Dopo il Sinodo sulla Famiglia, cosa vuol dire essere omosessuale e cattolico?
Articolo di di Debora Fougere pubblicato sul sito di Al Jazeera America (Stati Uniti) il 31 ottobre 2015, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Ben prima che il quattordicesimo Sinodo Ordinario dei Vescovi cominciasse, era chiaro che non sarebbe stato amico dei diritti degli omosessuali e di altre questioni sociali. Mentre il messaggio papale di inclusione ha funzionato con la stampa e con una significativa parte dei fedeli, alcuni cardinali, arcivescovi e vescovi conservatori hanno reagito negativamente, con rabbia o aperta derisione.
Il cardinale Raymond Burke ha affermato che il Papa “non può cambiare la dottrina della Chiesa”. Una controversa lettera firmata da 13 cardinali e arcivescovi tra i più conservatori, incluso l’arcivescovo di New York Timothy Dolan, pubblicata poco prima del Sinodo, affermava che lo stesso era stato “progettato per favorire un determinato risultato”.
Il pontefice ha convocato il Sinodo per discutere “la vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”. Al di fuori delle mura del Vaticano la definizione stessa di famiglia è cambiata: i cattolici divorziano e si risposano, i religiosi e i sacerdoti cattolici sono apertamente gay. Ma quando hanno letto i resoconti ufficiali del Sinodo, i gay cattolici sono rimasti senz’altro delusi. Il documento afferma che devono essere “trattati con rispetto” e non devono essere vittima di “ingiuste discrimazioni”, ma in pratica chiude la porta al matrimonio omosessuale.
In America molti cattolici omosessuali, inclusi molti sacerdoti, e i loro sostenitori tengono alto il messaggio di Francesco per una maggiore tolleranza e apertura, convinti che il dibattito sull’atteggiamento della Chiesa verso le questioni LGBT sia solo all’inizio e che il risultato del Sinodo non potrà ostacolarlo. Le loro vite e la loro esperienza rivelano che in America esiste una forte e vivace cultura omosessuale cattolica che riconcilia apertamente fede e sessualità.
Una ricerca condotta nel 2004 dal John Jay College of Criminal Justice di New York stima che la percentuale di seminaristi e sacerdoti gay vari tra il 15 e il 58%. Uno di questi sacerdoti è Fred Daley, oggi parroco alla chiesa di Ognissanti di Syracuse, nello stato di New York. Spronato dalla vicenda dei sacerdoti gay trattati da capri espiatori nello scandalo degli abusi sessuali che ha colpito la Chiesa negli Stati Uniti, padre Daley fece coming out nel 2004.
La storia di padre Daley, sacerdote da 30 anni, racconta l’angoscia di molti preti gay. Quando cominciò a pensare al sacerdozio, la sua sessualità non costituiva un problema: “A dire il vero, quando studiavo al liceo non avevo la minima idea di essere gay”. Era sacerdote da tre o quattro anni quando dovette affrontare la realtà: “Cominciai a sentire una sorta di dolore dentro di me: era la mia sessualità che, per così dire, cominciava a bollire in pentola. Cominciai a venire in contatto con l’attrazione sessuale e ne ebbi orrore. Pensavo che fosse terribile, che sarei andato all’inferno”. Lavorò con un direttore spirituale gesuita che “mi fece iniziare un cammino che mi avrebbe permesso di essere consapevole del mio orientamento, di accettarlo e di gioire della persona che Dio aveva creato”. Fu un processo che durò quasi dieci anni e alla fine “ero in grado di scegliere liberamente il celibato perché sentivo veramente una forte vocazione al sacerdozio. Scoprii però di essere capace di intimità”.
Il celibato è una delle caratteristiche del sacerdozio cattolico romano. I preti possono essere gay o etero, purché siano celibi. Quando fu interrogato in proposito, Francesco disse “Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?”, molto lontano in questo dal suo predecessore Benedetto XVI, che nel 2005 firmò un documento che affermava che gli uomini con “forti tendenze omosessuali” non dovrebbero essere sacerdoti e nel 1986, quando era cardinale, firmò una lettera approvata da papa Giovanni Paolo II che definiva l’omosessualità “intrinsecamente disordinata”. I gay cattolici hanno accolto questo mutato atteggiamento dopo aver lottato per mantenere la loro fede in una Chiesa che, ai suoi vertici, ha sempre rifiutato di riconoscere e rispettare il movimento per i diritti LGBT.
Xorje Olivares, 27 anni, è un gay cattolico che lavora nel campo dell’informazione LGBT. Nella sua cittadina di Eagle Pass in Texas, al confine con il Messico, fare coming out era impensabile, anche con la sua famiglia molto religiosa: “Non mi sono mai sentito a mio agio a causa dei sottintesi culturali, quella cosa chiamata machismo. Da te si aspettano di comportarti da uomo. ‘Come osi anche solo pensare di essere gay?’ Questo si mescola all’identità cattolica… Non mi sentivo a mio agio nell’uscire allo scoperto con la mia famiglia”.
Quando si trasferì a New York nel 2010 continuò ad andare a messa ogni domenica, sempre da solo, tenendosi per sé la sua sessualità. Lo scorso anno l’uomo con cui usciva gli parlò di Out at St. Paul, un gruppo LGBT che si incontra nella parrocchia di San Paolo Apostolo a Manhattan e i cui membri vanno a messa insieme: è uno delle decine di gruppi LGBT cattolici del Paese. “Ho pensato ‘Cosa? Non è possibile che esista una parrocchia cattolica con un gruppo LGBT’” dice Xorje, a cui chiesero di far parte di un video intitolato It Gets Better, che il gruppo stava producendo per coinvolgere i cattolici LGBT: avrebbe offerto il suo punto di vista di ispanico. Xorje ammette che l’identità gay e quella cattolica possono essere in conflitto: “Più il tempo passa, meglio capisco come separare la Chiesa Cattolica con la C maiuscola, l’entità politica che deve aderire alla dura retorica che ci tocca sentire dal Vaticano. Credo che cerchino di dare un contentino al lato politico dell’identità cattolica. Io lascio fare e penso ‘Io con voi non ci parlo. Io parlo con Dio’”.
Xorje afferma che quando il suo gruppo venne a sapere che il Papa aveva incontrato Kim Davis, una funzionaria di contea del Tennessee che si era opposta al matrimonio omosessuale, fu un momento particolarmente “devastante”. Giorni dopo il Vaticano chiarì che l’incontro non era privato e che Kim Davis era stata invitata a un incontro collettivo dal nunzio apostolico, l’arcivescovo ultraconservatore Carlo Maria Viganò.
Questo è un esempio della battaglia tra il progressista Francesco e i vescovi conservatori, il 60% dei quali si oppongono alla sua visione, secondo il settimanale cattolico The Tablet.
Secondo suor Kate Kuenstler, un’esperta di diritto canonico che lavora al tribunale vaticano, “per trent’anni e più, i conservatori hanno avuto mano libera. All’improvviso, si sono ritrovati in retroguardia. L’equipaggio è cambiato e la nave sta andando in una direzione diversa”.
Nel diritto canonico non si fa menzione dell’omosessualità. Le leggi sulla sodomia, dice suor Kate, fanno riferimento a “due uomini eterosessuali che hanno un rapporto per onorare un falso dio in un rituale”. Secondo suor Kate, l’opposizione conservatrice agli omosessuali deriva in larga parte da regole superate. Padre Daley concorda: “Direi che una non trascurabile parte del clero non è aggiornata al concetto contemporaneo di orientamento sessuale. Ripetono a pappagallo quello che hanno imparato 30 o 40 anni fa: è questo il vero problema”. Ma questa è l’opinione di un sacerdote americano.
La demografia della Chiesa Cattolica sta cambiando e questo avrà un effetto sul suo atteggiamento verso le questioni LGBT; infatti, mentre il cattolicesimo lotta per difendere le sue tradizionali roccaforti dell’Europa, degli Stati Uniti e dell’America Latina, i suoi numeri crescono molto rapidamente in una parte del mondo ben nota per la sua ostilità culturale ai diritti gay: l’Africa subsahariana. Dal 1980 i cattolici africani sono cresciuti del 238%. Forse è ancora più importante sapere che di essi il 70% assiste regolarmente alla messa domenicale, contro il 29% delle Americhe.
Alcuni tra i Paesi che vedono crescere di più i cattolici, come l’Uganda, la Nigeria e il Kenya, hanno approvato o stanno per approvare leggi che prevedono molti anni di carcere per gli atti omosessuali e, in alcuni casi, la pena di morte.
I numeri non possono essere ignorati, i vescovi africani guidano la carica contro i progressisti e hanno giocato un ruolo non secondario nel Sinodo. John Allen, vaticanista di lungo corso che ha seguito il Sinodo per il sito cattolico Crux, scrive che i progressisti “si sono scontrati con la strenua resistenza di diversi vescovi africani che non si considerano più soci subordinati dell’azienda cattolica, anzi, si sentono pronti per il consiglio d’amministrazione”.
Il Sinodo si è chiuso il 25 ottobre [2015] e la relazione dei vescovi è stata pubblicata subito dopo. Il linguaggio è aperto all’interpretazione ma due cose sono chiare: poco è destinato a cambiare e un buon terzo dei vescovi non ha aderito alle posizioni del Papa; Francesco, però, può accettare il documento, ignorarlo o apportarvi le modifiche che ritiene opportune. L’ultima parola spetta a lui e la sua enfasi posta sulla misericordia offre agli omosessuali cattolici ciò che Xorje chiama “piccoli guizzi di speranza”: “Dico ai miei amici: ‘Vedete, abbiamo passato tanto tempo a bussare alla porta e a chiedere alla Chiesa di lasciarci entrare. Ce ne vogliamo andare prima che rispondano?’”.
Lewis Speakes-Tanner, presidente di Dignity USA, vede piccoli cambiamenti e piccole vittorie per i cattolici e le cattoliche LGBT: “Ci sono molti buoni sacerdoti e buoni vescovi che sono disponibili ad aiutare e a impegnarsi dietro le quinte. Purtroppo, sotto Giovanni Paolo II e Benedetto XVI non era loro permesso di parlare: appena si facevano sentire, erano immediatamente ridotti al silenzio dai vescovi. Con Francesco c’è più libertà di parola”.
Per padre Daley già si sentono gli effetti del papato di Francesco: “Francesco ha un diverso senso delle priorità, il che ha un effetto sulle persone omosessuali come su chiunque altro. La dottrina è importante, ma non è al primo posto: prima vengono la misericordia, la compassione, la comprensione. Francesco ha anche chiarito che, in definitiva, dobbiamo seguire la nostra coscienza”.
Testo originale: Gay and Catholic: What it’s like to be queer in the church