque dato la propria adesione.
Alle Acli non è piaciuto quel «clima da tifoseria» creatosi a ridosso della kermesse che, ha dichiarato Santino Scirè, responsabile Famiglia e vicepresidente, «non fa certo bene alle vere priorità della famiglia». «Le Acli non condividono la strumentalizzazione delle piazze e, rispetto al processo legislativo in atto, hanno a cuore la tutela dei soggetti più deboli. Per questo – ha precisato – riteniamo che l’ipotesi della stepchild adoption possa essere rischiosa: perché può aprire la strada alla aberrante pratica dell’utero in affitto». Tuttavia, ha proseguito, «affermiamo l’importanza di riconoscere le unioni civili, anche omosessuali, sottolineando la necessità che vengano tutelati i diritti individuali fuori da ogni possibile equiparazione al matrimonio».
Meno esplicita l’Agesci, nel comunicato diffuso qualche giorno prima del Family Day, dal titolo “La Famiglia voluta da Dio: per l’Agesci è una questione educativa”. Se da un lato infatti vi si afferma che «aderire a manifestazioni di piazza su opzioni legislative in discussione non attiene allo specifico educativo dell’associazione, poiché il discernimento necessario per prendervi parte appartiene alla libera ed autonoma determinazione dei singoli associati adulti»; dall’altro, nel merito, l’Agesci si limita a dire che «nessun organo associativo, né locale né nazionale, ha espresso pareri o rilasciato interviste su tale questione, in quanto il Magistero della Chiesa e le parole del Santo Padre rappresentano appieno la posizione di tutta la comunità ecclesiale».
È probabile che in questa scelta abbia giocato un ruolo quel fermento interno trapelato nell’estate del 2014 con la Carta del coraggio di San Rossore, nella quale tra le altre cose il parlamentino di 450 scout tra i 16 e i 21 anni si impegnava a «essere testimone di un amore autentico e universale e a portare avanti valori di non discriminazione e di accoglienza nei confronti delle persone di qualunque orientamento sessuale; a vivere coraggiosamente e con serietà una scelta di amore autentico e duraturo, considerando la famiglia (intesa come qualunque nucleo di rapporti basati sull’amore e sul rispetto) come comunità primaria e strumento privilegiato di formazione ai valori di apertura e convivenza dell’individuo nella società».
Fermento che non si è sopito, considerato che è proprio alla Carta di San Rossore che si richiamano Martina Colomasi e Alfredo Salsano, i due capi scout che in questi giorni hanno lanciato un appello ai responsabili nazionali dell’Agesci affinché si inizi «un cammino ed un confronto attraverso le strutture adeguate e con il contributo di tutti i gruppi associativi con lo scopo ultimo di prendere una decisione di coraggio» sulla questione.
«Interroghiamoci su cosa sia una famiglia, incontriamo le famiglie arcobaleno, confrontiamoci con associazioni quali Nuova Proposta che raggruppano i cattolici omosessuali», prosegue l’appello, sottoscritto, a detta dei promotori, da altri 200 capi scout. «Evitiamo di pontificare su queste tematiche senza un valido confronto». «La nostra promessa – è la loro conclusione – ci impone uno sforzo necessario per il cambiamento di questa società, non perdiamo, per l’ennesima volta, l’occasione di fare la cosa giusta!».
C’è Chiesa e Chiesa
E se in ambito cattolico solo la base e qualche prete fuori dal coro si sono schierati a favore del ddl Cirinnà, nel mondo protestante sono i vertici stessi ad aver preso nettamente posizione in favore di unioni civili e stepchild adoption.
Nell’imminenza del voto parlamentare sui diritti delle coppie di fatto e omosessuali, il pastore Eugenio Bernardini, moderatore della Tavola valdese, è intervenuto nel dibattito riaffermando che «valdesi e metodisti difendono i diritti di tutte le coppie che si costituiscono in una relazione d’amore e di impegno reciproco».
«Non è compito di una Chiesa dettare una legge o condizionare il legislatore nell’esercizio del suo mandato di rappresentanza degli elettori» ha affermato il moderatore Bernardini: una Chiesa, così come ogni altra confessione religiosa, ha però «la possibilità di esprimere la propria idea e le proprie valutazioni su temi che la interrogano e la impegnano. E come valdesi e metodisti affermiamo con chiarezza che difendiamo i diritti di tutte le coppie che si costituiscono in una relazione d’amore e di impegno alla solidarietà reciproca. E ribadiamo, come facciamo da anni, che siamo pronti a benedire queste unioni nel nome di un Evangelo che è grazia e amore per tutte le creature di Dio».
Sulla stessa lunghezza d’onda Heiner Bludau, decano della Chiesa evangelica luterana in Italia (Celi, che dal 2011 ha dato il via libera alla benedizione delle persone in unioni di vita non tradizionali, anche omosessuali). «Riconoscere ufficialmente le comunioni di vita differenti dal matrimonio, significa assicurare a tutte le coppie un’unione in dignità e certezza di diritto, senza svalutare in alcun modo il concetto di famiglia. Anche in caso di coppie dello stesso sesso», ha detto Bludau.
«Per tanti, troppi secoli le Chiese hanno colpevolmente discriminato le persone omosessuali: come Celi, riconosciamo da tempo questa colpa e accompagniamo tutti e indifferentemente nel proprio cammino di fede e di vita. Aggiungo che assicurare tutele a chi ne ha bisogno è un’istanza ineludibile e, proprio per questo, sono favorevole anche alla cosiddetta stepchild adoption: i diritti dei bambini devono essere sempre garantiti. Ad oggi, in caso di separazione di una coppia omogenitoriale o di morte di uno dei due partner, i bambini di quella famiglia risultano del tutto svantaggiati».
«In molti Stati d’Europa – ha concluso il decano – si sono fatti concreti passi avanti in questa direzione, ed è venuto il momento di agire anche della nostra Italia: non si deve più aspettare».
Analogo appello è quello che il pastore Raffaele Volpe, presidente dell’Unione cristiana evangelica battista d’Italia (Ucebi), ha rivolto ai senatori in una lettera aperta. «Non abbiate timore dei diritti!», è l’esortazione di Volpe: «I diritti (e i doveri) riconosciuti agli individui e a organizzazioni di individui sono non soltanto previsti dalla nostra Costituzione, ma reggono, come una pietra angolare, ogni democratica, pacifica e giusta società umana».
«Difendere la laicità dello Stato, alzare in modo costruttivo un muro di separazione tra Stato e Chiesa, sostenere il diritto sociale e la libertà di ogni persona, al di là delle convinzioni personali, richiede un grande sforzo della coscienza di ogni politico, ma – ha concluso Volpe – genera un grande risultato per quanto riguarda la convivenza umana».