Voci di credenti LGBT. I passi avanti della Chiesa cattolica
Articolo tratto da Adista Segni Nuovi n° 31 del 16 settembre 2017, pp.12-14
Il portale su fede e omosessualità Progetto Gionata ha raccolto per Adista alcuni commenti di catechisti, genitori con figli omosessuali e altri credenti Lgbt ai due articoli usciti di recente sul mensile Jesus e su Avvenire. Il primo promuoveva un’inchiesta sul mondo Lgbt cattolico; il secondo prendeva le mosse dal caso del capo scout gay di Gorizia per discutere di aggiornamento pastorale (v. Adista Notizie n. 29/17).
Fabrizio (studente, scout Agesci del gruppo di cristiani lgbt di Firenze Kairos): «Io penso che il confronto sulla questione sia una cosa inevitabile. È un confronto vitale. In quanto associazione educativa (in generale, non solo Agesci) devi per forza interrogarti sui cambiamenti della società, devi confrontarti, sennò che educhi a fare? In quanto scout, io credo che sia forte la spinta dall’interno affinché si affronti per bene la questione. Credo, per i confronti che ho avuto, che la posizione non ufficiale dell’Agesci sia di apertura ma, come diciamo sempre, abbiamo la C che ci frena (la C di cattolici)».
Luca (gruppo “La Scala di Giacobbe” di Pinerolo): «Gli articoli recentemente apparsi sulla stampa (Jesus, Avvenire) confermano l’attualità e l’importanza della tematica fede-omosessualità e descrivono un cambiamento significativo nel dialogo tra le diverse realtà associative di cristiani lgbt e la Chiesa, oltre che la maturazione di un atteggiamento più consapevole e propositivo delle persone omosessuali credenti.
È iniziato un percorso nuovo, impensabile fino a poco tempo fa, che sembra orientarsi verso una maggiore comprensione e una effettiva accoglienza delle persone omosessuali: tutto questo è il frutto di oltre trenta anni di impegno serio e costante dei credenti lgbt che non hanno perso la fiducia nell’Istituzione ed hanno lavorato con impegno per creare le condizioni per vivere serenamente la propria affettività e partecipare attivamente alla vita della Chiesa. Il cammino è lungo, ha bisogno di rispetto delle diverse sensibilità ma il clima è assolutamente positivo e le iniziative, soprattutto pastorali, sono davvero molte».
Claudia (gruppo Lgbt della parrocchia Regina Pacis a Reggio Emilia): «Ho letto l’articolo di Avvenire e mi sembra che da un lato ci sia un uomo (il prete che chiede al capo scout di fare un passo indietro) che segue la regola scritta dimenticandosi della\e persone. Dall’altro un gruppo di persone, compreso il vice parroco, che si concentrano sulla persona. In fondo la sostanza è, a mio parere, evidente ai più. La regola è una interpretazione umana e quindi limitata della sostanza e volontà di Dio. Ma avendo fiducia in Lui, essendo stata fatta a sua immagine e somiglianza, posso sentirmi fiduciosa nella speranza che ogni cosa buona e giusta verrà a galla».
Angelo (gruppo di cristiani omosessuali “In Cammino” di Bologna): «È giusto che l’Agesci tutta rifletta sulla omosessualità, liberandosi ora e per sempre da ogni retaggio militaresco. È giusto che l’amore fra due persone sia proposto come valore e non come disvalore. Spesso i ragazzi dell’Agesci sono più avanti dei loro capi».
Corrado e Michela Contini (gruppo Davide per genitori cattolici con figli Lgbt di Parma): «Come genitori credenti di un figlio gay, siamo rimasti favorevolmente colpiti dalla decisione dell’Agesci nazionale di voler aprire, con tutte le realtà ecclesiali e associative impegnate nei processi educativi, una riflessione ampia a proposito di affettività e sessualità ed in questo contesto porre la questione dell’accompagnamento pastorale delle persone omosessuali e dei loro familiari.
Da genitori intendiamo porci come interlocutori attivi sia dei pastori che dei nostri figli e figlie. Ai pastori vogliamo parlare delle bellezze e delle scoperte di una vita di fede interiore arricchente, sia nostra sia dei nostri figli, che nasce come risposta alle domande: “Cosa vuoi, Signore, da me in questa realtà? Cosa mi chiedi? Dove mi vuoi portare?”. Ai nostri figli vogliamo parlare della “indicibile bellezza” di essere cristiani, figli amati e desiderati, parte di un unico edificio, cellule di un unico corpo mistico, la Chiesa. Questo affinché tutti, noi per primi, possiamo comprendere, realizzare e gustare pienamente la volontà di Dio in noi, per una vita buona e degna di essere vissuta.
Il caso di Staranzano è un’ottima occasione per affrontare il tema a livello educativo all’interno dei gruppi. La problematica esiste da tempo tra i ragazzi e non la si può più nascondere. Bisogna farli crescere nel rispetto delle diversità. Non ci devono più essere dileggi, battute, scherzi pesanti che possano mettere in difficoltà i ragazzi e le ragazze omosessuali presenti, ma anzi va affrontata la tematica dell’affettività in modo che ognuno di loro possa capire le varie situazioni esistenti e nello stesso tempo sentirsi rispettato ed accolto nella comunità, qualsiasi sia la propria inclinazione».
Elena Turazza ed Enrico Carretti (genitori del gruppo Lgbt della parrocchia Regina Pacis, Reggio Emilia): «La nostra esperienza ci dice che ogni persona accolta nel nostro gruppo racconta una storia fatta di silenzi, di solitudine, di paura e di nascondimento. Insieme stiamo provando a superare tutto questo per il diritto di ciascuno di noi di stare alla luce del sole con gioia, senza vergogna e senza paura, con la stessa dignità, donataci da Dio, di qualsiasi altro essere umano.
Il sentirsi liberi di fare questo vuol dire sentirsi a casa, a proprio agio, al sicuro, protetti da quella parrocchia che ci ha accolto e ci ha aperto le porte senza nessuna condizione o imposizione di sorta, senza giudicare o condannare, ma con la libertà di essere se stessi fino in fondo. Non c’è nessuno migliore o più meritevole di un altro, siamo tutti uguali di fronte a Dio e dobbiamo esserlo anche tra di noi, soprattutto all’interno della comunità cristiana. Sono questi i concetti che devono essere assimilati da tutti per creare una società migliore».
Piotr Zygulski (direttore della rivista Nipoti di Maritain, ha partecipato all’ultima veglia contro l’omofobia del gruppo Kairos di Firenze): «Fa piacere che si porti all’attenzione dell’opinione pubblica, a partire da quella cattolica, il percorso e le attività che i cristiani omosessuali stanno facendo. Ciò che va apprezzato soprattutto sono i toni pacati e ragionati, non preconcetti né sensazionalistici.
È tempo di porre fine alle polarizzazioni, trappole in cui purtroppo sono caduti molti cristiani, molti omosessuali, e anche alcuni cristiani omosessuali. Ne restano tracce in alcuni commenti che leggiamo quando vengono pubblicati questi articoli sui profili social delle testate, in particolare Avvenire, spesso presa d’assalto da persone agguerrite che non sono sintonizzate con il percorso di conversione pastorale proposto da papa Francesco, che viene ripetutamente preso d’assalto, criticato e insultato. Non solo su questo tema, ma anche sull’immigrazione, sui divorziati risposati, sull’ecumenismo e il dialogo interreligioso. Questo ci spiace molto. Esse parlano di “ambiguità” e “confusione”, ma non sempre sono consapevoli che con i loro interventi ne creano altrettanta; con toni apocalittici straparlano di “lobby gay” come di un complotto massonico che starebbe distruggendo la Chiesa con la complicità del papa che si sarebbe venduto al mondo. In genere, con questi deliri apocalittici esprimono l’esigenza di risposte vetero-catechistiche o da letteralismo levitico a tutti i costi e valide sempre e comunque per far fronte alle loro insicurezze esistenziali.
Si appigliano a esegesi strampalate del “sì, sì; no, no” – nato nel contesto del giuramento e della coerenza tra parole e fatti – arrogandosi il diritto e il dovere di distinguere le persone in “buone” e “cattive”, spacciandosi per portavoce della volontà divina. Nulla di più anticristiano. Perché Gesù è sempre destabilizzante, il discernimento è impegnativo e dopotutto necessita di grande forza d’animo. Sappiamo che nelle parrocchie tali persone costituiscono una piccola minoranza e che comunque stanno combattendo battaglie di retroguardia, quindi non occorre preoccuparsi più di tanto. Forse le discussioni confuse sono anche un effetto della franchezza che ha chiesto papa Francesco, però grazie a Dio tale “parresia” ha portato molte più persone a dialogare veramente, a partire dai casi singoli, concreti, personali.
Il modo in cui ha voluto intervenire monsignor Redaelli sulla vicenda del capo scout unito civilmente ne è uno splendido esempio, ma anche quello di numerosi altri pastori, alcuni dei quali citati nell’approfondimento di Jesus. Prima di poter ragionare sui massimi sistemi, occorre conoscere la vita delle persone, e portare alla luce le nostre testimonianze è un bel servizio che vi fa onore. L’invito è a “tastare” con carezze delicate come le nostre vite, anziché quello di rovinarsi le mani sulla tastiera. I lettori di Famiglia Cristiana e di Jesus sembrano essere più disponibili, quelli di Avvenire purtroppo meno – in questo senso si comprende bene anche l’approccio più soft e propedeutico che offre Luciano Moia – ma ad entrambi siamo grati per l’attenzione, l’ascolto e la proposta di accompagnamento rispettoso della dignità della vita di ogni singola persona che ci si attende non solo perché lo dice il catechismo, ma perché siamo cristiani».
Cristian (giovane catechista del gruppo Kairos di Firenze): «Da questi articoli, mi pare di capire che finalmente ci sia nella Chiesa un’opportunità per riflettere intorno ai temi della fede e della sessualità, che vanno trattati con rispetto e con una certa apertura mentale. Non è giusto che le persone omosessuali, spesso impegnate nelle comunità, debbano nascondersi, mettendo a tacere le loro inclinazioni e fingendo di essere diversi da ciò che sono. Cristo è giunto per sovvertire le regole imposte dai farisei e per rivoluzionare il mondo con la tenerezza e l’amore per tutti. Ciò significa che i gay non devono essere considerati solo come individui con certi atteggiamenti, ma come creature che rispecchiano la bellezza di Dio».
Armando Capasso (giovane del “Progetto Ruah” di Trieste): «L’articolo su Avvenire, che fa il punto della situazione sul caso del capo scout unitosi civilmente col compagno a Staranzano (GO), mette in evidenza qualche passo in avanti, che spero possa essere luce per l’intera Chiesa».
Carmine (studente universitario, attivo in parrocchia, volontario del Progetto Gionata): «Di anno in anno si manifesta lampante l’esigenza di una pastorale omosessuale. Il numero di coming out è in aumento e il tentativo che credo dovrebbe essere fatto è quello di portare la questione dell’omosessualità ad essere percepita non come una differenza, ovvero una variazione sul tema dell’eterosessualità, quanto piuttosto uno stato normale della realtà.
Il caso dello scout dell’Agesci, come di qualsiasi altro animatore educatore cattolico, si fa largo in un presente che chiede e rivendica l’idea per cui una persona gay non è in grado di deviare la psiche di nessuno. Anzi, allo stato attuale credo che possa essere una testimonianza dell’amore che trionfa. Tra le critiche che potrebbero essere mosse, credo spicchino tra tutte le linee guida dalla Chiesa che parla ancora dell’omosessualità come di un disordine. Il fatto che esistano persone Lgbt che rivendicano il loro essere cattoliche deve portare, in ordine all’idea dell’uguaglianza e della universalità della Chiesa, ad una loro inclusione, a una loro concreta inclusione. Si può continuare a dibattere sulla natura della sessualità, ma allo stato attuale, ogni discorso sulla natura è già cultura. Che si faccia allora del personalismo integrale, ma in maniera seria; che si ritorni alla persona e al suo microcosmo. Credo ne valga la pena».
Andrea Rubera (portavoce dell’associazione nazionale Cammini di Speranza): «È evidente che all’interno della Chiesa cattolica si stia aprendo una stagione di serena e convinta riflessione sui temi fede e persone lgbti. Credo che tutto ciò sia il frutto dell’ interazione di tre significativi cambiamenti che hanno consentito editoriali come quelli di Jesus e Avvenire: 1) il pontificato di papa Francesco che sembra avere piena consapevolezza del fatto che la pastorale vada rivista in ottica inclusiva e riportando la persona in primo piano 2) lo scendere in campo di pastori, religiosi e religiose che hanno voluto impegnarsi per avviare dal basso, e senza strappi, una “pastorale delle frontiere” 3) il fare rete, nazionale e internazionale, dei cattolici lgbti che sono passati dalla dimensione dell’attesa e della catacomba a quella della partecipazione e della produzione di contenuti, pensiero e proposte, in modalità non antagonista ma propositiva».