Dal Agape al Forum 2020. Il lungo cammino dei cristiani LGBT nelle loro chiese
Riflessioni di Gianni Geraci*
Poco più di quarant’anni fa, ed esattamente nel fine settimana che andava dal 13 al 15 giugno del 1980, si svolgeva presso il centro ecumenico di Agape, di proprietà della Chiesa evangelica valdese, il primo campo su Fede e omosessualità. Poco meno di quarant’anni fa, ed esattamente sabato 20 dicembre 1980, veniva fondato a Milano Il Guado, ovvero il primo gruppo di omosessuali credenti italiano. Ed è curioso notare come il VI Forum italiano dei cristiani LGBT+ si svolga più o meno a metà strada di due anniversari di una storia che, anche se molto raramente è stata al centro dell’attenzione dei grandi media, ha accompagnato con perseveranza il cammino di fede di migliaia di omosessuali credenti.
I primi anni Ottanta, nella Chiesa, erano anni di grandi aspettative. Il nuovo pontificato era iniziato da poco e stava alimentando grandi speranze. L’elezione di Giovanni Paolo II era stata una chiara sconfitta dell’ala più conservatrice dell’episcopato, che aveva puntato tutto sull’elezione del cardinal Siri, d’altra parte interrompeva una tradizione (quella di avere sempre dei papi italiani) che durava da più di quattro secoli; il papa polacco aveva confermato la scelta, già fatta poche settimane prima dal suo predecessore, di non usare più il triregno e il plurale maiestatis; si parlava tranquillamente di un papa che amava lo sport (lo sci, il nuoto) e si parlava con naturalezza della tenera storia d’amore che, forse, l’aveva visto legato, prima di entrare in seminario, a una compagna di università che condivideva la sua passione per il teatro.
Anche i vescovi che il nuovo papa sceglieva di nominare nelle sedi episcopali più importanti sembravano ispirate a un rinnovamento che affondava le sue radici nella stagione conciliare che era iniziata vent’anni prima: il cardinal Cé a Venezia e il cardinal Martini a Milano erano sicuramente il segno di una chiesa che non aveva paura di confrontarsi con le istanze di rinnovamento che giungevano dalla società.
Sarà compito degli storici capire come mai un pontificato che era nato all’insegna della riforma della Chiesa si sia poi progressivamente chiuso in una autoreferenzialità che non ha avuto precedenti nella storia della chiesa. Quello che possiamo dire è che quando, quarant’anni fa, gli omosessuali credenti si affacciavano sulla scena della realtà ecclesiale italiana, avevano tantissimi buoni motivi per sperare che le timide aperture che erano emerse nel documento Persona Humana che la Congregazione per la dottrina della fede aveva pubblicato nel 1975, venissero confermate da un’azione pastorale ispirata all’accoglienza e all’ascolto.
Dopo il centro ecumenico di Agape, hanno iniziato ad aprire le loro porte agli omosessuali credenti, anche delle istituzioni cattoliche: alcune di queste erano molto prestigiose, come la Cittadella di Assisi. Alcuni vescovi avevano aderito con entusiasmo alla proposta di ricevere il bollettino periodico che il Guado aveva iniziato a pubblicare nel 1983 e quando, due anni dopo, durante un convegno che si svolgeva alla Cittadella di Assisi, al cardinal Martini venne chiesto cosa pensava degli omosessuali credenti italiani che avevano organizzato un banchetto informativo nell’atrio della sala dedicata alle conferenze e lui aveva risposto che era allo studio un nuovo documento, tutti accolsero con entusiasmo la notizia.
Nessuno si sarebbe mai sognato che il “nuovo documento”, pubblicato poi nel 1986 in forma di «Lettera ai vescovi della chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuale» si sarebbe rivelato una vera e propria doccia fredda. Basti, tra tutte, la citazione di questo brano del terzo paragrafo, per capire che si trattava di una vera e propria marcia indietro rispetto al documento del 1975:
Nella discussione che seguì la pubblicazione furono proposte delle interpretazioni eccessivamente benevole della condizione omosessuale stessa, tanto che qualcuno si spinse fino a definirla indifferente o addirittura buona. Occorre invece precisare che la particolare inclinazione della persona omosessuale, benché non sia in sé peccato, costituisce tuttavia una tendenza, più o meno forte, verso un comportamento intrinsecamente cattivo dal punto di vista morale. Per questo motivo l’inclinazione stessa deve essere considerata come oggettivamente disordinata.
Una conseguenza concreta di questo documento è stata, ad esempio, la fine degli incontri alla Cittadella, il testo redatto dal cardinal Ratzinger, diventato da poco prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, sull’argomento, non offriva molte possibilità di scelta, visto che al punto 17 si legge che:
Dovrà essere ritirato ogni appoggio a qualunque organizzazione che cerchi di sovvertire l’insegnamento della Chiesa, che sia ambigua nei suoi confronti, o che lo trascuri completamente. Un tale appoggio, o anche l’apparenza di esso, può dare origine a gravi fraintendimenti. Speciale attenzione dovrebbe essere rivolta alla pratica della programmazione di celebrazioni religiose e all’uso di edifici appartenenti alla Chiesa da parte di questi gruppi, compresa la possibilità di disporre delle scuole e degli istituti cattolici di studi superiori.
L’unico modo per potersi trovare ancora nelle parrocchie che ospitavano i gruppi di omosessuali credenti era quella di rinunciare a qualunque forma di visibilità. L’alternativa era quella di cercare aiuto altrove, soprattutto nelle comunità riformate, in particolare quelle che facevano riferimento alla Chiesa valdese (e questa fu la scelta del gruppo L’Incontro di Padova), di trovare realtà cattoliche coraggiose che non avessero problemi a esporsi (il gruppo Davide e Gionata di Torino divenne una delle tante attività portate avanti dal Gruppo Abele) o di fare la “pazzia” di iniziare gestire una sede autonoma (nel Guado di Milano alcuni soci si impegnarono a sostenere le spese dell’affitto, un altro socio decise di sobbarcarsi le spese necessarie per rendere fruibile la “cantina” che era stata trovata).
Gli anni del pontificato di Giovanni Paolo II sono stati, da questo punto di vista, degli anni, entusiasmanti: ormai era chiaro che la Chiesa non sarebbe cambiata. Ma era diventato altrettanto chiaro che saremmo pian piano cambiati noi: invece di fare tutto di nascosto per non esporre il prete di turno che decideva di appoggiarci, avevamo deciso che, anche senza preti, si poteva pregare, si poteva leggere la Scrittura e commentarla, magari partendo proprio dalla nostra esperienza di omosessuali, si poteva soprattutto continuare a praticare la propria fede in maniera più adulta, senza chiedere continuamente un’autorizzazione esterna per vivere serenamente la propria vita.
Forse, così facendo, a parte alcune importanti eccezioni (come quella del gruppo Emmanuele di Padova e dei Fratelli dell’Elpis di Catania), siamo stati meno presenti nelle parrocchie italiane, ma siamo diventati progressivamente degli interlocutori credibili del movimento LGBT+ che, proprio in quegli anni, grazie all’impegno serio e competente nella lotta contro l’AIDS, stava acquistando progressivamente un’autorevolezza che nessuno gli aveva mai riconosciuto in precedenza.
In occasione del ventesimo anniversario di questa storia abbiamo deciso di andare nelle librerie e di raccogliere le nostre vicende nel libro: «Il posto dell’altro. Le persone omosessuali nelle chiese cristiane» e non solo abbiamo trovato un editore cattolico che ha accettato di pubblicarlo (La Meridiana) ma abbiamo iniziato a incontrare vescovi che capivano che, in realtà, la nostra era davvero un’esperienza “ecclesiale”.
Ed è questo riconoscimento della “ecclesialità” delle nostre esperienze che ha segnato il secondo ventennio di vita del movimento dei cristiani LGBT+ in Italia. La presenza in alcune parrocchie è progressivamente uscita allo scoperto, alcune diocesi si sono appoggiate proprio sui gruppi che c’erano nel loro territorio, per promuovere iniziative capaci di rispondere alla necessità di avviare finalmente una pastorale non più pensata “per le persone omosessuali”, ma pensata e vissuta “con le persone omosessuali”.
La nascita nel 2007 del progetto Gionata, il progressivo affermarsi delle Veglie di preghiera per le vittime dell’omofobia, il primo Forum italiano dei Cristiani LGBT nel 2010, il ritorno sulla scena nazionale di alcune realtà ecclesiale animate e gestite da omosessuali credenti (il fondo Samaria, Cammini di Speranza) anche con i loro genitori e gli operatori pastorali (la Tenda di Gionata), sono state tutte tappe che hanno segnato un cammino che non si è più fermato e che ha affrontato le difficoltà e le sfide che man mano sono emerse con una creatività sorprendente che ha coinvolto molti genitori credenti che hanno dovuto fare i conti con l’omosessualità dei figli, preti e anche vescovi che hanno voluto conoscere meglio le nostre esperienze e quelle dei nostri gruppi.
Tra le più curiose c’è quella recente, nata durante il lockdown, di dar vita a una comunità di preghiera virtuale, che si incontra tutti i giorni per recitare le lodi mattutine e la compieta. Qualcuno pensava che, una volta finito il lockdown, la voglia di pregare insieme sarebbe venuta meno. Invece è continuata e sta continuando ancora, dopo aver coinvolto tantissime persone tra cui parecchi sacerdoti, alcuni religiosi e perfino il vescovo di una diocesi del sud Italia. Indimenticabili, per esempio, sono state le celebrazioni internazionali dei vespri (12 aprile 2020) fatte in occasione della Pasqua e della Pentecoste, quando da parecchi paesi diversi, tantissime persone hanno pregato insieme.
La stessa sfida è stata raccolta dagli organizzatori del VI Forum italiano dei cristiani LGBT+ che, viste le difficoltà di proporre un evento che coinvolgesse di persona centinaia di persone, hanno optato per un programma in cui gli incontri e le tavole rotonde saranno in rete.
Questo ci darà la possibilità di essere in tanti e di confrontarci insieme sul lungo cammino che abbiamo ancora davanti. Un cammino che però, alla luce della storia che abbiamo alle spalle, si preannuncia pieno di opportunità e di sfide da cogliere chiedendoci sempre: ma Dio cosa ci chiede di fare ora per le sue chiese?
* Gianni Geraci, è un volontario del Gruppo del Guado, il più antico gruppo di omosessuali credenti italiano, nato a Milano nel 1980. Tra il 1996 e il 2006 è stato portavoce del Coordinamento Gruppi di Omosessuali Cristiani in Italia, un primo tentativo di creare una rete tra le realtà̀ che, in Italia, si occupano di fede e omosessualità̀. Ha al suo attivo numerosi articoli e pubblicazioni ed è un collaboratore del Progetto e della Tenda di Gionata.