Essere omosessuali in piazza Tahrir
Articolo di Michael Luongo* tratto dal sito Salon.com (Stati Uniti) del 8 marzo 2012, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Il Cairo – Molto prima che piazza Tahrir catturasse l’immaginazione del mondo in quanto palcoscenico della rivoluzione egiziana, era il famigerato e clandestino punto d’incontro dei gay cairoti. In piazza Tahrir si vedevano uomini gay bighellonare lanciando sguardi significativi, appoggiati ai guardrail, mentre il traffico del Cairo turbinava tutt’attorno. Erano sotto gli occhi di tutti, ma nascosti.
Sotto molti aspetti, le imponenti dimostrazioni dell’inizio del 2011 che hanno avuto luogo in piazza Tahrir e hanno portato al rovesciamento del presidente Hosni Mubarak hanno suggerito alla comunità gay egiziana di unirsi alle richieste per una nazione nuova e più democratica. Ma ora, più di un anno dopo l’inizio della rivoluzione, la comunità LGBT egiziana ha fatto un passo indietro e si è ritirata di nuovo nell’ombra.
Le loro grandi speranze per una società più aperta che li accettasse hanno subito uno stop, mentre i militari non accennano a mollare il potere e i rivoluzionari liberali sono riusciti ad avere pochissimo spazio nella legislatura.
In un recente viaggio d’inchiesta in Egitto nei giorni dell’anniversario della “Rivoluzione del 25 gennaio” la posizione centrale di piazza Tahrir ne ha fatto un punto d’incontro per molte delle mie interviste. Lì incontro Taher Lamey, medico e membro della comunità LGBT, volontario negli ospedali da campo della stessa piazza che aiutavano le vittime degli attacchi delle forze di sicurezza egiziane.
Alto, occhi chiari e largo sorriso, Lamey mi porta a molti isolati di distanza verso il Ministero dell’Informazione, dai locali conosciuto come “Maspero”, dove sono state indette delle marce di protesta per sfidare quelle che Taher chiama “bugie” e “distorsioni della verità” da parte del governo.
Mentre camminiamo Taher mi tiene per mano, facendo sì che non mi perda tra gli spintoni della folla. Alcuni sono incuriositi, altri irritati dalla presenza di un giornalista straniero. Alcuni di noi erano già stati aggrediti e mi è capitato di ascoltare molte conversazioni in cui si ipotizzava che fossi un agente della CIA o una spia israeliana del Mossad. Taher dice che questa violenza viene fuori dal nulla ed “è sospettosa, come se bastasse premere un pulsante per far apparire dei delinquenti”.
In una delle dimostrazioni al Maspero, a ottobre, i militari hanno ucciso 27 dimostranti cristiani copti. I copti sono una minoranza religiosa in Egitto che costituisce meno del 10% della popolazione; il trattamento riservato a una minoranza religiosa è una sorta di cartina al tornasole per prevedere come altre minoranze, come la comunità LGBT, potranno essere trattate.
Taher non è molto fiducioso: “Abbiamo ancora tanta strada da fare per ottenere un qualsiasi diritto per gay e lesbiche… Forse stiamo persino tornando indietro.” La prima impressione di Taher era stata diversa.
Nelle giornate esaltanti che seguirono il rovesciamento di Mubarak, aveva grandi speranze per la rivoluzione, dice. “Il meglio del Paese è coinvolto. Ma non vinceranno. Se queste persone fossero al potere avreste grandi aspettative da questo Paese. Legami internazionali, democrazia, giustizia sociale, welfare.” E anche, ne è convinto, diritti per gli LGBT.
“Sono sicuro che le cose sarebbero state molto migliori perché erano dei liberali” spiega. Ma in un Paese in cui il parlamento neoeletto è controllato da due partiti islamisti che contano più di due terzi dei seggi questa possibilità “è molto remota”.
Taher sospira e ringrazia il cielo di avere anche il passaporto olandese. “Me ne posso andare. Ho paura di quello che accadrà. Penso che saremo il prossimo Iran” dice.
La paura che l’Egitto diventi uno Stato islamico è molto diffusa nella comunità LGBT come in alcuni settori della minoranza secolarizzata che è stata così attiva nella rivoluzione.
“C’era gioia e liberalità dopo i primi giorni della rivoluzione” dice Azza Sultan, una lesbica sudanese che vive in Egitto, membro dell’Organizzazione Bedayaa per lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer e intersessuali (LGBTQI) della Valle del Nilo, che opera in Egitto e Sudan. “Ma la maggior parte di loro è tornata a nascondersi.”
Un certo numero di gay e lesbiche afferma che l’entrata in scena dei partiti islamisti – in particolare il Partito Libertà e Giustizia della Fratellanza Musulmana e il Partito Salafita al-Nur – potrebbero emarginare ulteriormente la comunità gay e far sì che i loro diritti non diventino mai una priorità della politica tra la turbolenza e la paranoia di un Paese in transizione.
“Molti credevano che il collasso del vecchio sistema politico avrebbe permesso loro di vivere senza stigmatizzazioni o discriminazioni” dice Azza. “Ero molto ottimista e molto positiva ma ora, a un anno dalla rivoluzione, nessuna richiesta è stata soddisfatta e comincio a preoccuparmi.”
Azza afferma che i Fratelli Musulmani vogliono imporre la sharia in Egitto, una doppia prigione per chi è donna e soprattutto lesbica. “È molto difficile per loro prendere qualsiasi decisione per la loro vita, o conquistarsi l’indipendenza” dice riferendosi a tutte le donne. E aggiunge “se è dura per le donne eterosessuali lo è sicuramente di più per le lesbiche.”
Eppure “c’è un barlume di speranza che il futuro possa essere migliore del passato.” I leader della Fratellanza Musulmana hanno esitato a parlare direttamente della questione LGBT negli ultimi mesi, come il resto della società egiziana.
Ma Mohammed Badie, guida suprema della Fratellanza, ha chiarito le sue opinioni sull’argomento l’anno scorso. Secondo un articolo di Africa Online avrebbe detto: “L’Occidente ha permesso il matrimonio gay con il pretesto della democrazia, cosa che in Egitto non permetteremo mai. E non permetteremo, con il pretesto dell’unità nazionale, che una donna musulmana sposi un cristiano che viola la legge islamica.”
Questo tipo di retorica populista diretta verso i gay potrebbe essere la ragione della cautela ora imperante al Cairo, che era assente nei primi giorni della rivoluzione. Degli attivisti che si erano fatti sentire sui diritti LGBT ora non rilasciano interviste. Sembra che si sia chiusa una finestra sulle questioni LGBT, finestra che si era aperta nei primi giorni della rivoluzione e ora sommersa nel caos generale del Paese.
Ma Taha Ryad, un insegnante di inglese trentenne, rimane provocatoriamente aperto sulla sua sessualità. “Tutti lo sanno, non me ne frega un cazzo” dice. L’intervista ha luogo in una boathouse in mezzo al Nilo, durante una festa di addio per un gay americano che lascia il Cairo. Sono presenti circa 30 uomini gay, un mix di egiziani e stranieri.
Quando Taha mi ha chiesto di incontrarlo qui sulla boathouse mi è subito venuto in mente la vicenda del cosiddetto “Cairo 52”, un gruppo di gay egiziani arrestati sulla barca Queen Nile, imprigionati e torturati durante l’ondata repressiva anti-gay scatenata da Mubarak. La violenta retata venne vista dalla comunità gay come un probabile tentativo del regime di ingraziarsi gli islamisti che già stavano diventando una formidabile forza politica. Ora che Mubarak è caduto ci si domanda se i rinati partiti religiosi tenteranno ancora di schiacciare la comunità gay. Provenendo da una devota famiglia musulmana, Taha dice di capire i credenti, anche coloro che verrebbero definiti fondamentalisti islamici.
“Pregavo sempre e leggevo il Corano” dice, muovendo le mani in aria come se volesse cancellare il ricordo. “Essere onesto con te stesso è quello che ti libera” aggiunge. Ma dice di essere preoccupato che un governo oppressivo di stampo saudita possa prendere il potere in Egitto, ora che i partiti religiosi hanno la maggioranza dei seggi in Parlamento dopo le elezioni di gennaio.
“Una volta che [i Fratelli Musulmani] sono diventati un partito pubblico, hanno usato parole molto dure dicendo che l’immoralità che si vede per strada dovrebbe essere fermata” dice Taha. Guarda in giro per la sala agli ospiti che bevono.
“L’alcool, naturalmente, è condannato senza appello.” “Dicono tutti di essere a favore dei diritti umani, dei diritti delle donne” ma Taha non ci crede. Con gli islamisti al potere, dice, “non penso che le persone LGBT saranno in una situazione migliore. Non c’è da stare allegri, sarà molto dura.”
I rapidi cambiamenti nello scenario post-elettorale sono confermati da un addetto stampa dell’ambasciata americana al Cairo con il quale speravo di discutere l’annuncio del segretario di Stato Hillary Clinton che le questioni LGBT sarebbero divenute una priorità della politica diplomatica. Mark Caudill ha scritto per email “Per quanto riguarda le questioni LGBT, temo di poter contribuire pochissimo. È un argomento importante in concorrenza con altri argomenti importanti che al momento sono più urgenti.”
Questo è risultato chiaro quando almeno 16 cooperanti americani sono stati detenuti al Cairo lo scorso febbraio, accusati di operare illegalmente e di “diffondere l’anarchia” in Egitto. Un solo attivista accetta di parlare purché il suo nome non venga rivelato. T. si definisce un attivista per i diritti umani che si occupa di minoranze, diritto alla sessualità e diritti LGBT. Non vuole confondere il suo lavoro per le persone LGBT con il suo posto stipendiato di attivista; dice che il suo capo sa che è gay e che svolge tale lavoro [per le persone LGBT] come volontario.
Ci incontriamo al Groppi, un famoso caffè francese art déco, ora ridotto all’ombra di se stesso, triste e in gran parte vuoto. T. dice di avere interrotto i rapporti con la sua famiglia irritata dal suo lavoro per i diritti umani. “Dopo la rivoluzione, in maggio o aprile (2011) ero più attivo sulla scena.” Usava casa sua come spazio sicuro, il che dava adito a “chiacchiere sugli uomini e le donne che frequentavano la casa a tutte le ore.” Ora vive con dei coinquilini nel centro della città.
T. dice di temere, più che i gruppi religiosi, la gente che dice di essere laica e centrista, che preferiva lo status quo che conosceva sotto Mubarak e che usa la religione per i suoi scopi. “In Egitto la classe media è più estremista dei salafiti. Il raid della Queen Nile è accaduto sotto un regime secolare che era radicato nella e sostenuto dalla classe media, suscettibile e religiosa.”
“Non mi spavento perché qualcuno grida ‘Arrivano gli islamisti, arrivano gli islamisti’” dice, prendendo in giro le persone spaventate da ogni possibile revival religioso. “Viviamo con loro da sempre. La nostra società è conservatrice da anni, un mostro patriarcale.”
Al tempo stesso T. è consapevole, in quanto attivista dei diritti umani, quanto il movimento religioso abbia sofferto sotto Mubarak. “Venivano imprigionati e torturati” dice dei Fratelli Musulmani. “Mente chi dice che ci siamo svegliati ora e gli islamisti sono i nemici. Il mio nemico principale sarà sempre l’esercito. Posso litigare con i Fratelli Musulmani ma non posso litigare con l’esercito.”
Hassan El Menyawi, del dipartimento di sociologia dell’Università di New York, ha fatto notare che il regime di Mubarak ha messo per anni l’una contro l’altra, con successo, la Fratellanza Musulmana e la comunità LGBT, scrivendo in un saggio del 2006: “Mentre i Fratelli Musulmani sono contro l’omosessualità e perciò hanno scarso interesse a formare un’alleanza con i gay, il gruppo dovrebbe essere consapevole che il suo antagonismo verso gli omosessuali viene utilizzato a beneficio del regime di Mubarak.”
El Menyawi lasciò l’Egitto dopo essere stato torturato per il suo attivismo a favore della causa LGBT. E per quanto riguarda il futuro? “Noi persone LGBT ci aspettiamo una gigantesca battaglia. Quello che mi secca è che non abbiamo una comunità. Non siamo uniti. Siamo solo dei gruppi sparsi” dice T.
Mentre può apparire improbabile l’alleanza tra attivisti LGBT e islamisti, si stanno certamente formando varie alleanze tra diversi gruppi. Mostafa Fathi è giornalista e caporedattore della radio Horytna.net, una stazione web radio il cui nome in arabo significa “La nostra libertà”. Pur non essendo gay Mostafa è un deciso sostenitore dei diritti LGBT e autore del libro “Nel mondo dei ragazzi”, che parla di un uomo che arriva a capire di essere gay; è probabilmente il primo libro apparso nel Paese il cui protagonista è gay e non si vergogna di esserlo.
Mostafa mostra un raro ottimismo. “Ora molti amici di Facebook dicono di essere gay, una cosa che non avrebbero fatto prima della rivoluzione” mi dice. Aperto Facebook, mi porta su una pagina chiamata Gay in Egitto, che, così dice, aveva organizzato una marcia a piazza Tahrir che si doveva tenere il 1 giugno 2011, chiamata “Il giorno egiziano dell’omosessualità”, ma che venne cancellata.
“Molti gay dicono che non è il momento giusto. Facciamolo tra un anno, o tra due anni” ma Mostafa non è d’accordo. “Sento che è molto importante parlare in questo momento in Egitto della questione omosessualità. Questo è il momento giusto. So che molte persone sono poco istruite, ma il momento è ora.”
* Michael Luongo è un giornalista freelance. Vive a New York e lavora soprattutto in Medio Oriente e America Latina. Ha scritto numerosi articoli su tematiche LGBT in Medio Oriente e Paesi musulmani, tra gli altri l’Iraq, l’Afghanistan, l’Egitto, Gaza e la Palestina, Israele.
Testo originale: Egypt’s fading LGBT movement