Impariamo ad amare i nostri figli LGBT. Non possiamo rimanere in silenzio
Riflessioni di una madre cristiana con un figlio gay pubblicate sul suo blog Just Because He Breathes (Stati Uniti) il 3 settembre 2013, liberamente tradotte da Maria Zecchino
“Alla fine, ricorderemo non le parole dei nostri nemici, ma il silenzio dei nostri amici.” (Martin Luther King, Jr.)
A volte dimentico perché sto scrivendo. Quando i giorni sono troppo brevi o troppo pieni di faccende da fare ed i soldi sono troppi pochi per pagare qualcuno che le faccia per me, ma non posso dimenticare.
Quando ricevo un messaggio che mi dice che la mia egoistica insistenza sulla fede nel Vangelo di Cristo è stata la causa della morte di mio figlio, mentre un altro mi dice che il mio pio desiderio di una rilettura della Scrittura, sono la ragione per cui mio figlio e molti altri trascorreranno l’eternità all’inferno. Quelli sono i giorni in cui me ne vorrei andare. Vorrei essere fuori da questa “arena” (come dice la dott.ssa Brené Brown), dove mi trovo ferita e insanguinata e mi chiedo come diavolo io sia finita qui.
E poi ci sono settimane come questa. La scorsa settimana è iniziata con un messaggio di un amico pediatra nel Tennessee che mi ha inviato il link di un articolo che descriveva nel dettaglio uno scandalo accaduto nella sua città natale. Una madre che, dopo aver sostenuto sua figlia, mentre lei e la sua compagna combattevano per veder riconosciuti i diritti per le coppie dello stesso sesso, ha ricevuto un ultimatum dalla sua parrocchia: “Pentiti del tuo peccato (apparentemente tenere la mano di sua figlia in tribunale è diventato un atto empio) o lascia la chiesa”.
Ero scioccata e inorridita. Sono ancora scioccata e inorridita, per il fatto che un genitore sia stato pubblicamente condannato dalla sua chiesa per aver amato suo figlio.
Non sorprende che molti dei genitori che ho conosciuto durante questo mio cammino non vogliano che i loro figli LGBT facciano coming out nelle loro città o temano disperatamente che le loro parrocchie sappiano del loro supporto incondizionato al proprio figlio.
Tra le altre cose, sarebbero rifiutati da parte delle stesse persone che hanno contribuito ad accogliere il loro bambino nel mondo.
Sanno che i loro figli, (Ndr secondo le loro comunità di fede), non saranno accolti mai nelle loro comunità cristiane (che dovrebbero essere il corpo di Cristo), ma saranno considerati irrecuperabili perché “fuorviati dal nemico”, senza che si sia ascoltata la loro storia o si sia visto con che fervore continuano a cercare Dio.
Non c’è da stupirsi che, questo mese, mi sia seduta ad un caffe Starbucks con un’amica che mi ha detto che non poteva più essere cristiana, dopo avermi rivelato che sua figlia di 18 anni aveva fatto recentemente coming out con lei.
Oggi mi sono ricordata del testo in blog, che ho letto all’inizio di questa settimana, che è stato così profondamente inquietante che l’ho messo da parte intenzionalmente, sapendo che non sarei stata in grado di agire normalmente con i miei figli se ci avessi pensato mentre andavo a trovarli.
Quel testo è stato pubblicato su un popolare sito web evangelico. Quando oggi mi sono imbattuta di nuovo in quel testo, mi sono presa il tempo di rileggerlo insieme a molti dei commenti di supporto e approvazione. Ma non potevo respingere l’angoscia che provavo.
Leggendolo, mi sono ricordata dei programmi radiofonici cristiani che ho ascoltato negli anni ‘80 e ‘90 che, inconsapevolmente all’epoca, mi hanno influenzato notevolmente quando nostro figlio ha fatto coming out con noi, nel 2001.
I loro messaggi – che vedo ora come propaganda omofobica piena di odio – inconsciamente e profondamente mi hanno influenzato, piantando semi di paura e pregiudizio contro la comunità gay. Questi semi hanno messo radici e sono cresciuti rapidamente dopo aver scoperto che Ryan faceva parte di quella comunità.
Se quel blog fosse un’eccezione o un’aberrazione, non mi darebbe molto fastidio. Sfortunatamente non lo è.
Questo blog orribilmente offensivo è già stato confutato in modo articolato e intelligente da tanti altri, e dato che non sono né teologa, filosofa o sociologa, non tenterò di aggiungere i miei argomenti. Tuttavia, quello che voglio fare è questo: incoraggiare gli altri a porre le stesse domande che mi sono posta io per tutto il giorno.
Quando quelli di noi che si definiscono cristiani restano in silenzio, non appena qualcuno che parla con l’autorità e il rispetto concesso a coloro che sono pastori incaricati di insegnare la Parola di Dio alle loro comunità, ed usa la parola scritta per coltivare il disgusto verso persone fatte ad immagine di Dio, finiamo per concordare tacitamente con loro affermazioni.
Se non ci esprimiamo – ad alta voce e ripetutamente – per combattere l’uso di tattiche omofobe, umilianti e disumanizzanti, proprio come abbiano lottato contro il bigottismo razzista e pieno di odio, stiamo silenziosamente legittimando quelle azioni.
Rob e io abbiamo molti cari amici e parenti che non sono d’accordo con noi sul matrimonio omosessuale o gli altri diritti gay che consideriamo diritti umani, ma lo fanno in modo rispettoso, rendendosi conto che stanno parlando di un argomento che non è solo un “problema” attuale, ma un argomento che tocca il cuore e l’anima delle persone che sono state create da Dio e che sono profondamente amate da lui.
Non dobbiamo usare il linguaggio dell’odio, del disgusto e del disprezzo, per comunicare le nostre opinioni. Non dobbiamo farlo.
Ma se non parliamo, le parole di questo pastore quando raggiungeranno le orecchie di ascoltatori vulnerabili, non essendo mai state contestate o smentite, potrebbero indurli a pensare che questa sia l’unica verità di coloro che seguono Cristo o molto peggio, che questa prospettiva contorta rappresenti l’opinione di Dio stesso.
Non sono riuscita a smettere di chiedermi:
Quanti adolescenti, nel loro desiderio di piacere a Dio, leggeranno quelle parole e concluderanno che è praticamente impossibile piacere a Lui, dato che il loro orientamento non cambierà, non importa quanto duramente pregheranno?
Quanti giovani adulti, che nascondono la loro vera sessualità alle loro famiglie e comunità ecclesiali a causa dello stigma e della paura di essere condannati, le leggeranno. Permettendo a queste parole di aggiungere un altro spesso strato alla loro vergogna e al loro disprezzo, da cui sono già soffocanti e attraverso cui cercano di respirare per poter vivere un altro giorno?
Quanti individui LGBT le leggeranno e concluderanno che questa è un’altra prova concreta che le persone che amano Gesù sono le stesse persone che li odiano?
Quanti giovani adulti leggeranno quelle parole, senza pensare che un giorno potrebbero essere i genitori che daranno alla luce un figlio che si renderà conto, come risultato di una scelta non sua, di avere un orientamento sessuale che è stato definito da questo scrittore “come abominevole?”.
Quanti genitori di adolescenti lo leggeranno, senza rendersi conto che uno degli adolescenti nella propria casa sta lottando per riconciliare la propria fede con la consapevolezza di essere attratto da persone dello stesso sesso?
Quanti genitori, nonni, zie, zii e fratelli lo leggeranno e saranno influenzati da queste parole, tanto che quando un membro della loro famiglia raccoglierà, finalmente, il coraggio di condividere con loro il segreto che sta nascondendo, gli risponderanno di riflesso vomitandogli le affermazioni (omofobe) che questo pastore ci incoraggia a curare e coltivare?
Quanti ragazzi, dopo essersi confrontati con il disgusto delle persone che amano e di cui hanno più bisogno al mondo, concluderanno che le parole contro cui hanno combattuto sono, dopo tutto, valide e legittima? Quanti di loro decideranno così che le loro famiglie starebbero meglio senza di loro? Quanti altri funerali si terranno con i ragazzi LGBTQ che sentono che le loro vite sono senza valore?
Quanti altri genitori rinnegheranno i propri figli, perché gli è stato detto da un’autorità spirituale che l’amore che il loro figlio provano non è altro che un perverso desiderio o un atto ripugnante?
Queste sono solo alcune delle domande che oggi mi hanno tormentato incessantemente per tutto il giorno. E anche se il solo pensiero della situazione nel Tennessee e delle parole di quel pastore diventato blogger, sono state sufficienti oggi per farmi passare l’appetito, mi servono come un potente promemoria del perché Dio ha continuato a sussurrare la stessa cosa a me e mio marito, ancora e ancora e ancora, “Racconta la tua storia. Racconta la tua storia. Racconta solo la tua storia.”
Questa settimana, durante un lungo e bellissimo giro in bicicletta, Rob si è rivolto a me e ha detto: “Anche se perdo tutti i miei amici eterosessuali, non posso smettere di condividere ciò che Dio ci ha fatto capire (sull’omosessualità, dopo la morte di mio fratello). Farlo sarebbe disobbedirgli.”
Oggi ho ricordato con forza il costo potenziale di quella disobbedienza. Smettere di condividere, smettere di parlare o scegliere di tacere potrebbe fare la differenza affinché un’altra famiglia (come la nostra), possa partecipare al matrimonio dei proprio figlio oppure, come è successo a noi, possa far visita solo alla sua lapide.
Se potessi, griderei dalla cima di ogni montagna la verità che conosco con più certezza ovvero: che il nostro Dio Creatore è un Dio d’amore e che ama intensamente ognuno dei Suoi figli. Il nostro Dio non può che essere vicino a tutti coloro che sentono di non appartenere a Lui, a coloro che sono stati scacciati e sono messi ai margini. Il nostro Dio è il Dio che lascia novantanove (persone), per inseguirne una… quell’uno che ama con una passione imperscrutabile e con il quale non è mai arrabbiato.
Testo originale: Learning to Truly Love our Gay Son… We Cannot Be Silent