In Politica “sono cattolico” e quindi?
Riflessioni di Massimo Battaglio
Periodicamente, nella politica italiana, qualcuno si lancia in dichiarazioni che cominciano con “io sono cattolico”. Segue affermazione, se non omofoba o misogina, almeno fortemente scettica sui temi delle persone omosessuali e delle donne. Un po’ come dire: scusate se sono retrogrado ma ho buoni motivi in cielo. Sottotitolo: se andate a messa dovete votare me.
L’ultimo, ma solo in ordine di tempo, è stato Luigi Di Maio, recentemente intervistato da Fabio Fazio a “Che tempo che fa”.
“Io da cattolico penso che la famiglia sia quella col papà e con la mamma”.
Cito il vicepresidente del Consiglio solo perché è il caso più recente e perché ha fatto scalpore. Ma nessun partito è esente da esponenti che hanno rilasciato almeno una volta dichiarazioni simili. Dall’estrema destra (i rosari di Salvini) al PD (con la corrente “cattodem”), passando per le esibite devozioni di Berlusconi e dei suoi.
Ma cosa significa “sono cattolico”?
Affermazioni così lapidarie avrebbero bisogno di essere ben analizzate, termine per termine. A cominciare da quel “sono cattolico”.
Cosa significa essere cattolici? Vuol dire pensare che Dio esiste? Un po’ poco! Apprezzare i valori del Vangelo? Forse un po’ di più ma non basta. Io, che apprezzo moltissimo la cucina tosco-emiliana, rimango piemontese. Essere cattolici vuol per caso dire trovare ispirazione dalla fede in Gesù nella nostra vita? Ci avviciniamo. L’apostolo Giacomo diceva proprio una cosa del genere. Solo che scriveva proprio per mettere in guardia da affermazioni roboanti:
“Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, che giova? Così anche la fede: se non ha le opere, è morta in se stessa. Al contrario uno potrebbe dire: Tu hai la fede ed io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede”. (Gm 2,14-18)
Cosa significava un tempo essere cattolici in politica
Una volta era facile: c’era la DC. Se uno era cattolico, gli bastava votare il partito dei cattolici. Non tutti accettavano questa logica ma, coloro che vi aderivano, potevano godere di vita tranquilla: nessuno li avrebbe più interrogati in proposito. Tutt’al più gli si chiedeva coerenza ma si sa … la perfezione non è di questo mondo. Tuttavia la DC è morta, schiacciata dallo scandalo di tangentopoli. E questo tipo di morte, a mio avviso, dovrebbe interrogarci. Forse, il dislivello tra Vangelo e politica è troppo grande per poter essere gestito attraverso un partito. Per essere colmato, ha bisogno di un continuo compromesso. E un partito fondato sul compromesso, non può che fare una brutta fine.
Cosa è significato per me
Nel mio piccolo, ho avuto una minima ma sigificativa esperienza in politica, qui da me, a Torino Mirafiori. Non ho mai avuto bisogno di proclamare il mio essere cattolico: si sapeva e, comunque, non ero stato eletto per quello. Piuttosto, mi piaceva recitare segretamente il Magnificat prima uscire di casa per una riunione di Giunta o di Consiglio. E mi fermavo con particolare attenzione sui versetti centrali:
“ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; rovesciato i potenti dai troni e innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati e ha rimandato i ricchi a mani vuote” (Lc 1, 51-53)
Ho sempre pensato che quello fosse il centro del messaggio politico di Dio attraverso Maria. E continuo a credere che, per un cristiano, la politica consiste precisamente nel creare situazioni di pace e di uguaglianza. Per dirla con la Costituzione: se si vuole essere cattolici, basta avere ben presente l’articolo 3
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.
Per me, questo comportava anche, un po’ paradossalmente, il rinunciare a far pesare la mia personale morale sui miei atti pubblici, sulle mie delibere. La mia missione era di contribuire a un mondo in cui ciascuno potesse esprimere la propria morale, cattolici compresi. Perché il Regno di Dio non si impone per legge o per delibera ma si costruisce attraverso relazioni positive tra gli uomini, a cominciare dai meno fortunati. E questo è il senso della politica.
Mi stupisce che oggi, i politici di professione che si dichiarano cattolici (spesso a intermittenza), lo facciano sempre e solo in riferimento alla morale, e alla morale più intima e meno politica che ci sia, cioè quella sessuale. Non mi capacito del loro cattolicesimo fatto per escludere anziché per unire.
Cosa significa nella vita di tutti i giorni
Non mi sono mai sentito solo nel mio modo di sentirmi cattolico in politica. Potrei parlarne a lungo. Preferisco chiudere con un piccolo episodio di politica spicciola, da tutti i giorni.
Un giorno, accompagnai un amico infermiere a portare una domanda di assunzione al Cottolengo (Nessuna raccomandazione. Era solo arrivato a Torino da poco e non conosceva la città). Si sentì in dovere di dichiarare di essere omosessuale, per chiedere se questo poteva fare difficoltà. La suora che ritirò i suoi fogli (una grande suora di cui non faccio nome, molto sensibile alla politica) fu illuminante. Gli disse: “al Cottolengo non abbiamo mai chiesto niente a nessuno, se non un po’ di carità. Certe distinzioni non ci piacciono. Abbiamo un’altra politica“.
Per me, i valori cattolici, in politica, sono quelli lì.