La chiesa cattolica deve imparare ad ascoltare le persone LGBT se vuole incontrarle
Articolo di padre Paul Keller CMF* pubblicato sul sito del mensile cattolico U.S. Catholic (Stati Uniti) il 24 giugno 2016, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Siamo ancora una volta testimoni di un devastante e orrendo omicidio di massa. Il 12 giugno 2016 un giovane e violento cittadino statunitense pesantemente armato e psicologicamente alterato, che professava l’odio verso le persone LGBT e fedeltà a un Islam radicale e violento, ha ucciso 49 persone e ne ha ferite altre 53. Questo tipo di sparatorie accadono regolarmente negli Stati Uniti: questa è la più recente e la più letale.
Molti hanno reagito con le solite dichiarazioni sul ricordare le persone uccise e i loro cari con pensieri e preghiere. Alcuni vescovi cattolici però hanno reagito alla sparatoria al Pulse, il locale gay di Orlando, in un modo che va oltre tutti questi sentimenti fin troppo famigliari. Questi vescovi sembrano voler adottare la visione pastorale, molto più inclusiva, di papa Francesco, una visione che mette in pratica la “cultura dell’incontro” verso chi la pensa in modo molto diverso da noi su determinati temi.
Il vescovo di St. Petersburg (Florida), Robert Lynch, ha invocato il bando per le armi da fuoco progettate per gli omicidi di massa e rifiutata come contraria allo spirito americano la chiusura delle frontiere ai musulmani. Ma non è tutto: il vescovo ha anche espresso il suo sconcerto al fatto che persone credenti possano esprimere odio e disprezzo per le persone LGBT, in modo da facilitare gli atti di violenza contro di esse.
Allo stesso modo l’arcivescovo di Chicago Blase Cupich ha deplorato la violenza armata e, riferendosi alle comunità gay e lesbica come “i nostri fratelli e sorelle”, ha detto “Noi siamo con voi”. Il vescovo di San Diego (California) Robert McElroy invece ha scritto: “Questa tragedia è un richiamo per noi cattolici perché combattiamo ancora più vigorosamente il pregiudizio antiomosessuale nella nostra comunità cattolica e nel nostro Paese”.
Per capire il vero impatto delle parole dei vescovi, prendiamo le altre dichiarazioni della Chiesa riguardanti le persone LGBT. Nel 1997 il Comitato sul matrimonio e la vita di famiglia, emanazione della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, approvò il documento Always Our Children: A Pastoral Message to Parents of Homosexual Children and Suggestions for Pastoral Ministers (Sempre nostri figli: messaggio pastorale ai genitori di figli omosessuali e suggerimenti per i responsabili della pastorale). Tale documento fu calorosamente accolto da più parti per il suo gentile tono pastorale; per lo stesso motivo venne criticato da altri, i quali volevano che il comportamento omosessuale venisse definito più rigorosamente e come seriamente peccaminoso.
Il Catechismo della Chiesa cattolica afferma: “Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. [I prelati cattolici solo molto recentemente e di rado hanno cominciato a usare i termini LGBT e gay e lesbiche.] Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione”. Lasciamo da parte per un momento il significato filosofico e tecnico dell’espressione “oggettivamente disordinata”: che cos’è una “ingiusta” discriminazione? Nel 1992 la Congregazione per la dottrina della fede emanò il documento “Alcune considerazioni concernenti la risposta a proposte di legge sulla non discriminazione delle persone omosessuali”. In questo documento viene condannata la violenza contro gay e lesbiche; tuttavia si accettano molte altre forme di “giusta” discriminazione contro le persone LGBT nell’edilizia pubblica, sul lavoro, nel mondo delle adozioni e nel servizio militare. Da queste considerazioni sembra che l’unico comportamento inaccettabile nei confronti delle persone LGBT sia l’aggressione violenta.
Le recenti dichiarazioni dei vescovi in seguito alla tragedia di Orlando sembrano andare oltre la mediocrissima e minimalista concezione della discriminazione offerta dalla Congregazione. Con un atto tipico di papa Francesco questi vescovi direttamente o indirettamente indirizzano alcune domande scottanti alla Chiesa. Cosa significa per noi considerare le persone LGBT “nostri fratelli e nostre sorelle”? In che modo i cattolici nutrono disprezzo per le persone LGBT? Dove possiamo trovare e come possiamo combattere il pregiudizio antiomosessuale che esiste nella comunità cattolica? I nostri vescovi dovrebbero fornirci delle linee guida sul pregiudizio e il disprezzo anti-LGBT che allignano all’interno della Chiesa cattolica. Continuare a tenere il silenzio non è moralmente coraggioso né pastoralmente responsabile.
Nessun essere umano normale dovrebbe avere problemi nel condannare degli atti di violenza causati dall’orientamento sessuale. Tuttavia, come comunità cattolica, dobbiamo fare molto di più che limitarci a condannare la violenza. Per esempio, in molti Stati è legale licenziare qualcuno perché gay, lesbica o transgender. Se crediamo che questo rappresenti una ingiusta discriminazione, perché la nostra Chiesa non è in prima fila per mettervi fine? Certamente non possiamo vantarci di condannare esplicitamente la violenza contro le persone LGBT: chi non lo fa? Non possiamo, come Chiesa, fare meglio? Non dovremmo essere attivi nel porre fine ad altre forme di ingiusta discriminazione?
Dato il modo in cui la Chiesa cattolica si è pronunciata sulle persone LGBT e data la sua posizione contraria all’accettabilità morale del comportamento e del matrimonio omosessuali, probabilmente non saremo una presenza gradita nella lotto contro la discriminazione, almeno all’inizio. Ma questa è una ragione in più per alzare la nostra voce. Se la Chiesa cattolica intende avere una qualche credibilità morale su temi quali il matrimonio omosessuale o i fini morali naturali dell’intimità sessuale, allora noi in quanto cattolici dobbiamo essere pronti a spendere tempo e denaro per combattere le ingiustizie subite dai nostri fratelli e le nostre sorelle LGBT. Non dobbiamo sentirci obbligati a cambiare o annacquare i nostri insegnamenti morali ma guardare e agire finalmente come Gesù Cristo nella nostra lotta per la giustizia. Questa è una delle lezioni più decisive che dovremmo imparare da papa Francesco.
L’unica esperienza che alcuni hanno della Chiesa cattolica è sentir dire che loro o il loro zio preferito, l’insegnante più gentile o il vicino più generoso sono “gravemente disordinati”, “intrinsecamente cattivi” oppure un “abominio”. Di fronte alla dignità, loro o dei loro cari, sminuita e insultata, queste persone, senza comprendere i termini tecnici della teologia morale, potrebbero concludere che è la Chiesa stessa ad essere “gravemente disordinata” o “intrinsecamente cattiva”. Per persuadere queste persone che non è così, la Chiesa cattolica dovrebbe essere più disponibile ad essere solidale e a lavorare in favore delle comunità che soffrono ingiustamente, anche quando non condivide le idee di quella comunità.
* Padre Paul Keller CMF è sacerdote cattolico e missionario clarettiano. Sta conseguendo un dottorato in teologia e filosofia della religione. La sua rubrica online, Smells like sheep (Odore di pecore) parla dei luoghi in cui convergono il ministero pastorale, la politica pubblica, la teologia e l’etica.
Testo originale: Catholicism and LGBT discrimination