“Capisci quello che stai leggendo?” (At 8, 30). Sfogliando la “Bibbia queer”
Articolo di Laura Scarmoncin* pubblicato su Adista Segni Nuovi n° 4 del 3 febbraio 2024.
Da persona queer credente e studiosa di storie e teorie queer, due cose mi hanno stupita nel dibattito che ha accolto l’edizione italiana del volume “Bibbia queer. Un commentario”, uscito per i tipi di EDB lo scorso dicembre (2023).
Non mi aspettavo che ci si dovesse chiedere se è lecito – e ribadire che lo è – leggere, interpretare e commentare la Bibbia a partire da uno sguardo queer. Come se quest’atto si arrischiasse a una sorta di profanazione o sacrilegio. A quanto pare in Italia sulla dialettica tra Scritture e vite queer è ancora necessario alzare una voce apologetica. Il che però stona parecchio con un discorso teologico e spirituale che altrove ha assunto ormai da trent’anni toni ben più affermativi e creativi. D’altra parte, per chi vive una vita queer la coercizione a legittimarsi è un fatto ancora tristemente frequente. E’ la cosiddetta «violenza epistemica» agita dai gruppi maggioritari eterosessuali, che si presentano con i crismi della normalità e dell’ovvietà relegando ad anomalia e stranezza tutto ciò che non corrisponde alle loro forme e norme di esistenza.
Ma come ogni «sapere minoritario», anche le esegesi e le ermeneutiche queer mandano in frantumi questo gioco di specchi diseguale e discriminante. Lo fanno rimpallando il dubbio di plausibilità a ogni interpretazione delle Scritture. Soprattutto nel caso in cui avanzi pretese di oggettività, o ancor peggio di verità e infallibilità. Non si tratta quindi di approcciare la Bibbia queer per decidere se l’operazione che propone è «lecita». Si tratta semmai di far proprio uno dei suoi presupposti di fondo, un presupposto che è tanto metodologico quanto squisitamente confessionale.
Non esiste lettura e interpretazione della Bibbia che non sia «sporcata» dagli assunti culturali, dai posizionamenti sociali e dalle specifiche esperienze di chi la legge e la interpreta. Un’accorta e onesta curiosità ermeneutica prende le mosse da questa consapevolezza, non dal chiedersi se uno sguardo queer sulla Parola sia «lecito» o meno.
Un secondo aspetto mi meraviglia nella ricezione tutta italiana della Bibbia queer. E’ l’idea, espressa da più parti e in modi tanto allarmati o canzonatori quanto entusiasti, che sia un’opera caduta dal cielo (o risalita dall’inferno) a scompaginare ex abrupto una tradizione interpretativa stabile e pacifica.
Al di là del fatto che, oggi come ieri, il significato delle Scritture è sempre stato dialogico e conteso, il testo è in realtà il frutto di almeno due decenni di studio. Più di vent’anni di ricerca e dibattito teologico ed ermeneutico queer. E’ uno dei tanti tasselli di un sapere che in ambito anglosassone è talmente radicato e vivace da essere ormai straordinariamente eterogeneo e persino conflittuale. Ciò si lega alle peculiarità storico-geografiche in cui questo sapere è andato formandosi: negli Stati Uniti. In quel contesto, sin dai primi anni ’90, il pensiero e la prassi politica queer hanno subito contaminato il pensiero e le prassi di fede. Hanno dato vita a quello che oggi si può a ragione chiamare a un vero e proprio «cristianesimo queer», vivo e attivo tanto negli ambienti accademici quanto in moltissime comunità di fede.
Anche in Italia esistono numerose associazioni di credenti LGBT+. Alcune hanno una storia egualmente lunga (e che ha appena cominciato a essere raccontata, si veda per esempio il libro di Matteo Mennini, Credenti LGBT+. Diritti, fede e Chiese cristiane nell’Italia contemporanea, 2023), ma manca un pensiero altrettanto solido, elaborato e radicale, soprattutto in ambito cattolico.
Le ragioni sono tante e vale la pena citarne alcune. Da un lato, i recentissimi dibattiti teologici sulle questioni LGBT+ sembrano ancora incagliati in quella cauta apologetica che poco aiuta a svecchiare ed evolvere. A questi dibattiti, fa da contraltare a un magistero per molti versi invadente e pachidermico, oltre che maldestramente funambolo e sconfortantemente passatista. Dall’altro lato, i tentativi di traduzione, fondamentali per consentire quel travaso di esperienze capace di allargare lo sguardo, sono stati rari e intermittenti. E gli sforzi di divulgazione sembrano ancora riservati a singole profete (e qualche profeta) attive perlopiù al di fuori della Chiesa cattolica, anche se generose nel varcarne la soglia per condividere pane e sapere.
Nel portare in Italia un’eredità «strana» (queer) anzitutto perché «straniera», la Bibbia queer è quindi come prima cosa un normalissimo progetto di impollinazione transculturale. E’ un progetto che colma un vuoto di conoscenza, ma non certo di sapienza. Gridare all’inaudito (in senso negativo o positivo che sia), come è stato fatto, rischia di dimenticare la lunga e sofisticata vicenda di ricerca e riflessione in cui il testo si inscrive e di cui offre una sintesi magistrale, regalandoci l’opportunità di recepire, e magari cominciare a praticare anche noi, un’autorevole «queerizzazione»d ell’interpretazione biblica che non ha nulla di inedito, e tanto meno di inconcepibile.
La Bibbia queer non ha bisogno né di apologeti né di essere paventata o esaltata come un «bizzarria» inaudita. Necessita semmai di essere letta, discussa, criticata con curiosità e umiltà. E anche di essere imitata con coraggio. Possibilmente con l’aiuto di ulteriori traduzioni da cui attingere concetti, metodi e prospettive da adattare alle nostre specifiche realtà culturali ed ecclesiali.
Ma soprattutto, invece di suscitarli, il volume dovrebbe offrirci l’occasione di mettere da parte una volta per tutte gli sconcerti e le diffidenze. Sconcerti e differenze che altro non rivelano se non il preconcetto, alquanto eteronormato e opprimente, secondo cui la presa di parola delle persone queer di fede è a tutt’oggi qualcosa di cui sorprendersi o addirittura sospettare. Come se noi credenti LGBT+, nonostante la nostra lunga presenza e notevole resilienza, dovessimo ancora chiedere il permesso di esistere.
* Laura Scarmoncin. Storica di formazione, traduttrice e redattrice, si è a lungo occupata di storia e studi sul genere e la sessualità. Ha tradotto e curato con la teologa Cristina Simonelli l’edizione italiana di “Nella giustizia e nella tenerezza. Storie sacre di religiose lesbiche e queer” di Grace Surdovel (editrice Effatà, 2022)