Il coming out dei genitori: “rendere orgogliosi i nostri figli LGBT di noi”
Riflessione di Michela e Corrado Contini del Gruppo Davide di Parma per genitori cattolici con figli LGBT e i loro amici
Carissimi sul coming out dei genitori, con Michela facevamo questa ulteriore riflessione che vogliamo condividere con voi, partendo proprio dalla prospettiva dell’essere genitori: prendiamo spunto per questa riflessione dal Vangelo di Luca 2,41-51 che vi invitiamo a rileggere con noi.
I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.
Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore.
Rileggendo questo vangelo dagli occhi dei genitori, ci sembra quasi che racconti l’esperienza di coming out di Gesù. Avete mai provato a rileggerlo in questa prospettiva ? Il figlio, Gesù, che rivela ai suoi genitori come su di lui vi sia un piano d’amore, preminente su ogni cosa, costi quel che costi, (distacco dai genitori che lo credevano perso, per ben tre giorni) impensabile per loro e ben diverso dalle loro aspettative.
La prima reazione di Maria e Giuseppe è lo stupore; questo ci sembra proprio il primo sentimento dei genitori al coming out dei propri figli: proprio questo? Proprio a noi?
Il secondo sentimento che emerge è il dolore e l’angoscia: perché ci hai fatto questo? Potrebbe tradurre: perché sei così? Proprio così? Con questa natura? Con questa inclinazione? Noi non ti pensavamo così. Sei fuori dei nostri schemi. Tuo padre ed io siamo angosciati.
Inoltre il terzo sentimento è la non comprensione: questo è un sentimento immediato, plausibile, di chi ha vissuto sempre in un’altra realtà.
L’incomprensione e l’angoscia di noi genitori sono plausibili e comprensibili ma non condivisibili quando si pensa che comunque i figli ci sono stati affidati; ne debbiamo aver cura; debbiamo sostenerli e accudirli ma non impossessarcene: non sono di nostra proprietà e comunque sono sempre “un diverso da noi”.
Il futuro di nostro figlio non ci appartiene. Su di lui esiste un piano amoroso di Dio: anche nostro figlio deve “occuparsi delle cose del Padre suo”: misteriose, imprevedibili, talora imperscrutabili, ma si tratta sempre di un progetto d’amore pensato per lui.
Noi genitori abbiamo il compito di aiutarlo pian piano a scoprire questo progetto, con fatica, a volte sbagliando e magari tentando anche varie strade per realizzarlo, qualunque esso sia.
Gesù afferma questo, afferma cioè il primato di Dio sui figli ma afferma anche un’altra condizione.
Anche noi genitori dobbiamo entrare in questo piano, dobbiamo crescere in esso e farlo nostro.
Questo ben ce lo mostra Maria che negli anni a venire “mediterà a lungo nel suo cuore questo mistero” e lo farà suo fino ad arrivare e a stare ai piedi della croce del Figlio. Se Gesù non avesse fatto questo, avrebbe impedito a Maria di essere fino in fondo “la Madre”.
Ecco allora la duplice prospettiva.
Quando il figlio, dopo aver detto “ecco io sono questo ! “, esprime o urla la sua domanda ai genitori : “cosa fate voi per me?”, in realtà esprime il suo diritto di esistere; di essere accudito e accolto per quello che è; di essere sostenuto nella scoperta di se stesso e del piano d’amore che Dio ha pensato su di lui. È quindi un diritto quello che lui esprime e come tale va accolto.
Tuttavia esiste un secondo piano di lettura ed è quello che ci preme sottolineare: quella domanda esprime anche un debito/dovere che lui ha verso i suoi genitori. Un debito/dovere che ci chiama ad essere tali; a crescere; a tirar fuori il meglio di noi; ad esplicitare il nostro ruolo e la nostra funzione genitoriale. In realtà quindi quella domanda interpella noi genitori e ci offrire la possibilità di essere pienamente tali, anche a costo di sacrifici e dolori, anzi, proprio per questi sacrifici e dolori, con la consapevolezza comunque che il ruolo di genitore porta sempre con sé un “dolce tormento”.
Se i figli non ci facessero questa domanda, non si creerebbero le condizioni per noi genitori di poter dire un giorno a nostro figlio “grazie della esperienza meravigliosa che ci hai fatto vivere. Magari l’abbiamo anche pagata a caro prezzo, ma grazie ! ”.
Non solo, saremmo privati come genitori della vera ricompensa della nostra genitorialità: rendere orgogliosi i nostri figli di noi.
Questa è la vera ricompensa, l’intima soddisfazione, che ci ha dato Simone quando, scrivendo ad Avvenire ha detto: “quella madre era la mia, Michela, e io ne sono orgoglioso”.
Per noi genitori questo è impagabile e alla fine vale qualunque sforzo, pianto, lacerazione: come ogni cosa bella, costa; non è spontanea; và pagata.
Vi abbracciamo tutti di cuore.
Corrado e Michela