Dalla storia di Malika, una nuova presa di coscienza sull’omofobia
Riflessioni del Massimo Battaglio
Nonostante le pantomime di Pillon e le reazioni penosamente convulse de L’Avvenire, la storia di Malika, cacciata da casa dalla madre perché lesbica, ci ha dato coraggio. Non la storia in sè, ci mancherebbe, ma la dignità con cui la protagonista l’ha resa nota al mondo. Dimostrare pubblicamente che la propria mamma è un orco, non è così facile.
Malika ce l’ha fatta, facendoci sentire i messaggi vocali ricevuti, raccontandoci tutto per filo e per segno. E così, il suo dolore è diventato strumento di lotta per tutti.
Parlavo di pantomime e di reazioni convulse perché queste sono state le prime, pateticamente scontate. E, se le puntualizzazioni sgangherate del senatore leghista (“nessuno dice che è di famiglia islamica”) erano prevedibili, più disarmanti sono state quelle del quotidiano dei vescovi.
“L’amore accogliente (e niente affatto facile) di padre e di madre è l’unico amore possibile nei confronti di un figlio o di una figlia. E nessuna legge che non sia scritta nel cuore e nell’anima potrà mai dirlo o addirittura imporlo”, ha scritto il direttore Marco Tarquinio, evidentemente alludendo al DDL Zan, evidentemente imbarazzato perché, evidentemente, la storia di Malika mette in crisi la sua tesi per cui l’omofobia non esiste o perlomeno è una bazzeccola. A differenza del senatore Pillon, che rappresenta solo chi lo ha votato, il dott. Tarquinio dirige l’organo ufficiale di informazione della CEI. Dovrebbe rappresentare il sentire di tutti i cattolici. Roba impegnativa. Vabbè.
Ma in positivo, dicevamo, la storia di Malika ci ha dato coraggio. E lo si vede da tutte le testimonianze di altre vittime di omofobia che, in questi giorni, hanno deciso di venire alla luce del sole: dieci, una al giorno, narrando fatti molto difficili da rivivere nella mente, capitati anche diversi anni fa.
Il primo è stato Ben Moussa, marocchino, parrucchiere a Vicenza, che ci ha informati di una vicenda conclusasi il 25 marzo scorso. Da tempo, il suo vicino di casa lo stava perseguitando, insultandolo e minacciandolo ogni volta che lo incontrava, talvolta arrivando ad assalirlo. Alla fine, Ben ha dovuto difendersi puntandogli un taglierino. L’altro ne ha approfittato per andare dai carabinieri. Ma Ben non ha avuto problemi a far sentire la sua campana e a denunciare a sua volta il suo stalker. E ha voluto rendere pubblica la sua storia.
Un altro ragazzo straniero, Hanry Gomez Simon Andre, era stato picchiato a Torino, dalle parti di Porta Nuova, il 4 aprile. Motivo: andava in giro con una maglietta non abbastanza maschile, secondo gli energumeni che lo hanno inseguito per prenderlo a calci e pugni. Hanry è giovane (23 anni), parla poco l’italiano, era impaurito. E’ stata proprio la storia di Malika a dargli il coraggio di denunciare, alla polizia e al mondo, la sua disavventura.
L’8 aprile, ad Augusta (SR), un quarantenne è stato aggredito per strada, anche lui a causa del proprio abbigliamento. Da quelle parti, è piuttosto difficile che un caso di omofobia venga dichiarato. L’ “indice di omofobia” della Sicilia è di 17 vittime per milione di abitanti, mentre quello medio nazionale è 20.43 (massimo in Umbria e in Campania, rispettivamente 25.87 e 25.86). Ma il clima sta cambiando. Ormai, l’omofobia fa orrore a qualunque persona civile e le vittime non provano più vergogna. Il 15 aprile, il nostro amico di Augusta ha voluto fare qualcosa di più di una denuncia: si è aperto coi giornalisti.
Lo stesso 15 aprile, un 57enne di Carrara ha sentito il bisogno di parlare pubblicamente di un’altra storia di stalking da parte del proprio vicino, conclusasi con una denuncia presentata il 29 ottobre scorso. Ora, il protagonista vuole tornare pubblicamente sull’argomento:
“Perché ho deciso di raccontare questa storia? Perché io ho 57 anni e sono stato davvero male, ho avuto momenti di grande sconforto. Ho immaginato anche come si possano sentire un ragazzo e una ragazza giovani costretti a subire queste stesse cose. Ho pensato a loro e ho deciso di rendere pubblica la mia vicenda. Di raccontare quello che ho vissuto”.
Due giorni prima, il 13 aprile, addirittura un sedicenne di Latina ha trovato la forza di raccontare la sua storia. Era stato vittima di un ricattatore seriale del web. Il delinquente si introduceva nelle chat per incontri e, adescando giovani ragazzi gay, pretendeva che versassero soldi sul suo conto minacciandoli di rivelare la loro omosessualità ai genitori. Per un po’ di tempo, il giovane ha ceduto al ricatto, poi, arrivato a 2700 € versati per paura, ha alzato la testa.
E ha fatto bene, visto che, il giorno dopo, un altro ragazzo si è agganciato alla stessa denuncia. Gli erano stati estorti più di 10000 €.
A Neive, in provincia di Cuneo (altra apparente isola felice dove, in dieci anni, sembrano essersi consumati solo tre episodi omofobi, e io non ci credo proprio), è stato un cittadino qualunque a denunciare un altro episodio increscioso. Su un muro in campagna era comparsa una scritta: “Pulizia. Un giorno riusciremo a uccidere un frocio da queste parti”. Un’evidente minaccia contro una precisa persona, che però, in assenza di una legge contro l’omofobia, oggi passa per un semplice scherzo da prete. E’ significativo che, se anche la vittima non ha il coraggio di esporsi, ha trovato la solidarietà di un compaesano che ha preso provvedimenti. Chissà che non sia stata proprio la storia di Malika a sortire il giusto effetto.
Il 17 aprile, a Trieste, si è concluso il processo contro l’ex cestista Hristo Zohariev, condannato per aver fratturato l’orbita all’allora 19enne Simone V e il suo fidanzato nella notte del capodanno 2016. Preso da un istinto moralizzatore e dalla voglia di farsi vedere macho dalla sua ragazza, aveva attaccato briga coi due, “colpevoli” di tenersi abbracciati in discoteca. All’epoca, la notizia era passata quasi inosservata. Ora non più.
Una vicenda molto simile alla storia di Malika è infine raccontata da un ragazzo di Arezzo, di 28 anni. Dopo un anno di persecuzioni da parte della madre da quando le aveva manifestato la propria omosessualità, nel novembre 2020 era stato cacciato di casa. Tornato poi per prendere le sue cose, era stato accolto dallo zio che lo aveva riempito di botte. Finora, il ragazzo si era tenuto tutto per sé. Ora il dolore è troppo forte per continuare a tacere:
“Purtroppo queste situazioni ti portano a pensare certe cose – si confida – Cose che magari non avresti mai pensato. Ti senti sbagliato e non accettato da quelle persone che dovrebbero proteggerti ed essere la tua famiglia”.
Il dott. Tarquinio scrive che “nessuna legge” potrà mai imporre “l’amore accogliente di padre e di madre”? Ci va un bel fegato per piegare tutte queste storie alle proprie idee assurde. Noi intanto, quella legge, la vogliamo. Subito.