Il settimo giorno. Il mio cambiamento interiore

Sto pensando ai sensi di colpa nei quali sono stato educato, sono cresciuto ed ho vissuto. Non andrò ad analizzarne i perché, ma ci sono stati, dominanti ed opprimenti.
Quello stesso senso di colpa lo sento ancora tangibile in molti di quei “credenti” che si stanno affannando nel cercare di coniugare la propria identità con gli imperativi ed i divieti imposti da una pretesa Legge divina. L’ho vissuto anch’io e ne sento ancora gli strascichi, dal momento che mi ha causato nevrosi, dipendenze e fobie.
Mi considero addirittura un privilegiato, perché se non avessi vissuta questa mia sofferenza, se non avessi avuto la possibilità di mettere in crisi l’idea di “normalità”, nella quale sono stato educato, forse non avrei mai subito il fascino del Vangelo nella sua essenzialità, nella sua atipicità fondamentale.
Sto imparando (perché l’apprendimento non finisce mai) a volermi bene per quello che sono. E più lo faccio, più mi rendo conto di non avere nulla di cui vantarmi, mentre mi ritrovo ad essere come un vaso sempre più vuoto, che desidera sempre di più di essere riempito dal Mistero di Dio, di quella sua “volontà” che è l’unica cosa che Gesù chiedeva al Padre. La sola preghiera possibile, l’unico augurio, la nostra sola speranza: il compimento della volontà di Dio.
Mi sono messo a scrivere queste cose perché sono convinto che molti, come me figli del nostro tempo, sentono come sto sentendo io. E mi rivolgo a loro perché non dobbiamo restarcene soli come delle isole. Vorrei pertanto proporre alcune riflessioni su alcune di quelle affermazioni contenute nella Bibbia, che sono state, secondo me, all’origine di un fondamentale abbaglio per ciò che riguarda la questione etica dell’umanità.
Il mio punto di partenza si appoggia sulle considerazioni di quanto la scienza ha indagato e sta indagando a proposito dell’evoluzione. Non ho nessuna pretesa e nessuna capacità di affrontare il problema dal lato scientifico, ma intuisco la bontà di fondo di quanto, in linea di massima, viene affermato. E rimando l’approfondimento alla vasta mole degli studi sull’argomento. Io sono stato aiutato dalla lettura degli scritti di Pierre Teilhard de Chardin, che mi hanno colpito in modo particolare soprattutto per quanto ho potuto intuire riguardo alle sue intuizioni mistiche.
Accettando quindi il processo della creazione sotto l’aspetto evolutivo (ritengo che i due concetti non si escludano affatto), possiamo prendere in considerazione i primi poetici versetti del Genesi che, attribuendo le trasformazioni evolutive agli interventi che si succedono di giorno in giorno, da parte del creatore, sono un continuum fino a quel fatidico sesto giorno nel quale appare Adamo.
Non intendo qui fare un’esegesi del testo, che ho preso solo come pretesto per osservare quali siano state le conseguenze che ne sono derivate da una lettura poco ragionata, ovvero ragionata tendenziosamente.
L’autore del Genesi non aveva le conoscenze che abbiamo noi, seppure sommarie, dell’evoluzione. Tuttavia conclude il sesto giorno con la soddisfazione del Creatore, davanti alla coppia dei nostri progenitori, che si concede finalmente il meritato riposo.
Se consideriamo sotto l’aspetto evolutivo il sesto giorno, dobbiamo porci la domanda: “E’ veramente finito? O è solo all’inizio? Io proporrei una risposta positiva a questa seconda domanda. Il creatore non è ancora soddisfatto della sua creazione, che è ancora in atto e ben lontana dalla conclusione di quel fatidico sesto giorno.
Gli antropologi stanno ancora studiando le successioni che ci sono state da ominidi ad uomini di diverso tipo, trasformazioni probabilmente lentissime, che hanno coperto tempi lunghissimi, anche se costituiscono solo una porzione infinitesimale di tutto il processo evolutivo, iniziato dal “fiat lux”.
Ed io mi sono chiesto: “La rivolta della creatura nei confronti del Creatore, che sarebbe maturata nell’Eden, in che punto è avvenuta?” “C’è mai veramente stato un momento nel quale l’uomo aveva tutte quelle virtù, che ci hanno insegnato a Dottrina?”
Ragionevolmente penso di dover rispondere che la creatura, quella della nostra specie, è ancora in fase creazione… Jahweh non si è ancora seduto soddisfatto davanti ad Eva e ad Adamo, non si è ancora espresso, come nei giorni precedenti, quando “vide che era cosa buona”… Pertanto l’Eden è ancora futuribile e con lui il serpente, l’albero, il frutto, la colpa e la cacciata…
E il Male? Il male, inteso come sofferenza e come morte, richiede una ricerca a parte, che si concluderà con la fine della storia dell’umanità.
Il male, come peccato, non è altro che l’eredità che ci stiamo trascinando dietro dalle specie che ci hanno generate, la ferinità (che per Jahweh era “cosa buona”, allo scoccare del quinto giorno…) di quegli ominidi che dovevano combattere ogni giorno per sopravvivere, la barbarie dei popoli che sottomettevano altri popoli e li distruggevano, come facevano i nostri padri e stiamo facendo ancora noi, a dimostrazione che l’uomo non si è ancora liberato dagli istinti animali dei suoi predecessori…
E Gesù arriva proprio a questo punto! E’ l’Uomo immerso nel Giordano quello nel quale si compiace il Creatore! Il Logos dell’elaborato teologico di Giovanni… Il nostro punto d’arrivo!!!
Solo quando l’evoluzione avrà portato l’umanità al livello di Gesù, inizierà il settimo giorno. E intanto? Intanto non serve immaginare Inferni e Paradisi, punizioni e premi personali, ascetiche di santificazione, fioretti e penitenze. Questo non è lo stile di Gesù.
La liberazione portata dal Vangelo non è liberazione da quello che abbiamo chiamato peccato (che del resto continua a manifestarsi impunemente), la salvezza che ci ha portato riguarda la sconfitta delle nostre paure, dei nostri sensi di colpa, che ci chiudono su noi stessi, invece di aprirci alla speranza, all’attesa di quel domani senza fine che attende tutto lo sforzo intero della creazione, dal “fiat lux” a quello che Teilhard ha chiamato Punto Omega.
Non c’è stata nessuna caduta nel mito dell’Eden, ma una continua lenta e faticosa crescita. Il Vangelo ci libera in quanto ci spinge ad andare avanti fiduciosi che si compia la volontà del Padre; e ci invita fin da subito ad entrare in quello che Gesù chiama il Regno dei Cieli, che è una dimensione nuova, che ci regala prospettive nuove, nell’ottica di adesione alla misteriosa volontà del Padre, dove si può intuire quell’amore paterno che ancora non siamo in grado di sperimentare nel percorso normale della nostra vita.
L’obiezione che può sorgere immediata è che, se non sono previste punizioni per il male che siamo in grado di compiere, si cade nell’anarchia del libertinaggio. A questo vorrei rispondere con un’altra domanda: La pena di morte ha eliminato il crimine? Del resto si continua a compiere azioni malvagie, nonostante le religioni abbiano costruito spaventosi scenari apocalittici.
Lasciamo l’Inferno a quelli che non hanno ascoltato il Vangelo; ma nel contempo Gesù ci invita a diffonderlo il suo Vangelo, perché tutti siamo salvi e liberi mentre cerchiamo di entrare in quel Regno dei Cieli, nel quale lui viveva già sulle strade di Galilea, come uomo libero da ogni condizionamento terreno con l’unico scopo di contribuire al compimento della volontà del Padre; una volontà che è solo vagamente delineata dalla Legge, ma che è impressa profondamente dentro di noi, basta che ci prendiamo la briga di fermarci ad ascoltarla; una volontà misteriosa e a volte assurda, perché diversa dalle nostre categorie, mentre vorremmo poter spiegare tutto e conoscere la verità, mentre restiamo senza parole di fronte al dolore, alla sofferenza e all’inspiegabile conclusione del degrado e della morte.
Il Vangelo dice che non è tutto lì. Che c’è di più, molto di più, infinitamente di più. Lo sbaglio che facciamo è quello di aspettarci tutto ora, nei limiti della breve durata della nostra vita, questa vita che è solo un periodo di gestazione per la vera Vita.
Non ci saranno squarci di nubi con il ritorno del Redentore, come si aspettavano quelli che lo avevano identificato con il Messia. Ognuno di noi finirà come sono finiti quelli che ci hanno preceduto e non dobbiamo immaginarci altre nuvole sulle quali andremo a vivere poi…
Ma ci sarà qualcosa di più bello, al di là di ogni nostra immaginazione, sperimenteremo gioie immensamente più grandi di quelle che siamo in grado di desiderare ora: è questo il contenuto della Novità Bella del Vangelo.
Tornando a noi e ai nostri sensi di colpa, che poi si riferiscono alla nostra incapacità di contenere gli stimoli esuberanti della nostra vitalità, delle nostre immaginazioni erotiche. Incominciamo a guardare tutto ciò con occhio diverso.
Cerchiamo di essere tolleranti verso noi stessi e di voler bene anche a quelle parte “animale” che, quando fu realizzata, il creatore disse che era “cosa buona”. Proviamo a guardare tutto questo con la lente liberatoria del Vangelo, che non colpevolizza i nostri retaggi, bensì ci invita a fare il passo successivo.
Se negli Oratori di un tempo, invece di farci provare vergogna e schifo per le “brutte cose”, avessero cominciato già allora ad insegnarci, anche e soprattutto a livello pratico, la priorità dell’amore per il prossimo, forse saremmo stati già un po’ allenati e avremmo sentito prima l’esigenza di guardare l’altro soprattutto come destinatario di quel Vangelo che ci viene dato, non solo per la nostra consolazione e la nostra salvezza, ma per essere trasmesso e condiviso con gli altri.
Ripeto: la cancellazione del senso di colpa e della minaccia della punizione non è un “liberi tutti!” in chiave libertina, anzi, è una responsabilizzazione nuova. Il messaggio di Gesù presuppone la nascita di un uomo nuovo, quello che incomincia a vivere nel Regno dei Cieli (quel Regno dei Cieli che le intuizioni mistiche di Teilhard intravedono nel suo “Milieu divin”).
La conversione che presuppone il Vangelo è un fondamentale passo avanti nella storia dell’evoluzione.
Ma intanto noi, così come siamo, con tutte le nostre miserie nascoste, con la nostra fondamentale incapacità di frenare e dominare i nostri desideri, con le imperiose richieste del nostro sesso che a volte ci fanno impazzire? Noi siamo le prime vittime della situazione! Non colpevolizziamoci!
Guardiamo invece alla speranza del Vangelo che non ci sta chiedendo di “autosantificarci” (quello è il compito di Colui che solo è Santo…), riprendiamo ogni volta il cammino e cerchiamo l’altro, a cominciare da quello che ci attrae, per trasmettergli le consolazioni che abbiamo sperimentato nel Vangelo.
Evangelizzare non significa prendere in mano un libro e ripetere dei versetti, evangelizzare è un sorriso sincero, una carezza e… anche un’intensa carezza piena di erotismo, ma che cerchiamo di caricare anche d’amore! Proviamo a farlo almeno in quelle situazioni che ci coinvolgono emotivamente, poi riusciremo a farlo addirittura fino all’estremo invito del Vangelo: ama chi non ti ama, il tuo nemico.
Quanto alla società poi …, se incominceremo a cambiare noi, quella potrà solo cambiare automaticamente, di conseguenza…