Chiesa cattolica, gay e società, meglio parlarne
Articolo di Michele Partipilo tratto da La Gazzetta del Mezzogiorno, 7 marzo 2012, p.25
Fra i tanti meriti di Lucio Dalla c’è la capacità di tenere lontana dai riflettori la vita privata. Nella civiltà dell’immagine non è cosa da poco.
Molti suoi colleghi, e spesso di valore ben più basso, hanno sbandierato passioni e abbandoni per guadagnare titoli sui giornali. Lucio ha vissuto con discrezione la condizione di credente e di omosessuale.
Non ha ostentato né nascosto né l’una né l’altra. La sua grandezza non aveva bisogno di clamori estranei alla sua arte. Un comportamento ispirato al più genuino concetto di riservatezza.
Ora tutto questo in un paese normale sarebbe altrettanto normale e nessuno si sognerebbe di parlarne o, addirittura, di costruirci sopra polemiche tanto gonfiate quanto inutili. Ma si sa, l’Italia è tutto fuorché un paese normale.
Si è parlato di «ipocrisia della Chiesa» che ha concesso i funerali religiosi e nel tempio più importante di Bologna.
In risposta si è detto che le associazioni di omosessuali abbiano voluto consumare una «vendetta» nei confronti di Dalla perché non aveva mai accettato di trasformare il suo orientamento sessuale in una battaglia mediatico-politica.
Che peccato. Usare post mortem Lucio Dalla per affrontare questi temi è un oltraggio alla sua memoria. I problemi legati alla omosessualità o alla identità di genere esistono, sono molto seri e segnano in maniera drammatica l’esistenza di chi li vive e di chi è loro accanto.
Forse i tempi sono maturi per affrontarli con civiltà e rispetto. Perché quando si entra nella sfera più profonda e delicata delle persone bisogna farlo in punta di piedi.
Come ha fatto Dalla nelle sue canzoni, dove ha provato a parlarne attraverso la forza non violenta della poesia. Come non siamo ancora capaci di farlo noi, troppo inclini a sparare giudizi durante discorsi da bar che però finiscono in tv o sui giornali.
Certo, la civiltà dello spettacolo esige uno «show» attraverso il quale entrare nei problemi. Ha bisogno del naufragio al Giglio per parlare della sicurezza delle crociere o del pazzo che stermina una famiglia per affrontare il tema della violenza domestica.
In una certa misura questo è anche comprensibile. In una certa misura.
Dicevamo delle accuse di ipocrisia alla Chiesa. Possono essere fondate se si ragiona con la logica di chi guarda solo al proprio orticello.
Ieri la Chiesa metteva al rogo gli omosessuali, oggi distingue il peccato dal peccatore secondo una morale che s’ispira al messaggio di fondo del cristianesimo: salvare l’uomo.
Se non vi fosse scampo per il peccatore, che senso avrebbero la redenzione e la stessa venuta di Gesù sulla terra?
Ma questo non può significare che il funerale religioso di un omosessuale debba trasformarsi in un gay pride. È curiosa questa pretesa, molto radicata nel dibattito pubblico italiano, in cui una parte vuole dettare le regole del gioco all’altra.
La Chiesa cattolica ha il suo credo e le sue norme, frutto delle Scritture e della tradizione: proclamarsi credente significa anche accettare quelle regole.
In realtà la trappola che in Italia non si riesce a evitare è quella di confondere in continuazione piani diversi: la fede con la politica, la morale con il diritto.
Una incapacità di analisi che spiega molta parte degli ultimi trent’anni della nostra confusa storia nazionale.
Ciò che rallenta l’Italia e il suo sviluppo è il pensiero banale inculcato da lustri di televisione acefala. Il pensiero della Chiesa invece è complesso, perché complesse sono le realtà cui si rifà.
Ma va detto anche che sono molti i temi delicati sui quali la morale cattolica è arroccata in difesa: non solo quelli legati alle inclinazioni sessuali, ma anche – per esempio – la condizione dei divorziati, delle donne che hanno abortito, di coloro che hanno cambiato sesso, del sacerdozio alle donne.
La tendenza di ogni istituzione – a maggior ragione di una che ha duemila anni sulle spalle – è sempre tesa alla conservazione, a perpetuare quel che è stato. Spetta agli uomini di ogni tempo riuscire ad adeguare quella istituzione alle proprie esigenze.
Allora recuperiamo gli spazi pubblici adeguati per discutere serenamente e ricordiamoci che prima ancora che nella Chiesa, la battaglia per i diritti civili va combattuta nella società.
Sarebbe una ben magra consolazione per un omosessuale infelicitato per tutta la vita ritrovarsi ad avere un bel funerale in cattedrale.
Spegniamo i riflettori, accendiamo i cervelli.