Il suicidio gay e l’etica dell’amore. Quale è la risposta di noi cristiani?
Riflessioni di Eric Retain* tratte da Religion Dispatches (Stati Uniti) del 12 ottobre 2010, liberamente tradotte da Claudio Abate
Molto frequentemente i conservatori presentano il dibattito cristiano sull’etica dell’omosessualità come una disputa tra coloro che si attengono fermamente ai valori cristiani tradizionali e quelli che si sono svenduti alla cultura secolare.
Questo modo di inquadrare il dibattito ignora le reali motivazioni dei cristiani progressisti come me (motivazioni che nascono da vere tragedie umane).
L’altro giorno un ragazzo gay dell’Oklahoma si è tolto la vita. Non si tratta di un evento insolito e nuovo, benché si inserisca nella scia di una serie di suicidi di giovani gay fortemente pubblicizzati e giustificati da bullismo.
Il suicidio della scorsa settimana di Zach Harrington sottolinea, però, come per le minoranze sessuali in America il problema sia molto più profondo dell’aperto bullismo, almeno nel senso più comunemente conosciuto.
Harrington si è ucciso non perché era vittima di bullismo ma perché era diventato dolorosamente conscio dell’intolleranza consapevole di una larga parte della sua comunità.
Quasi una settimana prima che si togliesse la vita, Harrington partecipò a una seduta del Consiglio comunale della città di Norman in cui si stava discutendo una proposta per riconoscere nella città il mese della memoria delle persone lesbiche, gay, bisex e trans (LGBT).
Sebbene la conclusione sia stata l’approvazione della proclamazione, il dibattito che ha portato al voto non è stato proprio un’affermazione dell’identità gay.
Al contrario, il voto è diventato un’occasione, per le persone dai più odiosi punti di vista cui è stato consegnato il microfono e che sono state in grado di coglierla, per dichiarare alla comunità quanto i loro vicini gay e lesbiche fossero malati, peccatori, pervertiti e disgustosi.
Secondo un rapporto del Tulsa World, il padre di Harrington sostiene che il figlio possa aver intravisto una dura realtà alla riunione del Consiglio del 28 settembre, un luogo in cui gli stessi sentimenti che silenziosamente lo tormentavano alla scuola superiore venivano urlati e acclamati da adulti dell’età dei suoi genitori.
In maniera molto prevedibile, molti dei residenti di Norman che si sono espressi contro la proclamazione hanno giustificato la loro presa di posizione appellandosi agli insegnamenti biblici.
Il messaggio era chiaro: onorare la storia LGBT era, secondo loro, un insulto a Dio. Dal loro punto di vista, lo stesso Creatore dell’universo è talmente contro l’omosessualità che ogni gesto di riconoscimento, ogni accettazione della vita e delle battaglie dei nostri vicini gay e lesbiche sarebbe stata vista come un’atrocità.
Alle orecchie di un giovane gay come Zach Harrington questo poteva suonare solo come un netto rifiuto: la tua vita e le tue difficoltà non contano perché sei un’atrocità.
Indossare il mantello della rettitudine
Per cristiani progressisti come me, l’appello alle Scritture e a Dio per giustificare gli insegnamenti antigay è sia tragico che spaventoso. Le nostre ragioni, comunque, non sposano sediziosamente il permissivismo individualistico della cultura secolare, ma affondano le loro radici nella legge dell’amore.
Indossare il mantello della rettitudine biblica mentre si proclama la condanna categorica dell’omosessualità è, secondo noi, non amare.
Ma perché pensare questo? La risposta automatica dei cristiani conservatori è che è sempre possibile amare il peccatore mentre si odia il peccato.
Ora, poiché il peccato è per definizione tossico, concordo che non si possano amare i peccatori senza odiare veramente un peccato.
A volte, però, considerare qualcosa come un peccato è innanzitutto non amare. A volte, è la condanna di un comportamento, piuttosto che il comportamento in sé, che è tossica e dovrebbe essere definita peccato.
Prendiamo l’esempio di un padre che proibisce il gioco durante l’infanzia. Un simile divieto è devastante per il sano sviluppo dei bambini. Anche se il padre intende promuovere il benessere dei bambini è seriamente depistato.
Questo esempio mostra quanto ampia sia la differenza tra ciò che il padre intende fare e ciò che in realtà fa. Nessuna persona amorevole avallerebbe un simile divieto se sapesse la verità.
Avviene la stessa cosa per il tradizionale divieto sull’intimità omosessuale? Credo di sì. Il motivo per cui sono convinto di ciò è che, per molti anni ormai, sono stato ad ascoltare il mio prossimo gay e lesbica. Ho ascoltato le loro storie e ho provato a mettermi nei loro panni.
Ho sentito come la proibizione sull’omosessualità vada molto più a fondo di una mera condanna di un atto specifico come l’adulterio: condanna la stessa sessualità di gay e lesbiche e condanna chi sono e il loro amore.
Quando la condanna categorica dell’omosessualità è estesa nella società, i giovani gay e lesbiche apprendono da un’età molto precoce che non saranno mai ugualmente e pienamente accettati dalla loro comunità.
Non possono cambiare i loro sentimenti (anche se molti ci provano e ci riprovano, specialmente quelli cresciuti in ambienti cattolici conservativi). Così, se creano un rapporto intimo, la loro società lo respingerà.
Ogni tenero momento, ogni atto di fedeltà, ogni sforzo per rafforzare il legame d’amore sarà visto come un’ulteriore prova della loro intenzione a peccare.
Mentre i loro amici e fratelli etero possono sperare di innamorarsi e di veder crescere, essere celebrate e sostenute le loro storie più importanti dalla comunità, le minoranze sessuali possono al massimo sperare di sfuggire al radar, di passare inosservati agli occhi di coloro che chiamerebbero la loro relazione sentimentale un abominio.
Alcuni realizzano questa condanna e accettano il messaggio che vede i loro più profondi impulsi verso l’amore e l’intimità solo come un affronto Dio.
Siccome quell’impulso è una caratteristica non sradicabile del loro essere, alcuni giungono a vedere la loro esistenza come una rovina per il mondo.
“Il loro rifiuto di me è tanto profondo quanto la loro fede”
Potrebbe essere che un giovane gay si convinca che il rifiuto e il disprezzo che ha sperimentato durante le scuole superiori siano solo l’espressione di adolescenti immaturi e che, quando progressivamente fa il suo ingresso nel mondo degli adulti, viva la speranza di potersi lasciare finalmente alle spalle la marginalizzazione sociale della sua giovinezza.
Le sue speranze vengono, però, infrante forse dall’umiliazione provata vedendo la sua intimità romantica trasmessa al mondo, combinata con un più profondo senso di vergogna che non riesce a scrollarsi di dosso (il senso che il suo amore è peccato) o, forse, dalla riunione del Consiglio comunale in cui Dio e la moralità sono invocate di continuo da rappresentanti della comunità per giustificare il tipo di marginalizzazione e di disprezzo con cui è cresciuto.
Così, tra sé pensa: “Il loro rifiuto di me è tanto profondo quanto la loro fede”. Se una parte di lui non fosse convinta che Dio non lo rifiuta veramente, potrebbe alzarsi e combattere.
Se qualcuno in quel momento cruciale gli avesse ficcato con forza fra le mani il numero telefonico del progetto Trevor, avrebbe potuto tendere la mano in cerca d’aiuto e ascoltare una voce di conforto, una voce che gli desse la speranza di vivere ripudiando in parte i cosidetti insegnamenti biblici secondo cui ciò che egli è rappresenta un’offesa a Dio.
Se avesse avuto un senso di appartenenza a una comunità che lo accoglieva per ciò che è, non avrebbe completamente perso la speranza.
Mentre altre minoranze in genere crescono come parte di una comunità che le accetta per ciò che sono (neri o ebrei), le minoranze sessuali solitamente crescono con un senso di profondo isolamento, specialmente quando la comunità più vicina a loro condanna l’omosessualità.
Anche se in qualche modo sanno che esistono comunità che li accetterebbero per come sono, questa conoscenza astratta può non significare molto se paragonata all’esperienza con la comunità che identificano come propria.
A volte questo senso di isolamento e di rifiuto sono troppo pesanti per essere sopportati e ciò che serve per innescare la scintilla di un atto di auto-annullamento è un gesto finale di denuncia o disprezzo.
Non è non un bel quadro, ma è quello che emerge quando facciamo attenzione alle vite e alle storie di gay e lesbiche a noi vicini. Alla luce di questo quadro, è difficile evitare la conclusione ovvia: non è l’omosessualità, ma la sua condanna ad avere la caratteristica tossica del peccato.
Non è l’impulso romantico di Zach Harrington a minacciare l’amata società. La minaccia viene da altrove; per esempio, da cittadini arrabbiati che, ad una riunione del Consiglio comunale, dichiarano che un simbolico gesto di accettazione equivale a una deliberata infestazione delle nostre scuole pubbliche con la depravazione.
Gesù ci ha detto che dovremmo distinguere gli insegnamenti veri da quelli falsi dai loro frutti.
L’insegnamento che l’omosessualità è un peccato – per dirla con le parole della Convenzione battista del Sud, anche il desiderio per il sesso omosessuale è “sempre peccaminoso, impuro, degradante, vergognoso, innaturale, indecente e pervertito” – ha generato questa ed altre volte frutti velenosi.
Le promesse infrante della vita di Zach Harrington sono solo un ulteriore esempio di una dolorosa litania.
Di fronte a questa litania, i difensori del punto di vista cristiano tradizionale indicano i riformisti come svenduti alla cultura secolare. Sfogliano la Bibbia e citano il Levitico 18:22 o Romani 1:24-27 come se ciò risolvesse la questione.
Sicuramente ciò appianerebbe la materia del contendere se si accettasse ciecamente l’idea che ogni passaggio nella Bibbia, nella sua lettura più lineare, rappresenta la parola infallibile di un perfetto Dio misericordioso.
Se accettiamo quest’idea avremo bisogno di ignorare le lezioni apprese con un’attenzione empatica e sensibile verso il nostro prossimo gay e lesbica o avremo bisogno di trattenerci dal praticarla.
Dopo tutto, quando ci occupiamo di gay e lesbiche (come l’amore per loro ci chiede di fare), diventa difficile fuggire al giudizio per cui la supposta condanna biblica dell’omosessualità ha scavato un sentiero di distruzione durante le loro vite per generazioni.
Così, se si accetta il punto di vista conservativo a proposto del contenuto della Bibbia e della sua relazione con Dio, bisognerà sopprimere le lezioni di compassione ed empatia o bisognerà innanzitutto rifiutarsi di ascoltare con compassione e simpatia.
Ma si può veramente detenere la vera teoria di un libro se lo stesso ti insegna ad amare il tuo prossimo come te stesso e questa teoria esige che si soffochino i tratti salienti più intimamente associati con l’amore?
Se la tua teoria sulla Bibbia porta ad ignorare o a rifiutare di ascoltare i pianti sofferenti di gay e lesbiche, non sarebbe questa una ragione per ripensare alla tua teoria?
Detto in maniera più cruda, quanti gay e quante lesbiche oppresse dal peso degli insegnamenti antigay devono uccidersi prima di decidere che, forse, la nostra teoria sulla Bibbia non è quella che meglio incarna l’idea che Dio è amore e che, quindi, non corrisponde al contenuto della Bibbia?
Qualsiasi teoria biblista che richieda di ignorare il prossimo per ricavare il significato corretto di Romani 1:24-27 sembra compiere un’ingiustizia al cuore della Bibbia.
Se c’è un messaggio cardine nelle Scritture cristiane, è che Gesù – una persona e non un libro – è la fondamentale rivelazione di Dio.
È Gesù che il Vangelo di Giovanni chiama la “Parola di Dio”, non la Bibbia. Nei Vangeli, inoltre, non solo Gesù non dice nulla sull’omosessualità, ma è scritto che lui viene a noi nella forma del bisognoso e “anche nell’ultimo tra questi” (Matteo 25:37-40).
I conservatori mi dicono che quando rifiuto la condanna dell’omosessualità mi sto vendendo ai valori del secolarismo, ma la realtà è diversa. Se non fossi un cristiano, non potrei essere così appassionato dei diritti dei gay.
La mia passione, nata dall’impegno per l’etica dell’amore, è intensificata ogni volta che una persona giovane come Zach Harrington viene da me piangendo disperato in cerca d’aiuto, troppo spesso nei modi più tragici.
Di fronte alla loro angoscia, come possono non riconoscere in loro il volto di Cristo?
* Eric Retain è uno scrittore e uno studioso vincitori di premi; insegna filosofia all’Università statale dell’Oklahoma. Il suo ultimo libro «Is God a Delusion? A reply to Religion’s Cultured Despisers» è stato inserito tra gli Outstanding Academic title del 2009 del periodico Choice.
Testo originale: Gay Suicide and the Ethic of Love: A Progressive Christian Response