Il gesuita James Martin invita la sua Chiesa e le persone LGBT al rispetto reciproco
Articolo di Robert Shine pubblicato su Bondings 2.0, blog dell’associazione cattolica New Ways Ministry (Stati Uniti), il 31 ottobre 2016, liberamente tradotto da Silvia Lanzi
Durante il suo discorso di ringraziamento [il 30 ottobre 2016] il gesuita James Martin ha chiesto maggiore rispetto reciproco tra la Chiesa istituzionale e la comunità LGBT. Il discorso, intitolato Un ponte a due corsie, si basa sull’esortazione del catechismo della Chiesa Cattolica a trattare gay e lesbiche con “rispetto, compassione e sensibilità”.
Padre Martin ha fatto le sue considerazioni dopo aver ricevuto il Bridge Building Award di New Ways Ministry quale riconoscimento del suo ministero di comunicazione e del suo modo di approfondire, nella Chiesa Cattolica, le istanze del mondo LGBT. Nel suo discorso padre Martin spiega cosa significherebbe, per i leader ecclesiastici e i religiosi, ma anche per le persone LGBT che si relazionano con la Chiesa istituzionale, vivere pienamente questa esortazione. Il post di oggi ripropone a grandi linee il suo discorso.
Rispetto
Padre Martin ha dichiarato che per la Chiesa istituzionale rispettare le persone LGBT vorrebbe dire, come minimo, riconoscerne l’esistenza. Inoltre, c’è il bisogno di offrire risposte pastorali attraverso messe accoglienti, gruppi e altri sforzi che facciano capire alle persone LGBT di essere parte della Chiesa: “Secondo: rispetto significa chiamare un gruppo come desidera essere chiamato… Perché è rispettoso chiamare le persone con il nome che si sono scelte. Ognuno ha il diritto di essere chiamato con il proprio nome… I nomi sono importanti… le persone hanno il diritto di avere un nome. Usare i loro nomi fa parte del rispetto. E se papa Francesco usa la parola gay, allora lo può fare anche il resto della Chiesa”.
Commentando i licenziamenti di persone LGBT che lavoravano in strutture controllate dalla Chiesa (e di queste, a partire dal 2008, ne sono state rese pubbliche più di sessanta), padre Martin ha detto: “Il problema è che questa prerogativa si applica in maniera molto selettiva. In questi ultimi anni praticamente tutti i licenziamenti sono stati legati a questioni LGBT. Più specificatamente, hanno riguardato spesso quei dipendenti omosessuali che si sono sposati – cosa che è contraria agli insegnamenti della Chiesa – e dove l’uno o l’altro partner aveva un ruolo ufficiale nella comunità ecclesiastica. Inoltre, richiedere agli impiegati della Chiesa di aderire ai suoi insegnamenti significa, ad un livello più fondamentale, aderire al Vangelo. Per essere coerenti, dovremmo licenziare chi non aiuta i poveri, chi non perdona e chi non ama. Potrebbe suonare strano, ma perché? Gli insegnamenti di Gesù sono gli ‘insegnamenti della Chiesa’ più essenziali”.
Quando viene il turno delle persone LGBT di mostrare rispetto per la Chiesa istituzionale, padre Martin dice che dovremmo praticare sia il rispetto ecclesiale che il semplice rispetto umano per questi leader che sono anche nostri fratelli: “Questo potrebbe essere difficile per persone che si sentono maltrattate dalla Chiesa. Ma rispettare le persone che non sono d’accordo con noi non è solo cristiano: anche da un punto di vista prettamente umano, è una buona strategia. Se si vuole sinceramente influenzare il punto di vista della Chiesa su quel che riguarda le persone LGBT, ottenere la fiducia della gerarchia aiuta parecchio. Un modo per farlo è rispettarla. Così, sia l’approccio cristiano che il comune buon senso dicono: rispettala”.
Compassione
Padre Martin ha cercato di capire cosa significherebbe, per la Chiesa istituzionale, essere compassionevole nei confronti delle persone LGBT. Ha sottolineato due volte che compassione significa: “fare esperienza con, soffrire con”. Essere compassionevole significa quindi: ascoltare, esprimere solidarietà – anche contro le dichiarazioni episcopali – e celebrare gioiosamente: “Il primo e più essenziale requisito è l’ascolto. È praticamente impossibile condividere l’esperienza di un altro, o essere compassionevoli, se non si ascolta la persona o se non le si fanno domande. Alcune domande che i leader cattolici potrebbero fare ai loro fratelli e sorelle LGBT sono: com’è la tua vita? Com’è crescere come gay, lesbica o transessuale? Quali sono le tue sofferenze? E le tue gioie? E qual è la tua esperienza di Dio? Qual è la tua esperienza della Chiesa? In cosa speri? Cosa desideri? Per cosa preghi? Perché la Chiesa possa esercitare compassione, abbiamo bisogno di ascoltare”.
Per le persone LGBT, mostrare compassione per la Chiesa istituzionale vuol dire anche vedere i vescovi “nella loro umanità e complessità e il peso del loro ministero”. Padre Martin si domanda se la comunità LGBT potrebbe fare alla Chiesa il “dono del tempo”, cioè il tempo per capire le diverse esperienze del genere e della sessualità: “A sentirla così è una sfida e, senza mettere da parte le sofferenze di molte persone LGBT nella Chiesa, mi domando se la comunità LGBT potrebbe dare alla Chiesa istituzionale il dono del tempo. Tempo per conoscervi. Per me, una comunità LGBT visibile e aperta è una vera novità. È un’opportunità perché il mondo vi conosca. Così anche nella Chiesa. So che è difficile, ma forse non è sorprendente. Ci vuole tempo per conoscere le persone. Così, forse, la comunità LGBT potrebbe dare alla Chiesa istituzionale il dono della pazienza”.
Sensibilità
Da ultimo, padre Martin ha chiesto alla comunità LGBT e alla Chiesa istituzionale di mostrare una maggiore sensibilità reciproca. Per la Chiesa, questo significa rispondere all’appello di papa Francesco ad un incontro proficuo e padre Martin ha detto che una delle ragioni per cui i leader ecclesiastici faticano a mostrare sensibilità è che conoscono molto poco le persone LGBT: “Questa mancanza di famigliarità e di amicizia significa che è molto più difficile essere sensibili. Come si può essere sensibili nei confronti di una persona di cui non si sa nulla? Così, un invito per la gerarchia potrebbe essere quello di conoscerle [le persone LGBT] davvero… In questo, come in tutte le altre cose, il nostro modello è Gesù. Quando Gesù incontrava gli emarginati, non vedeva una categoria ma una persona. Chiaramente non sto dicendo che la comunità LGBT è, o dovrebbe sentirsi, emarginata; sto dicendo piuttosto che molti di loro si sentono emarginati all’interno della Chiesa. Sono visti come ‘gli altri’. Ma per Gesù non c’erano ‘gli altri’.”
Se la sensibilità si basa su “incontro, accompagnamento e amicizia” si deve fare di tutto per non offendersi l’un l’altro. Usare parole come “intrinsecamente disordinato” non è affatto un segno di sensibilità: “Dire che una delle parti più profonde della persona umana – quella che dà e riceve amore – è ‘disordinata’, è di per sé una crudeltà gratuita… Parte della sensibilità sta nel capirlo”.
Per mostrare sensibilità verso la Chiesa istituzionale, le persone LGBT dovrebbero essere consapevoli di “chi stanno parlando e di come lo stanno facendo”. Sensibilità significa capire la gerarchia della dottrina ufficiale e quale peso abbia questa dottrina, notando che non tutte le dichiarazioni, le figure e i documenti hanno la stessa importanza. L’autorità è anche del popolo santo: “Inoltre, c’è l’invito ad essere sensibili al fatto che, quando parla qualcuno del Vaticano – che sia il Papa o la Congregazione vaticana –, questi parla a tutto il mondo, non solo all’Occidente e certamente non solo agli Stati Uniti. Quel che potrebbe sembrare ‘tiepido’ negli Stati Uniti potrebbe essere scioccante in America Latina o in Africa… Comunque, sembra che in Occidente le parole non siano sufficienti. Ma il Papa non scrive semplicemente per l’Occidente e non solo per gli Stati Uniti. Immaginate che le legga in un Paese dove la violenza contro le persone LGBT è pane quotidiano e la Chiesa è rimasta in silenzio. Quello che è all’acqua di rose negli Stati Uniti è incendiario in altre parti del mondo. Quel che potrebbe essere ovvio per un vescovo in un Paese è una chiara sfida, o anche una minaccia, per un altro. Ciò che può sembrare arido per le persone LGBT di un Paese, in un altro può essere come acqua in un deserto assetato”.
Padre Martin ha concluso il suo discorso invitando la Chiesa istituzionale e la comunità LGBT ad “un passo sul ponte del ‘rispetto, della compassione e della sensibilità’ reciproca”: “Alcune di queste parole potrebbero risultare difficili da accettare per la comunità LGBT. È difficile fare un passo su questo ponte. Alcune dichiarazioni potrebbero risultare una sfida per i vescovi, perché né la corsia di marcia, né il ponte sono facili da percorrere. Su questo ponte, come nella vita, c’è un pedaggio da pagare e costa vivere una vita di rispetto, compassione e sensibilità. Ma credere in questo ponte significa credere che alla fine le persone saranno capaci di attraversarlo facilmente in entrambi i sensi e che la gerarchia e la comunità LGBT saranno in grado di incontrarsi, accompagnarsi ed amarsi reciprocamente. Significa credere che Dio vuole l’unità. Siamo tutti insieme su questo ponte. Perché il ponte è la Chiesa e, alla fine, dall’altra parte ogni gruppo è benvenuto e c’è comunità e amore”.
In un appello speciale ai cattolici LGBT che combattono con la Chiesa e sono feriti dai suoi ministri, padre Martin ha dichiarato: “Lo Spirito Santo sta aiutando la Chiesa e sta aiutando voi… Perché voi siete gli amati figli di Dio e, in virtù del battesimo, avete lo stesso diritto di far parte della Chiesa del Papa, del vostro vescovo o di me… In breve, non siete soli. Milioni di fratelli e sorelle cattoliche vi accompagnano, come fanno i vostri vescovi, perché tutti viaggiamo, anche se in modo imperfetto, su questo ponte. Più importante ancora, siamo accompagnati da Dio, che riconcilia sé gli uomini e le donne di buona volontà ed è anche l’architetto, il costruttore e il fondamento di questo ponte”.
Testo originale: In Major Address, Fr. James Martin, SJ, Invites LGBT People and the Institutional Church to Mutual Respect