Come dolcissimo miele. Le lettere d’amore gay dei monaci medievali
Testo tratto dal libro My Dear Boy: Gay Love Letters through the Centuries (Mio caro ragazzo. Lettere d’amore gay lungo i secoli) (1998) a cura di Rictor Norton, pubblicato sul sito Gay History and Literature (Gran Bretagna), liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Molti monaci medievali davano sfogo ai loro desideri omoerotici repressi attraverso poesie e lettere d’amore, che si esprimevano nel linguaggio dell’amicizia spirituale, sulla scia dell’Amicizia di Cicerone e delle Epistole di san Girolamo. Scriveva Egberto a san Bonifacio (716-720), con un sentimento certo più appassionato della caritas: “Riconosco il legame del tuo amore; quando l’ho assaggiato nel mio essere più recondito, mi si è riversata nelle vene una fragranza di dolcissimo miele […] credimi, il marinaio squassato dalla tempesta non anela al suo porto, i campi assetati alla pioggia, la madre ansiosa non aspetta suo figlio sul lido, tanto quanto io anelo al diletto di vederti”. L’ultima frase è copiata quasi esattamente da una lettera di san Girolamo a Rufino, che influenzò la maggior parte delle epistole che esprimevano gli aneliti dell’amicitia cristiana. Che questi documenti possano fornire prove di un amore gay piuttosto che di un’amicizia appassionata dipende interamente dalle tendenze di chi le interpreta.
La maggior parte degli studiosi del Medioevo ha in partenza un pregiudizio da maschi eterosessuali contro l’omosessualità, il che li rende ciechi all’evidenza. John Boswell, nel suo saggio rivoluzionario Cristianesimo, tolleranza, omosessualità. La Chiesa e gli omosessuali dalle origini al XIV secolo (Leonardo, 1989) ha documentato molti casi di censura, soppressione e deliberata distorsione di tali passi da parte degli studiosi. I critici si stanno lentamente convincendo del fatto che la sensibilità gay medievale non era una questione di imitazione letteraria, piuttosto l’artificio letterario (l’allusione alle fonti pagane e bibliche) era il veicolo di legittimazione di tale amore.
L’abate Alcuino di York (c. 735-804), a capo della scuola carolingia di Aquisgrana, dava ai suoi alunni dei nomignoli derivati dalle Egloghe di Virgilio e scriveva ad Arnone, vescovo di Salisburgo (c. 750-821), “rapiscimi con le tue preghiere (precibus rape me)”. L’allusione al ratto di Ganimede era solo una goffa convenzione poetica? Difficile ignorare il genuino sentimento omoerotico sottinteso all’inizio dell’epistola ad Arnone: “Ricordo il tuo amore e la tua amicizia in maniera così dolce, reverendo vescovo, che anelo a quell’ora deliziosa in cui potrò stringere il tuo collo così dolce con le dita del mio desiderio. Ahimè, se solo mi fosse concesso, come fu concesso ad Abacuc, di venire trasportato lì da te, come naufragherei nei tuoi abbracci […] come coprirei, con le mie labbra premute strettamente, non solo i tuoi occhi, le tue orecchie e la tua bocca ma anche ogni dito delle mani e dei piedi, e non una sola volta”.
Decine di tali lettere sono ora ben conosciute, soprattutto quelle di Valafrido Strabone (c. 808-849), Notkero il balbuziente (c. 840-912), Salamo (c. 860-920) e Valdo. Alcuino di York (c. 735–804), nato in Inghilterra, studiò alla scuola annessa alla cattedrale di York. Fu a capo della scuola carolingia di Aquisgrana dal 782 al 796, dopo di che fu abate del monastero di Tours, fino alla morte. La lettera che segue pare fosse indirizzata ad Arnone, vescovo di Salisburgo (c. 750–821). Arnone era affezionato al vescovo Paolino di Aquileia (c. 750–802) e Alcuino scrisse un epitaffio congiunto per i due, anche se Arnone morì diciannove anni dopo Paolino, ed espresse il desiderio di essere commemorato come il terzo nella relazione.
Alcuino ad Arnone di Salisburgo
L’amore è penetrato nel mio cuore con la sua fiamma,
e sempre nuovo calore lo attizza.
Né il mare, né alcuna terra, né le colline, né le foreste, nemmeno le Alpi
possono ostacolarlo o rallentarlo.
Sempre leccherò le tue parti più recondite, buon padre,
e laverò il tuo cuore con le lacrime, amato mio.
Dolce amore, come mai ispiri lacrime amare,
perché queste sorsate amare dal miele della devozione?
Se ora la tua dolcezza, o mondo, è mista all’amarezza,
la prosperità si alternerà rapidamente con la disgrazia,
la gioia si cangerà in triste lamento;
nulla è durevole, tutto può perire.
Perciò, o mondo, lasciaci fuggire da te con tutto il nostro cuore,
come tu, sempre pronto a perire, fuggi da noi.
Lasciaci cercare le delizie e quei reami eterni
del paradiso con tutto il nostro cuore, la nostra mente e le nostre mani.
Le sale benedette del paradiso non separano mai gli amici;
un cuore riscaldato dall’amore sempre ha ciò che ama.
Perciò, padre, rapiscimi con le tue preghiere [precibus rape me], te ne prego,
così il nostro amore non si spezzerà mai.
Guarda con gioia e con cuore lieto, ti prego,
queste piccole offerte che un grande amore ti manda,
perché il nostro gentile Maestro lodò le due monetine di rame
che la vedova bisognosa mise nel tesoro del Tempio.
L’amore sacro è migliore di ogni dono,
la fedeltà tenace fiorisce e dura.
Possano i doni divini seguirti, carissimo padre,
e al tempo stesso precederti. Sempre e ovunque addio.
Valafrido (c. 808–849) nacque in una povera famiglia sveva e studiò a Reichenau, poi a Fulda, sotto Rabano Mauro, allievo di Alcuino. Divenne in seguito abate di Reichenau.
Valafrido Strabone al chierico Liutgero
Mio caro, improvvisamente vieni, e improvvisamente te ne vai;
sento, ma non vedo. Eppure vedo ciò che è recondito, e reconditamente
ti abbraccio, anche mentre ti allontani da me, con il corpo, non con la fedeltà.
Perché prima ero sicuro, ora sono sicuro e sempre lo sarò,
che sono custodito nel tuo cuore e tu nella mia mente.
Mai il tempo che passa
persuaderà me o te di qualcos’altro.
Se potrai visitarmi, vedere il mio caro mi basterà;
altrimenti, scrivimi, scrivimi qualunque cosa; ho conosciuto il tuo dolore
e afflitto vi ho riflettuto; l’afflizione è la provincia del mondo.
Le cose che consideri allegre e felici si trasformano velocissimamente in nuvole
e tristi ombre. Come un uccello che si libra sul mondo,
ora salendo, ora scendendo, così gira la ruota del mondo.
Marbodio di Rennes (c. 1035-1123) nacque ad Angers, in Francia, dove prima fu studente, poi insegnante e finalmente, nel 1067 circa, maestro della scuola della cattedrale. Nel 1096 divenne vescovo di Rennes, in Bretagna.
Marbodio di Rennes a un giovane amante
Orazio compose un’ode su un certo ragazzo
che avrebbe potuto benissimo essere una bella ragazza.
Dal suo collo d’avorio scendevano capelli
più luminosi dell’oro, come mi sono sempre piaciuti.
Aveva la fronte bianca come la neve, i suoi occhi luminosi erano neri come la pece,
le sue guance implumi piene di piacevole dolcezza
quando erano bianche e rosse, brillanti.
Naso dritto, labbra luccicanti, denti graziosi,
mento modellato e perfettamente proporzionato.
Chi si faccia domande sul corpo che sta nascosto sotto gli abiti
sarà gratificato, perché il corpo del ragazzo corrisponde al suo viso.
La vista del suo viso, radioso e pieno di bellezza,
attizza il cuore dell’osservatore con la torcia dell’amore.
Ma questo ragazzo, così bello, così straordinario,
una tentazione per chiunque vi ponga sopra lo sguardo,
la natura lo ha modellato selvatico e austero:
piuttosto che consentire all’amore, preferirebbe morire.
Ruvido, privo di gentilezza, come un cucciolo di tigre,
ride solo alle parole più cortesi di un pretendente,
ride di fronte alle lacrime e ai singhiozzi d’amore,
prende in giro chi muore per lui.
Malvagio davvero, costui, e più che malvagio crudele,
costui, che con codesto vizio del carattere impedisce al suo corpo di essere la sua gloria.
Un bel viso richiede una buona mente, uno spirito che si abbandona,
non altero, bensì pronto a tutto.
Il piccolo fiore della gioventù è fragile e troppo breve;
presto appassisce, cade e non sa come rivivere.
Questa carne ora è così liscia, così lattea, così incorrotta,
così squisita, così bella, così morbida, così tenera;
eppure verrà il tempo in cui diverrà brutta e cadente,
quando questa carne, questa cara carne di fanciullo, diverrà senza valore.
Perciò, ora che sei in fiore, adotta queste usanze da persona matura;
ora che sei desiderato da molti e fresco, non indugiare alle richieste di un amante rapito.
Per questo sarai apprezzato e non perderai nulla.
Questi miei desideri, amatissimo,
li mando a te solo; non mostrarli a troppe persone.
Testo originale: Take up Riper Practices. The Gay Love Letters of Some Medieval Clerics