Il dibattito sull’Humanae Vitae solleva domande simili a quelle poste dalle persone LGBT
Articolo di Robert Shine* pubblicato sul sito dell’associazione cattolica New Ways Ministry (Stati Uniti) il 29 luglio 2018, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Il 25 luglio è caduto il cinquantesimo anniversario della Humanae vitae, l’enciclica di Paolo VI nota soprattutto per l’inaspettata chiusura alla contraccezione artificiale. Negli ultimi decenni ci sono stati pochi pronunciamenti magisteriali altrettanto controversi e altrettanto disattesi dai fedeli quanto questa enciclica. In occasione del suo anniversario, molti media cattolici hanno pubblicato delle analisi sulla sua influenza fino ad oggi.
I teologi Michael Lawler e Todd Salzman hanno scritto un commento all’enciclica piena di spunti rilevanti per quanto riguarda le tematiche LGBT, pur senza farvi esplicitamente riferimento. L’articolo di oggi vuole evidenziare alcune delle loro argomentazioni, come quella secondo cui papa Francesco abbia cambiato l’atteggiamento cattolico nei riguardi della contraccezione e inviti a discutere sui temi etici e teologici con un occhio di riguardo all’esperienza vissuta.
Scrivono Lawler e Salzman nel paragrafo di apertura: “Le cicatrici lasciate da queste battaglie [le battaglie teologiche e culturali attorno alla sessualità negli anni ‘60, n.d.c.] sono evidenti ancora oggi, al tempo di papa Francesco, noncuranti del fatto che questo Papa stia spostando l’accento dall’ossessione cattolica per il sesso e il controllo delle nascite alla bellezza del matrimonio virtuoso, giusto e amorevole. Francesco evidenzia la complessità delle esperienze e delle relazioni umane, cosa che la Humanae vitae fa in maniera inadeguata”.
Centrale per i due teologi, nel loro giudizio sulla Humanae Vitae e sui pronunciamenti magisteriali sulla sessualità, è la necessità di integrare la riflessione teologica con l’esperienza vissuta: “Una prolungata riflessione sull’esperienza umana e la sua integrazione nella metodologia etica cattolica condurrà alla revisione di alcune norme morali assolute”. L’esperienza umana deve però essere correttamente intesa come una delle molte fonti dell’etica e come fenomeno che unisce, da esplorare attraverso il dialogo: “In una Chiesa che è una comunione di credenti, la risoluzione di differenti paradigmi di esperienza per giungere a una verità etica richiede, secondo noi, quel sincero e rispettoso dialogo nella carità lodato da Giovanni Paolo II. Tale dialogo, ne siamo certi, rivelerà dei significati e dei valori esperienziali che si sono formati nella tradizione cristiana, ma che non sono ancora pienamente integrati in tale tradizione. Vogliamo parlare di quei significati esperienziali modellati dalla tradizione che si riflettono nell’esperienza vissuta di quelle coppie sposate che, per ragioni eticamente legittime, utilizzano i contraccettivi per regolare la fertilità e praticare una genitorialità responsabile”.
Il parallelo con la necessità di dialogo sulla vita e le relazioni delle persone LGBT è chiaro. I cattolici e le cattoliche LGBT si sono formate all’interno della tradizione, eppure la loro identità e il loro amore non trovano ancora riconoscimento. Anche se il dialogo tra la gerarchia e le persone LGBT, pur se lentamente, si sta sviluppando, il salutare e positivo impegno preconizzato da Salzman e Lawler è ancora di là da venire. Sulle tematiche della contraccezione e dell’omosessualità tanta parte dell’esperienza umana è stata rigettata dalla gerarchia, incapace di ammettere la realtà in cui pur vive.
Salzman e Lawler parlano di tre tipi di esperienza: culturale, scientifica e teologica. Per quanto riguarda la prima, i due teologi riconoscono il fatto che a volte la vocazione della Chiesa sia quella di essere controcultura, ma essa ha “anche” la vocazione al confronto dialettico e costruttivo con la cultura: “È vero che in certe occasioni la Chiesa è chiamata ad essere controcultura per combattere le teorie e le prassi culturali che non conducono allo sviluppo umano: per esempio, il feroce individualismo che dilaga nella cultura statunitense; ma è anche vero che la riflessione sull’esperienza culturale ha condotto, e può continuare a condurre, a importanti intuizioni di verità etica e alla comunicazione di tale verità verso le altre culture. Le lettere pastorali della Conferenza Episcopale Statunitense sull’economia e la guerra nucleare sono dei buoni esempi di dialettica tra la cultura e lo sviluppo di norme etiche. Queste lettere attingono ai tradizionali principî cattolici di giustizia ed equità e li precisano alla luce della specifica esperienza culturale a cui vogliono dare risposta”.
I due teologi riconoscono che nella Chiesa globale di oggi “nessuna norma sociale o sessuale può andare bene per tutti indistintamente” per via dei diversi contesti culturali e sociali in cui i cattolici vivono: “È irresponsabile e oppressivo insegnare una norma etica assoluta, che può danneggiare la dignità umana all’interno di una relazione matrimoniale: pensiamo, in particolare, alla dignità della donna”.
Per quanto riguarda l’uguaglianza delle persone LGBT, l’accettazione dell’omosessualità sta facendo passi avanti in tutto il mondo, ma nonostante la maggiore accettazione presso molte culture e i progressi nei diritti legali, la maggior parte dei vescovi vede in questi “segni dei tempi” un cambiamento esclusivamente negativo e pericoloso. Non danno nessuna fiducia alle famiglie, alle parrocchie e alle comunità che hanno riconosciuto come l’uguaglianza delle persone LGBT e la loro inclusione facciano parte del progetto di Dio per il mondo. L’esperienza culturale, nonostante sia ben accolta dai comuni fedeli, è sostanzialmente assente dal Magistero formale.
Salzman e Lawler, basandosi sull’esperienza scientifica, sostengono la necessità di includere le conoscenze contemporanee nella riflessione teologica: “Le nuove scoperte e le nuove tecnologie mettono in discussione l’etica tradizionale, basata su conoscenze scientifiche inesatte o incomplete, e sollevano nuove questioni etiche che sollecitano nuove risposte. Alcune di queste risposte attingeranno dai principî etici tradizionali, ma in maniera nuova e più sfumata, in modo da rivedere la tale norma etica. Gli ultimi Papi hanno coerentemente insegnato che la formulazione della verità etica deve integrare le scoperte delle scienze umane, ma poi sono stati selettivi nel farlo. Tale selettività agisce in tre modi distinti: primo, quando il Magistero ignora il contributo delle scienze al discernimento della verità etica, lì dove tale contributo metterebbe in discussione una norma prestabilita; secondo, quando si permette alla scienza, definita in senso strettamente biologico, di influenzare in modo eccessivo le norme; terzo, quando le prove scientifiche vengono manipolate o falsificate”.
Decenni di ricerche e studi hanno condotto scienziati e psicologi a riconoscere che l’omosessualità è una parte innata e sana dell’identità personale, ma l’insegnamento cattolico perlopiù ignora questo dato, preferendo utilizzare il dannoso linguaggio dell’”intrinsecamente disordinato” e trattando così l’omosessualità come qualcosa di innaturale. C’è di peggio: alcuni vescovi e ministeri pastorali si sono affidati alla scienza-spazzatura per promuovere le “terapie riparative” e programmi pastorali potenzialmente dannosi come Courage. Un semplice atto del Magistero che rifletta le attuali conoscenze sulla sessualità umana sarebbe rivoluzionario per la Chiesa.
Infine, Salzman e Lawler si rivolgono all’esperienza teologica e ai concetti di sensus fidei e ricezione: “Il sensus fidei è un concetto teologico che designa sia l’istintiva capacità dei credenti di riconoscere quella verità verso la quale sono guidati dallo Spirito di Dio, sia il giudizio spontaneo secondo cui tale verità ha teologicamente un peso. Il sensus fidei è un carisma di discernimento posseduto dall’intera Chiesa, dai laici, dai teologi e dai vescovi, senza distinzione, che conoscono e ricevono un insegnamento come verità che va creduta (cfr. Lumen gentium, n. 12). Esso deriva dall’esperienza vissuta dei credenti cattolici e dal deposito di conoscenze che derivano dall’esperienza. La ricezione è un processo ecclesiale attraverso cui praticamente l’intera Chiesa assente a un insegnamento e lo assimila nella vita della Chiesa stessa. La ricezione non rende vero l’insegnamento, è piuttosto un prudente giudizio, tratto dall’esperienza, secondo cui tale insegnamento è valido per l’intera Chiesa e in armonia con la Tradizione apostolica su cui la Chiesa è fondata. È importante sottolineare che la ricezione non è un giudizio sulla verità di un insegnamento, bensì sulla sua utilità nella vita della Chiesa. Un insegnamento che non viene recepito non è necessariamente falso, è semplicemente giudicato, dalla totalità virtuale dei credenti, come irrilevante per la loro vita e per la vita della Chiesa”.
Secondo i due teologi ci sono sufficienti prove sociologiche che dimostrano come i fedeli abbiano rigettato la proibizione della contraccezione artificiale; altri studi rivelano come siano stati rigettati gli insegnamenti sull’omosessualità: “Diciamo di più: questi cinquant’anni di sempre crescente non ricezione della Humanae vitae è una ragione più che sufficiente per rivedere le sue norme sulla contraccezione”. Sicuramente, anche gli insegnamenti sulla sessualità e il genere meritano di essere rivisti.
Per concludere, Salzman e Lawler fanno riferimento a papa Francesco, il quale si rifà largamente alla coscienza e alla necessità che ha la Chiesa istituzione di rispettare il discernimento e le decisioni morali dei fedeli: “Francesco lamenta [nell’Amoris laetitia] che ‘Stentiamo anche a dare spazio alla coscienza dei fedeli, che tante volte rispondono quanto meglio possibile al Vangelo in mezzo ai loro limiti e possono portare avanti il loro personale discernimento davanti a situazioni in cui si rompono tutti gli schemi’, aggiungendo poi il giudizio tranchant secondo cui “Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle” (n. 37) […] Qui Francesco sta esponendo un tradizionale principio cattolico che va applicato in tutti i giudizi morali, incluso il giudizio se fare uso o meno della contraccezione artificiale: le circostanze e il contesto sono fattori importanti in ogni giudizio etico. La Chiesa non ha una competenza così vasta, e tanto meno indiscutibile, per valutare l’esperienza umana; deve quindi lasciare il campo al giudizio della coscienza e alle scienze umane”.
Il retaggio della Humanae vitae continua a danneggiare non solo la Chiesa Cattolica, ma molte altre persone nel mondo. Il processo con cui è venuta alla luce è una tragedia e una tragedia è anche la decisione della gerarchia di farla applicare a ogni costo, nonostante non sia stata recepita. È importante per gli attivisti e le attiviste LGBT ricordare quanto siano interconnesse tutte queste questioni, come ha scritto Jamie Manson sul National Catholic Reporter. Anche se molto meno definita come dottrina al tempo della Humanae vitae, la complementarietà di genere, allora come adesso, è stata alla base di insegnamenti dannosi, come quelli sulla contraccezione e l’omosessualità.
Prendere maggiormente sul serio l’esperienza umana, in tutte le sue varie forme, nella riflessione teologica potrebbe essere molto utile per sviluppare concezioni della sessualità e del genere più sane e più giuste. Dopo cinquant’anni ci chiediamo: per quanto tempo ancora la gerarchia continuerà a danneggiare il mondo aggrappandosi a insegnamenti astorici e atemporali, completamente fuori dalla realtà?
* Robert Shine è direttore associato di New Ways Ministry, per cui lavora dal 2012, e del blog Bondings 2.0. È laureato in teologia alla Catholic University of America e alla Boston College School of Theology and Ministry.
Testo originale: 50 Years Later, Lessons from “Humanae Vitae” Debate Readily Applicable to LGBT Issues