Come madre di una persona LGBT ho paura di andare a messa in parrocchia e non è a causa del Covid
Testimonianza di Valerie Schultz* pubblicata sul sito del settimanale gesuita America (Stati Uniti) il 26 aprile 2022, liberamente tradotta da Giacomo Tessaro
Negli ultimi due anni sono sempre andata a Messa ogni domenica, ma seduta al tavolo della mia cucina. Dalla mia finestra vedo la chiesa parrocchiale della mia cittadina, ma non ci entro dal luglio 2021, quando la pandemia ci concesse un breve periodo di quasi normalità. Dalla mia cittadina nell’Oregon vado a Messa prima a Chicago e poi a Los Angeles.
Forse dovrei precisare che seguo sì la liturgia a Chicago e Los Angeles, ma nessuno ha ancora stabilito come dare la Comunione via Zoom, e l’Eucarestia mi manca molto.
Negli anni passati, quando lavoravo per la parrocchia, andavo a Messa quasi tutti i giorni. Allora non immaginavo cosa volesse dire passare mesi o anni senza il Corpo di Cristo, che è il dramma di certe comunità in aree remote del mondo. Mi sono sempre sentita benedetta per avere la possibilità di andare a Messa ogniqualvolta desiderassi; ero però una persona diversa da quella che sono ora.
La mia vita è cambiata quando uno dei miei figli è uscito dall’armadio (ndr ha fatto coming out). Ero ormai madre di un figlio transgender e sentii la vocazione di agire pubblicamente a favore dei diritti civili della comunità LGBT, e per questo dovetti lasciare il mio lavoro retribuito in parrocchia. In quel periodo stava oltretutto esplodendo lo scandalo degli abusi sessuali nella Chiesa. Mio marito è nato cattolico, ma preferì passare alla Chiesa Episcopale. Il solido edificio della mia famiglia cattolica era crollato.
Per farla breve: ero retrocessa da pilastro della parrocchia a fedele che se ne sta da sola in fondo alla chiesa. Ora vedo il mio cattolicesimo come un fragile uccellino che proteggo nel nido del mio cuore. Mio figlio si sente abbandonato e tradito dalla fede in cui è stato battezzato e mio marito non è più al mio fianco durante la Messa, ma sono rimasta.
Sono cattolica per grazia di Dio e nessuno mi manderà via. Non ho voluto alzare le mani e arrendermi, anzi, mi ci sono attaccata con le unghie. Né le mie personali perplessità, né la cecità dell’istituzione, né l’alienazione che mi logora, né il senso di colpa, che ogni tanto fa capolino, per non aver abbandonato la Chiesa per sostenere mio figlio, hanno avuto la meglio.
Molte volte avrei voluto alzarmi e andarmene provocatoriamente dalla chiesa, per esempio durante un’omelia che paragona il matrimonio omosessuale a dare il diritto di sposarsi alle scimmie. Avrei voluto dire a me stessa che la maleducazione di un singolo prete non rappresenta Gesù.
In quest’epoca di retorica “tradizionalista” pubblicamente vomitata nell’arena pubblica da certi cattolici americani (che fanno a pezzi il Papa e ignorano la dottrina sociale della Chiesa) sapevo bene che Gesù non parla affatto attraverso quelle voci. Ma Dio, quanto parlavano forte quelle voci.
Poi nel 2020 è arrivata la pandemia, e andare a Messa non è stato più sicuro: anzi, in molti luoghi è stato proibito. I cattolici hanno assistito alla Messa nei parcheggi o in TV. Le mie ricerche su Internet mi hanno condotto a scoprire due Messe su Zoom, in luoghi lontani.
Una viene trasmessa da una grande e vivace parrocchia di una grande città, l’altra è diffusa da un amico, un sacerdote in pensione che celebra la Messa nella sua cucina. In questo modo mi sono sentita protetta dal virus, e anche l’uccellino della mia fede si è sentito protetto dall’amore e dalla compassione emanate dalle omelie dei sacerdoti e dei diaconi che ascolto.
Però non mi sento al sicuro dal dissenso, né tranquilla nella mia bolla, perché le omelie sono molto intelligenti e provocatorie: non sento solo ciò che voglio sentire, mi sento molto coinvolta e interrogata. Inoltre, sedendo da sola al mio tavolo, mi sento anche molto concentrata e niente può distrarmi dalle letture o dalle preghiere di intercessione.
Vedere su Zoom i riquadri con tanti cattolici come me, che vivono, respirano e pregano, che sono isolati come me, in qualche modo mi offre un senso di comunione che in parrocchia da tempo non provavo più. Molti di noi, dopo la Messa, rimangono online per discutere l’omelia. Finalmente ho afferrato il significato della comunione spirituale: non credevo potesse essere sufficiente, ma lo è.
Ad essere sincera, mi aspettavo di provare una fame fisica e disperata di Eucarestia: dopotutto, pensavo di essere rimasta cattolica (in mezzo a lunghi periodi di dubbi e oscillazioni) solamente grazie all’Eucarestia, e sono rimasta sorpresa quando questo immenso desiderio non si è fatto vivo.
La preghiera di comunione spirituale, in ogni caso, mi ha commosso profondamente, e l’ho ripetuta con fervore: Non permettere che io mi abbia mai a separare da Te. Pur essendo sola, mi sono sentita più connessa con Dio e con la Chiesa di quanto non lo fossi negli ultimi anni.
Ora la mia parrocchia, nei fine settimana, offre tre Messe. Ora sono vaccinata. Ora non è più necessario indossare sempre la mascherina e calano i numeri degli infettati e dei ricoverati. Possiamo riunirci. Dalla mia finestra sento le campane che suonano per annunciare la Messa. Ogni settimana mi riprometto di andare. Ogni domenica faccio a meno di andare. Perché? Dovrei correre in chiesa per accogliere la presenza reale nell’Eucarestia.
Ecco perché: ho paura, ma non del virus. Ad essere sincera, ho paura di quello che vedrò e sentirò quando tornerò.
Ho paura di dovermi confrontare di nuovo con una superficiale filosofia pro-vita, che è pro-gravidanza ma si oppone a fornire un’assistenza di qualsiasi tipo alle donne bisognose. Ho paura di incontrare di nuovo preti e laici che ripetono a pappagallo crudeli slogan politici e disprezzano gli appelli alla tenerezza di papa Francesco.
Soprattutto ho paura che qualche omelia poco informata possa essere la goccia che fa traboccare il vaso, la goccia che finalmente mi faccia abbandonare la Chiesa a cui appartengo, la Chiesa che dico di amare. Mentre confesso questa debolezza di fede, riconosco di avere paura che il mio uccellino non possa sopravvivere fuori dal nido. Credo, Signore. Aiuta la mia incredulità.
Credo proprio di non essere sola nella mia riluttanza ad affrontare di nuovo la Chiesa come prima della pandemia, ma le mie comunità Zoom stanno cambiando, perché ora le Messe vengono trasmesse da chiese piene di gente in carne e ossa, come dovrebbe essere sempre.
La rivelazione dell’utilità di Zoom la domenica è una benedizione divina per chi preferisce stare a casa, e spero che continui per il bene loro, ma la nostra è la fede nell’Incarnazione, e la presenza reale di Cristo richiede la nostra, di presenza.
Dovrò alzarmi dal mio tavolo e andare a Messa, partecipare alla liturgia e ricevere la Comunione, collaborare in parrocchia e restituire qualcosa alla mia comunità. Le cose vanno così in un mondo perfetto, un mondo in cui non ho paura. Spero e prego di arrivarci, perché ne sono ancora lontana.
* Valerie Schultz è scrittrice e giornalista freelance. Assieme a suo marito Randy ha quattro figli e tre nipoti. La trovate su Twitter: @vsschultz1
Testo originale: I’m afraid to return to Mass in person. And it’s not because of Covid.