In cammino con gli altri, come omosessuale e come cristiano
Riflessione inviataci da Sergio F.
Voglio proporvi una riflessione nata a seguito della visione del film “Pride”. Quel film, tratto da una storia realmente accaduta, racconta di un gruppo di ragazzi gay e lesbiche che decide di fare una raccolta di fondi durante lo sciopero dei minatori del 1984 dell’Inghilterra della Thatcher per poter aiutare i lavoratori rimasti senza salario. La storia ruota intorno questo difficile rapporto tra il gruppo di ragazzi e una comunità di minatori del Galles destinataria degli aiuti, iniziato con reciproca diffidenza e fino al riconoscimento gli uni degli altri (il Pride inglese del 1985 verrà aperto da rappresentanze dei minatori di tutto il regno unito come sfileranno in testa al corteo GLBT per riconoscenza verso la generosità di quei ragazzi)
Sono rimasto colpito dal ribaltamento di prospettiva che prende corpo nello svolgimento della vicenda. Nel film, i ragazzi GLBT si chiedono cosa possono fare, senza prima attendere riconoscimenti o accettazione dal sociale per poi fare la loro parte. Per loro non è un argomento importante. Credono nella giustezza delle loro tesi e per loro questo è sufficiente per muoversi. Così iniziano ad agire senza incertezze.
Nel film quei ragazzi sono davvero “credenti”. Credono in un mondo più giusto per tutti e si danno da fare concretamente per realizzarlo. Si guardano intorno e dedicano tempo ed energie ad una colletta di raccolta fondi e ad eventi per aiutare chi sta in quel momento messo peggio. Non si curano se sono tollerati, riconosciuti o presi in giro. Loro fanno il primo passo per primi. Credono sia giusto farlo. Altre considerazioni vanno in secondo piano.
Mi sono guardato intorno e ho invece visto singoli omosessuali credenti e gruppi cattolici gay chiusi a riccio sulla difensiva piuttosto aperti al mondo a dare il nostro contributo. L’attesa del riconoscimento della nostra dignità di uomini e donne gay, lotta sacrosanta, finisce poi per essere il paravento dietro al quale nascondiamo pigrizia, indolenza, disimpegno, abitudine. Eppure ci viene detto di “non avere paura”.
Ecco, la riflessione è questa, c’è bisogno di un ribaltamento di prospettiva. Sono convinto che siamo degni di amore perché il Padre ci ama così come siamo e perché siamo così. Per questo non abbiamo bisogno di essere riconosciuti e considerati per fare la nostra parte nel mondo. Abbiamo piuttosto bisogno di donarci come persone al prossimo. Rendere una testimonianza della fede nella quale ci ritroviamo.
Personalmente mi sono scoperto avaro, meschino, pavido ed ho guardato come la mia vita non fosse molto diversa da altri cattolici tiepidi, mancanti di spirito missionario, deleganti. Ho iniziato così a cambiare qualcosa della mia vita.
Ma ho bisogno di testimoniare in cosa credo e ne ho bisogno proprio come omosessuale e cattolico.
Non posso aspettare che la Chiesa mi riconosca, io sono chiesa già ora. Così penso lo siano altri uomini e donne gay come me. E’ un drammatico frainteso pensare che la lotta per i nostri diritti esaurisca la nostra vocazione alla carità. Quella invece precede tutto. Poi nell’amore il resto viene.
Vorrei così poter riflettere con altri sul senso di questo equivoco. Una riflessione fattiva, concreta, non una lagna ulteriore perché “ci devono accettare”. Ho bisogno di condividere con altri il desiderio di impegnarsi verso il prossimo come omosessuale e come cattolico mettendo questo al primo posto. Le difficoltà e le incomprensioni le metto in conto.
Ma io credo nell’amore. Credo che Lui sia accanto a noi se ci occupiamo degli altri perché “ogni volta che av(r)ete fatto queste cose (anche) a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’av(r)ete fatto a me”. Vorrei semplicemente fare la Sua volontà, come omosessuale e credente, insieme a tutti voi. E di questo vorrei poter parlare, per questo chiedo di darmene la possibilità. Ovviamente vi invito a vedere quel film, chi ancora non l’ha fatto.