“Chiamò i suoi servi e affidò loro i suoi beni” (Matteo 25:14-30)
Riflessioni bibliche* di Giacomo Tessaro**
Il passo di Matteo meglio conosciuto come “parabola dei talenti”, oltre a essere molto citato, mi è molto caro a livello personale: è il brano evangelico preferito di un pastore caro amico mio. Quando ci siamo conosciuti ha richiamato alla mia mente questo brano per darmi una scossa, per così dire darmi una spinta nella mia vita, ma senza l’arroganza e la prepotenza che solitamente si accompagnano a simili discorsi. Quali migliori parole, infatti, per incoraggiare qualcuno a non buttare via la propria vita, di questa parabola, a noi così lontana nel tempo e nell’uso delle metafore ma sempre attuale e pronta a parlarci direttamente della nostra vita?
Vediamo la parabola più da vicino: c’è un padrone che si assenta e lascia i suoi affari in mano ai suoi servi: questa metafora significa che il mondo creato da Dio viene affidato a noi: questi “servi” erano forse degli schiavi, perché queste erano le usanze e la società dell’epoca, ma noi possiamo tranquillamente considerarli dei collaboratori e quasi bracci destri del padrone, soprattutto i primi due ma in realtà anche il terzo, vista la somma a loro affidata: un “talento” non era una moneta ma una somma o una quantità d’oro molto notevole. Capiamo quindi che Gesù vuole dirci che siamo i collaboratori di Dio nella gestione del mondo: già dai primi versetti della Bibbia, del resto, viene affermato che gli uomini e le donne sono i bracci destri del Signore: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, conforme alla nostra somiglianza, e abbiano dominio sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutta la terra e su tutti i rettili che strisciano sulla terra” come troviamo scritto nel versetto 26 del primo capitolo di Genesi. Come possiamo vedere, non ci è stato affidato un compito da poco: governare il nostro pianeta non è uno scherzo, e infatti non ci stiamo riuscendo gran che bene… Questi talenti, questa somma non indifferente che ci è stata affidata da Dio in persona è una grossa responsabilità. Saremo capaci di non deludere il padrone?
Tra ogni uomo e ogni donna, tra i servi di Dio esistono differenze anche notevoli: non riceviamo tutti la stessa somma, ma anche chi riceve molto poco rispetto ai servi con maggiori responsabilità, riceve comunque un capitale: non occorre certo essere capi di Stato o medici in Africa per avere responsabilità gravi, non occorre essere artisti di fama mondiale per poter dire di avere talento e avere la volontà di far fruttare il nostro potenziale. La vita stessa come il Padre l’ha creata esige che gli esseri umani siano diversi e conservino le loro differenze, ma tutti e tutte condividiamo il mandato divino di governare il mondo, senza abusarne e senza sfruttarlo ma impegnandoci a dare frutto secondo le possibilità a noi concesse. Anche le persone che hanno ricevuto mezzo talento o addirittura di meno, anche chi non sembra avere grandi capacità per stare al mondo ha però la sua somma da investire, che magari è molto più sostanziosa di quanto immaginiamo.
Vediamo all’opera i servi: colui che ha ricevuto cinque talenti è con ogni probabilità una sorta di maggiordomo o segretario, una persona che lavora a stretto contatto con il padrone, che conosce bene il suo lavoro ed è molto abile nel commercio o in altre attività utili a raddoppiare la somma in suo possesso, inoltre è “buono e fedele”, come lo definisce il padrone, possiamo quindi pensare che sia onesto e leale, un ottimo collaboratore: altrettanto possiamo dire del secondo servo, dotato forse di minori capacità e conoscenze, ma non certo di minore volontà e sagacia nel lavoro. Tutti noi sappiamo che le nostre conoscenze, il nostro saper fare, le nostre competenze, possono essere coltivate e migliorate, poi condivise con altri e altre perché ne possano beneficiare anche loro: il nostro impegno, la nostra voglia di fare non si esauriscono mettendoli in pratica, al contrario! Non solo la nostra comunità di fede, ma anche tutti gli ambiti esterni alla Chiesa possono beneficiare dei nostri talenti, delle capacità che Dio stesso ha infuso in noi perché le mettiamo a disposizione dei fratelli e delle sorelle e in questo modo rendiamo lode a Lui.
Chi comincerà a lavorare per il Regno, facendo all’inizio cose forse umili e apparentemente insignificanti, dimostrerà la sua fedeltà nel poco, raddoppierà la somma datagli all’inizio ed entrerà nella gioia del suo Signore, una gioia che lui stesso o lei stessa ha contribuito a coltivare e ad accrescere: tutti noi siamo chiamati a lavorare nel campo e nella vigna del Signore, e più coltiveremo e ci affaticheremo più questi daranno frutto.
Purtroppo esistono molte persone simili al terzo servo: hanno ricevuto poco, o almeno così pensano loro: come abbiamo detto prima, un talento non è paragonabile a una moneta da due euro ma a un assegno di notevole valore. Queste persone tuttavia sono scontente di avere un solo talento e sono piene di paure, credono che il padrone li abbia abbandonate a se stesse e non hanno la minima fiducia né in lui, né in se stesse, né nella somma a loro affidata.
Il terzo servo è così confuso che non sa che fare, da una parte pensa di possedere molto poco, d’altro canto è spaventato da quella somma e ha timore che gli venga rubata, non gli viene però in mente di depositarla in banca, dove potrebbe fruttare pur poco: non sa fare di meglio che sotterrarla. Così siamo noi quando pensiamo di non sapere fare nulla e non sappiamo far fruttare quel poco che sappiamo, perdendo la possibilità di scoprire che in realtà quello che sappiamo è tutt’altro che trascurabile e che possiamo, senza troppi sforzi, raddoppiare il talento.
Quante volte abbiamo sotterrato il nostro talento perché pensavamo che fosse inutile, perché vedevamo in Dio un padrone duro e severo che ci avrebbe puniti se il talento ci fosse stato rubato, senza renderci conto che i nostri tesori depositati in Cielo sono al sicuro dalla tignola e dai ladri.
La nostra fede non ci serve solo quando siamo in chiesa o quando preghiamo: ci vuole molta fede per far fruttare i talenti, i servi buoni e fedeli hanno una grande fiducia nel padrone, lavorano a stretto contatto con lui, si confidano con lui, gli sono tanto vicini che entrano nella sua gioia dopo aver lavorato alla perfezione anche in sua assenza. Il terzo servo ha paura del padrone e in fondo lo disprezza: è difficile avere fiducia in qualcuno che riteniamo duro e disonesto. Il suo talento non può rimanere inutilizzato quando altri servi potrebbero averne bisogno per lavorare e raddoppiarlo, per questo la giustizia del padrone glielo toglie: il servo non ha saputo cosa farsene e, invece di entrare nella gioia, ha preferito essere gettato nelle tenebre che lui stesso ha creato con le sue paure.
Il Signore che convoca la sua comunità, che ci incoraggia a riunirci e agire come Chiesa ci incoraggia anche a utilizzare i nostri talenti, a concimare la sua vigna con il nostro impegno e le nostre capacità, perché chi ci vede, chi considera la nostra fede e le nostre azioni, ne renda lode a Dio vedendolo come un Padre affettuoso che ci fa entrare nella sua gioia e non come un padrone duro e severo pronto a gettarci nelle tenebre, come troppa gente, anche tra i cristiani, è ancora convinta. Amen
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Vangelo di Matteo 25:14-30
«Poiché avverrà come a un uomo il quale, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e affidò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due e a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità; e partì. Subito, colui che aveva ricevuto i cinque talenti andò a farli fruttare, e ne guadagnò altri cinque. Allo stesso modo, quello dei due talenti ne guadagnò altri due.
Ma colui che ne aveva ricevuto uno, andò a fare una buca in terra e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo, il padrone di quei servi ritornò a fare i conti con loro. Colui che aveva ricevuto i cinque talenti venne e presentò altri cinque talenti, dicendo: “Signore, tu mi affidasti cinque talenti: ecco, ne ho guadagnati altri cinque”.
Il suo padrone gli disse: “Va bene, servo buono e fedele; sei stato fedele in poca cosa, ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo Signore”. Poi, si presentò anche quello dei due talenti e disse: “Signore, tu mi affidasti due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. Il suo padrone gli disse: “Va bene, servo buono e fedele, sei stato fedele in poca cosa, ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo Signore”. Poi si avvicinò anche quello che aveva ricevuto un talento solo, e disse: “Signore, io sapevo che tu sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra; eccoti il tuo”.
Il suo padrone gli rispose: “Servo malvagio e fannullone, tu sapevi che io mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; dovevi dunque portare il mio denaro dai banchieri; al mio ritorno avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento e datelo a colui che ha i dieci talenti. Poiché a chiunque ha, sarà dato ed egli sovrabbonderà; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha. E quel servo inutile, gettatelo nelle tenebre di fuori. Lì sarà il pianto e lo stridor dei denti”.
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* I passi biblici sono tratti dalla Bibbia Nuova Riveduta
** Giacomo Tessaro, nato nel 1980, ha cominciato a frequentare la Chiesa Valdese e Metodista nel 2008, dopo molti anni di adesione all’ateismo materialista e dopo una conversione alla fede in Dio maturata nelle sue letture di carattere religioso e filosofico. Sin dagli inizi della sua frequentazione protestante è stato incaricato della predicazione nella sua piccola comunità metodista di Vintebbio, in provincia di Vercelli, per la quale svolge anche compiti di cura pastorale. Ha la passione della scrittura e della traduzione e svolge l’attività di traduttore per il mensile Évangile et Liberté dal 2010, oltre che per il Progetto Gionata – Fede e omosessualità.