Il bivio dei cristiani, tra lutto e l’allegria
Riflessioni di Carlos Osma pubblicate sul blog Homoprotestantes (Spagna) il 17 agosto 2007, libera traduzione di Eleonora Marrone
Mi è rimasta impressa la forma in cui Lorca parla della repressione nella sua opera: “La casa di Bernarda Alba”. Una repressione che descrive sotto forma di donna. Cinque sorelle che, dopo la morte del padre, sono condannate dalla madre Bernarda, a vivere segregate in casa per otto anni e a vestirsi di un rigido nero: “Durante gli otto anni di lutto, non deve entrare in questa casa neanche il vento da fuori. Facciamo come se avessimo murato porte e finestre con mattoni”. Come afferma Bernarda: “Questo comporta l’essere donna”. (1)
Mentre leggevo quest’opera teatrale, mi chiedevo se la speranza cristiana è, per certi versi, simile a quella che propone Lorca: un’esperienza che riguarda più il lutto, la repressione e la tristezza, che la vita, la libertà e l’allegria. Non so se la risposta sia positiva o meno, però sono convinto che questa sia la concezione che la maggior parte della gente ha di noi cristiani. Nietzsche lo diceva chiaramente: “Il santo in cui Dio ripone la sua compiacenza è il castrato ideale… La vita finisce dove inizia il regno di Dio…”. (2)
Magari non abbiamo vie d’uscita e siamo condannati a vivere in una valle oscura. Come potrebbe essere altrimenti, dal momento che la crocifissione di Gesù è il centro della nostra fede, Gesù sofferente è modello per tutti noi e la sua consegna e la sua umiliazione ispirano la nostra vita? Fatto sta che l’interpretazione che facciamo di questo pilastro del cristianesimo può essere decisiva, nel momento in cui dobbiamo interpretare la vita.
Le spiegazioni che diamo alla crocifissione di Gesù sono diverse, però mi sembra di distinguere due tendenze principali che, anche se in alcuni casi si complementano, se ci si sofferma su una piuttosto che su un’altra, portano a conclusioni ben diverse:
La prima vede Gesù come il Dio umiliato, il Dio che si annulla totalmente e si fa mettere in croce per salvare l’umanità. Questa è la richiesta che Dio Padre fa a Dio Figlio: essere l’agnello di Dio, il sostituto, l’offerta di cui Dio ha bisogno per il suo desiderio di rimettere i peccati dell’uomo. “Senza spargimento di sangue non esiste perdono”. (Eb 9,22).
Rifacendoci a quest’interpretazione, spesso vediamo che la gente viene spinta verso la rassegnazione, l’accettazione dell’ingiustizia e la passitvità, così come fece Gesù stesso. Alle persone che soffrono si propone una vita piena dopo la morte, una vita nella quale tutto questo non esisterà, una vita che non ha niente a che vedere con quella attuale. Sacrificare l’allegria della vita per la speranza nell’aldilà.
Non è difficile immaginare quanto possa essere utile quest’interpretazione per i poteri corrotti, gli autoritarismi e qualsiasi altra forma erronea di intendere il potere. Così, come Bernarda Alba, ci ripetono giorno dopo giorno: “Questo comporta l’essere donna”, “Questo comporta l’essere lesbica o gay”, “Questo comporta l’essere un clandestino” o “Questo comporta l’essere cristiano”.
Una volta eliminato dai propri propositi il desiderio di essere felici in questo mondo, il messaggio cristiano, per non perdere clientela, dovrà far leva sul filone delle condanne. Se non sei così o cosà, se non credi a questo o a quello, se non accetti il posto che Dio ti ha concesso, le fiamme dell’inferno saranno il luogo del tuo riposo eterno. Inoltre, nella casa che Lorca ci descrive, tutto è proibito; le sorelle diventano allo stesso tempo prede e guardiane le une delle altre. Ognuna di loro spreca le sue energie per nascondere propri i desideri e mettere in luce quelli delle sorelle. Un gioco d’ipocrisia al quale spesso giochiamo noi cristiani.
La seconda interpretazione lo presenta come vittima. Gesù, il Messia, si consegna per ottenere il Regno di Dio in questo mondo, non nel cielo. Gesù denunciò le ingiustizie e i soprusi del potere politico, religioso e sociale. Gesù morì in croce senza meritarlo, fu assassinato per aver messo in pericolo lo status quo. Il suo messaggio non è mai stato quello della rassegnazione totale, anzi ebbe il coraggio di mettere in discussione i poteri prestabiliti; “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti!” (Lc 11,44), “Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione” (Lc 12,51).
Tornando quindi all’opera di Lorca, trovo delle somiglianze con Adela, la figlia minore di Bernarda. È lei che, in maniera più evidente, si ribella alla reclusione alla quale era obbligata per il fatto di essere donna. È lei quella che rompe i tabù e i costumi, quella che ha il coraggio di dare alla madre un ventaglio di fiori o quella che passeggia davanti alle sue sorelle con un vestito… verde. È quella che, quando una delle sorelle le dice di tingere di nero quel vestito tanto carino e che si abitui alla reclusione, esclama con indignazione: “No, non mi abituerò! Io non voglio stare imprigionata… Domani metterò il vestito verde e andrò a passeggiare per strada! Io voglio uscire!
Tutti noi, come Adela, vogliamo essere felici. E sappiamo bene che dobbiamo combattere per esserlo, che non cadrà come manna dal cielo. Per questo il messaggio di Gesù non si può riassumere in una triste croce, perché la sua vita, come quella di qualsiasi essere umano che ami davvero la vita, fu anche una ricerca della felicità.
Tutti sappiamo che Gesù fu criticato dagli uomini religiosi della sua epoca perché non si sottomise alle loro norme e mise in pericolo il loro potere. Gesù frequentò tutti i tipi di donne e uomini, senza curarsi di non rispettare le leggi religiose, qualora si trattasse di fare del bene all’essere umano. Mangiava e beveva, andava alle feste, si fece baciare e ungere i piedi da una donna… Ma soprattutto cercò di eliminare il dolore e la sofferenza di molte delle persone che stavano attorno a lui. Pertanto, Gesù fu anche il Messia dell’allegria, della festa e della vita. E il regno di Dio che predicò, una festa di nozze gioiosa.
Proprio per questo noi cristiani dovremmo concentrarci anche sulla felicità, ma non parliamo di raggiungere un sorriso perfetto con l’intenzione di realizzare esercizi proselitisti. Non si tratta affatto di un’operazione di marketing per ottenere seguaci, ma di uno dei principi su cui si deve basare la vita cristiana. Neanche una ricerca della propria felicità, come ci propone la nostra società attuale. La felicità che cerchiamo deve essere anche la nostra, sicuramente, ma non deve aspirare solo a questo; deve essere orientata alla ricerca e al potenziamento della giustizia, dell’allegria e della felicità del prossimo. Felicità e sensibilità dovrebbero camminare insieme.
Il teologo José Maria Castillo fa un’interessante riflessione su questo tema: “Una fede che ci rende insensibili a tutto ciò che è umano, a ciò che rende noi essere umani felici o sfortunati, è una fede corrotta… Peggio ancora se si tratta di una fede che si traduce in aggressione alla dignità delle persone, ai diritti delle persone, alla libertà delle persone o semplicemente alla felicità di ogni individuo”. (3)
Avere case, chiese o vite bianche, splendenti come la casa di Bernarda Alba, non è così difficile. Apprendere dal dolore, dalla consegna o perfino dalla morte non è così tanto facile, ma è più facile predicarlo o trasmetterlo. Però introdurre l’allegria, la gioia e l’ansia di vivere, di goderci il nostro mondo e le persone con cui lo condividiamo, penso sia il nostro vero obbiettivo da raggiungere. Noi cristiani siamo più conosciuti per i nostri martiri che per le nostre vite felici.
Garcia Lorca non vide altra via d’uscita per la felicità di Adela se non la morte stessa, l’oppressione attorno a lei la portò a tale gesto. Però, Adela cercò di vivere veramente, si permise di amare qualcuno e sognò di uscire da quella casa opprimente. Gesù Cristo fu crocifisso per i poteri repressivi che la sua forma di vivere vietava. Ma Gesù amò, visse e si godette la vita e ciò che la stessa le offriva. Il suo fine era una vita piena per tutti, nonostante le conseguenze che potessero derivarne. Il suo proposito non fu la morte, ma la vita.
Testo originale: Entre el luto y alegría