Impegnarsi per l’amicizia. Incontrarsi per scoprirsi diversamente uguali
Riflessioni di Fabio Regis del 2 luglio 2009
Negli ultimi mesi si discute di dar vita ad un incontro nazionale dei gruppi di omosessuali credenti italiani. Quali sono i presupposti? Perché dovrebbe essercene il bisogno? Quale l’obiettivo? Quali metodi di discussione e di lavoro? Quali i prossimi passi?
Fabio Regis, autore de L’amore forte, volontario del progetto Gionata e delegato di Gionata al Forum europeo dei gruppi lesbici, gay, bisex e trans cristiani, s’interroga sull’associazionismo lesbico, gay, bisex e trans (LGBT) cristiano e sulla strategia di lotta all’omofobia da parte dei credenti, in particolare cattolici.
Quale leadership?
Il tenace permanere dell’omofobia e, in alcuni casi, il suo tracimare dalla retorica alla volgarità fino alla violenza, sono al centro di una crescente attenzione da parte della politica, della società e della cultura in Italia e non solo.
L’omofobia è, in generale, un disordine morale e le sue manifestazioni sono forme di devianza, in molti casi punibili dalla legge.
Se da un punto di vista della salute mentale, l’omofobia può configurarsi come una vera e propria patologia meritevole di compassione, aiuto e supporto psicologico, da un punto di vista sociale occorre l’impegno civico per prevenirne la diffusione e per sradicarla.
E’ naturale che, in questo contesto storico, gli omosessuali credenti, e in particolare gli aderenti ai gruppi di omosessuali credenti, si sentano in prima linea nella lotta all’omofobia, sia nell’ambito delle loro chiese, sia nella società.
Prova ne è che le veglie di preghiera per le vittime dell’omofobia che, dal 2007 ad oggi, sono state organizzate principalmente dai gruppi di omosessuali credenti.
E se essi (o una buona parte di essi) si sentono in dovere di lottare contro l’omofobia, quali migliori strategie comuni e associative possono adottare? Nel lungo periodo, a mio parere, appare inefficace una strategia autoreferenziale che lasci ai soli omosessuali credenti la leadership della lotta all’omofobia nelle Chiese.
L’omofobia è un danno per tutti, non solo per gli omosessuali. La leadership della lotta all’omofobia, in particolare all’interno delle chiese, dovrebbe essere assunta da un movimento di amici cristiani, senza riguardo al loro orientamento sessuale e alle loro opinioni politiche.
In Italia esistono ad oggi una trentina di gruppi di omosessuali cristiani, in stragrande maggioranza costituiti da cattolici. Per alcuni anni è esistito un fattivo Coordinamento dei gruppi di omosessuali credenti in Italia (COCI).
Scrive l’amico Cristian su Acqua di Fonte, n. 49/2008: “In passato mi era capitato di partecipare alle riunioni del coordinamento dei gruppi di gay credenti che si tenevano a Roma. Erano state delle belle esperienze di incontro che però non avevano portato frutti espliciti, preoccupate soprattutto di definire principi e meccanismi che non hanno retto alla prova dei fatti.
Col senno di poi ritengo che le veglie, il servizio prezioso del portale gionata.org, lo spirito di collaborazione tra i gruppi, la voglia di incontrarsi nonostante le distanze (non solo fisiche) sono anche frutto di quelle riunioni che parevano non aver lasciato sul momento alcuna traccia.
Il cammino concreto che vedo compiere a piccoli passi mi fa sperare che prima o poi anche quelle cose vedranno la luce, nella sostanza dei fatti se non nei modi immaginati allora”.
Facendo tesoro di quella esperienza, mi viene da suggerire alla comunità interessata a queste riflessioni che, allo stato attuale delle cose, dovrebbe essere evitato il tentativo di dare una organizzazione stabile e proceduralizzata al “coordinamento” dei gruppi.
Più precisamente, mi sembra più efficace concepire il Coordinamento dei gruppi di omosessuali credenti Italiani come una Conferenza, piuttosto che un coordinamento. “Conferenza” che, oltre ad essere un termine famigliare per i cattolici, esprime l’idea di un dibattito dove ciascuno può manifestare la sua opinione, senza che necessariamente si debba pervenire a dichiarazioni o a iniziative comuni.
La Conferenza potrebbe funzionare meglio come think-tank piuttosto che come associazione impegnata a prendere posizioni di condanna ogniqualvolta vengono pronunciati discorsi intrisi di ignoranza e odio contro gli omosessuali all’interno delle chiese.
Cattolici o cristiani?
Un tema ampiamente dibattuto è se il Coordinamento dei gruppi di omosessuali credenti Italiani debba essere un movimento di “cattolici”, di “cristiani” o di “credenti”. Non si tratta di una questione di poco conto. Personalmente ammiro molto il modello associativo dei protestanti omosessuali e dei loro amici e sostenitori. Come cattolici dovremmo prenderli ad esempio.
La loro associazione, la REFO (Rete Evangelica Fede Omosessualità), operante ormai da oltre 10 anni, ha dato un contributo importante al progresso delle Chiesa valdese, metodista e battista in Italia in materia di comprensione della sessualità e adeguamento pastorale alle esigenze delle persone Lesbiche, gay, bisex e trans (LGBT).
Se il Coordinamento dei gruppi di omosessuali credenti Italiani fosse un movimento dichiaratamente “cattolico”, come Dignity negli Stati Uniti, ancorchè non annoverato fra le aggregazioni ecclesiali ufficialmente riconosciute come accade ad altri movimenti (Noi Siamo Chiesa), potrebbe essere l’interlocutore privilegiato della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) sui temi della comprensione e della pastorale rivolta alle persone omosessuali, così come la REFO svolge questa funzione nelle Chiese valdese, metodista e battista.
Purtroppo però occorre constatare che molti cattolici Lesbiche, gay, bisex e trans (LGBT), per lo meno in Italia, optano per la generica definizione di “credente” o di “cristiano”. Questa scelta manifesta, talvolta, una certa ipocrisia o la semplice paura per cui sia disdicevole o, quantomeno, sconveniente per un omosessuale cattolico definirsi appunto “cattolico”.
In alcuni casi, emergono vere e proprie forme di omofobia interiorizzata o anche di sofferenza per via di un rapporto non risolto tra fede e omosessualità o, per meglio dire, tra appartenenza confessionale e orientamento sessuale.
In altri casi, e mi riferisco al gruppo Nuova Proposta di Roma, vi è una scelta seria e motivata di definire il gruppo “cristiano” o “ecumenico” per via di una effettiva adesione al gruppo da parte di persone appartenenti a chiese diverse.
Nel caso, invece, del Guado di Milano è in atto una evoluzione ulteriore da gruppo “ecumenico” a gruppo di ricerca su fede e omosessualità, aperto anche ai non credenti. Se, quindi, il Coordinamento dei gruppi di omosessuali credenti Italiani include Nuova proposta e Guado, può dirsi cattolico? Alcuni credono di no.
Credono sia preferibile definirlo ancora una volta “movimento cristiano”. Altri si chiedono, a questo punto, se non sia il caso, per i cattolici, di aderire alla REFO e unificare i movimenti. Quest’ultima ipotesi potrebbe essere scoraggiata dagli stessi protestanti, perché significherebbe, di fatto, cattolicizzare numericamente la loro associazione, modificandone significativamente la destinazione d’uso.
Ma, credo, sarebbe una ipotesi scartata anche da molti cattolici che intendono assumersi una responsabilità diretta all’interno della loro chiesa. Per queste ragioni, e in particolare per facilitare l’assuzione di responsabilità da parte dei cattolici, ritengo che il Coordinamento dei gruppi di omosessuali credenti Italiani debba essere un movimento sostanzialmente cattolico.
Nuova Proposta e Guado, come degnissimi partecipanti, potrebbero salvaguardare le loro identità all’interno del Coordinamento dei gruppi di omosessuali credenti Italiani chiedendo e ottenendo che esso sia nominalmente un movimento di “cristiani” o di “credenti”, pur rimanendo sostanzialmente un movimento di “cattolici”.
In questo quadro, la REFO dovrebbe essere sempre invitata come osservatore alle attività del Coordinamento dei gruppi di omosessuali credenti Italiani, in uno spirito di reciprocità e collaborazione ecumenica.
Movimento lesbico, gay, bisex e trans cristiano o movimento di amici cristiani?
Quanto espresso fin qui, come ben si può constatare, si basa sull’esistente e non fornisce elementi creativi proiettati al futuro. Molti di noi credono che il movimento lesbico, gay, bisex e trans cristiano renda un servizio “ad interim”, colmando un vuoto lasciato dalle chiese ufficiali.
Se si assume questo punto di vista, risulta più facile guardare oltre la steccata e anticipare il futuro. Come accennavo all’inizio, la leadership della lotta all’omofobia dovrebbe essere condivisa da omosessuali e eterosessuali insieme.
L’attitudine all’amicizia verso gli omosessuali (attitudine definita “gay friendly” o, semplicemente “friendly”) appare maggiormente inclusiva e generalista rispetto all’applicazione di un rigido paradigma LGBT, che è per sua natura esclusivo.
Una festa “gay” o un movimento “gay”, quand’anche siano occasioni di grande gioia, ricalcano specularmente le feste e i movimenti riservati tipicamente ed esclusivamente agli eterosessuali.
Anche se in molti luoghi e in molti contesti, il paradigma prevalente è già oggi quello dell’amicizia, la società e la cultura in generale restano talvolta orientate a un modello implicitamente eterosessuale che ignora sistematicamente le esigenze degli omosessuali e che contribuisce a generare, come logica conseguenza, una subcultura tipicamente “gay”, un universo parallelo che, a sua volta, non sempre manifesta quella reciprocità e quell’accoglienza che si pretenderebbe dalla cultura tipicamente eterosessuale.
L’attitudine all’amicizia scardina proprio questo dualismo e questa ghettizzazione, promuovendo una cultura inclusiva e rispettosa, in cui ciascuno può vivere apertamente il proprio orientamento sessuale.
Ciò non significa che la cultura gay, il movimento LGBT e, in generale, la socializzazione tra omosessuali siano semplicemente una fase storica dello sviluppo culturale.
Non lo credo come non credo che la Federazione del Calcio e la Federazione della Pallavolo si sciolgano per confluire in una nuova Federazione di un qualche nuovo sport.
Sto dicendo che ognuno gioca la sua partita, in base al tipo di sport che sente più consono a sé, che sia uno sport di massa o uno sport di nicchia, ma tutti gli sportivi concordano su alcuni principi comuni e su un senso di amicizia universale, “olimpico”, che trascende il singolo sport, la nazionalità, il colore della pelle o l’orientamento sessuale e riguarda la convivenza e la pace comune. E’ su questo obiettivo che, a mio parere, occorre puntare quando si parla di lotta all’omofobia.
Mi auguro vivamente che i gruppi di omosessuali credenti prosperino, che la loro missione di servizio alla chiesa e a tanti fratelli e sorelle in cerca di amicizia sia assistita dalla grazia di Dio. Allo stesso tempo stesso mi auguro che fioriscano occasioni di amicizia, confronto e conoscenza reciproca tra omosessuali, eterosessuali e autorità religiose.
Occorre impegnarsi di più per l’amicizia, in primis, fra noi cristiani e, allo stesso tempo, tra noi cristiani e il resto del mondo.