La “Christus vivit” è un’occasione mancata per Papa Francesco?
Articolo di Robert Shine* pubblicato sul sito dell’associazione LGBT cattolica New Ways Ministry (Stati Uniti) il 4 aprile 2019, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
L’ultima esortazione apostolica di papa Francesco, che segue il Sinodo sui giovani tenutosi l’anno scorso, rivela l’intenzione del Pontefice di evitare di sporcarsi le mani con le molte questioni relative al mondo LGBTQ emerse durante lo storico incontro tra i vescovi e la gioventù cattolica.
L’esortazione post-sinodale, intitolata Christus vivit, contiene un solo riferimento all’omosessualità su circa 35.000 parole e solamente una manciata di riferimenti alla sessualità in generale. In una sezione dedicata a Desideri, ferite e ricerche dei giovani, sotto il paragrafo 81, papa Francesco scrive, citando la relazione finale del Sinodo: “I giovani riconoscono che il corpo e la sessualità sono essenziali per la loro vita e per la crescita della loro identità. Tuttavia, in un mondo che enfatizza esclusivamente la sessualità, è difficile mantenere una buona relazione col proprio corpo e vivere serenamente le relazioni affettive. Per questa e per altre ragioni, la morale sessuale è spesso «causa di incomprensione e di allontanamento dalla Chiesa, in quanto è percepita come uno spazio di giudizio e di condanna». Nello stesso tempo, i giovani esprimono «un esplicito desiderio di confronto sulle questioni relative alla differenza tra identità maschile e femminile, alla reciprocità tra uomini e donne, all’omosessualità»”.
Per quanto riguarda le questioni LGBTQ, Francesco non fa che ripetere il concetto, largamente criticato, della “colonizzazione ideologica”, secondo cui i Paesi ricchi del’Occidente vincolerebbero gli aiuti umanitari e allo sviluppo all’accettazione dell’ideologia LGBTQ.
Scrive il Pontefice sotto il paragrafo 78: “È vero che i potenti forniscono alcuni aiuti, ma spesso ad un costo elevato. In molti Paesi poveri, l’aiuto economico di alcuni Paesi più ricchi o di alcuni organismi internazionali è solitamente vincolato all’accettazione di proposte occidentali in materia di sessualità, matrimonio, vita o giustizia sociale. Questa colonizzazione ideologica danneggia in modo particolare i giovani. Nello stesso tempo, vediamo come una certa pubblicità insegna alle persone ad essere sempre insoddisfatte e contribuisce alla cultura dello scarto, in cui i giovani stessi finiscono per diventare un materiale “usa e getta””.
Nel resto dell’esortazione troviamo un altro paio di riferimenti alla sessualità, coerenti con la tradizionale dottrina eteronormativa cattolica. Nel leggere la Christus vivit sono rimasto fortemente deluso, perché trascura le questioni LGBTQ, ma non solo. Per capire a fondo l’occasione mancata di questa esortazione sui temi a noi cari, sarà utile un riassunto dell’anno passato e delle vicende del Sinodo.
Nel marzo 2018 circa 300 giovani si sono ritrovati a Roma e hanno pubblicato un documento con alcune proposte miranti ad essere un ausilio per la gerarchia. È un documento notoriamente esplicito nella richiesta fatta alla Chiesa di parlare di sessualità in modo franco e aperto. L’omosessualità vi viene menzionata due volte: si richiede una maggiore inclusione e si riconosce il fatto che i giovani cattolici sono divisi su tali questioni: “I giovani hanno molte domande sulla fede, ma desiderano risposte che non siano annacquate e che non utilizzino formulazioni prefabbricate. Noi, la Chiesa dei giovani, chiediamo che i nostri leader parlino in termini pratici di temi controversi come l’omosessualità e le questioni di genere, di cui i giovani già discutono liberamente, senza tabù”.
Attingendo in parte da questo documento, l’Instrumentum Laboris del Sinodo riconosce che “Alcuni giovani LGBT […] desiderano «beneficiare di una maggiore vicinanza» e sperimentare una maggiore cura da parte della Chiesa” e ammette che molti giovani non sono d’accordo con la dottrina cattolica sulle tematiche LGBTQ. Per la prima volta in assoluto è stato utilizzato il termine “LGBT” in un documento vaticano.
Mentre si avvicinava il Sinodo esplose la polemica per decidere se il termine “LGBT” sarebbe stato effettivamente utilizzato nella relazione finale. Alcuni vescovi erano a favore, altri contro, e alla fine il termine è stato lasciato fuori; in ogni caso, le questioni LGBTQ non hanno tenuto banco come è accaduto durante il Sinodo sulla famiglia.
Nel paragrafo 150 della relazione finale si invita a “una più approfondita elaborazione antropologica, teologica e pastorale” del corpo, dell’affettività e della sessualità (anche se sarebbe sintomo di riduzionismo “definire l’identità delle persone a partire unicamente dal loro «orientamento sessuale»”) e la necessità di accompagnamento pastorale per le “persone omosessuali”.
Durante il Sinodo si è parlato in modo fruttuoso delle questioni LGBTQ, e probabilmente il Papa ne ha tenuto conto nello scrivere la sua esortazione. I giovani hanno invitato in maniera decisa i vertici della Chiesa a studiare queste tematiche, e gli stessi padri sinodali ne hanno espresso il desiderio.
Forse la Christus vivit sarebbe stata l’occasione giusta, per papa Francesco, per rispondere agli appelli del Popolo di Dio e dire qualcosa di veramente chiaro e significativo sulle tematiche LGBTQ, di fissare dei paletti in mezzo a tanta ambiguità.
Ma Francesco ha deciso diversamente. Interrogato sul perché l’omosessualità e la questione femminile non abbiano avuto più spazio tra le 35.000 parole del documento, il cardinale Lorenzo Baldiserri ha dichiarato che l’esortazione andrebbe letta congiuntamente alla relazione finale del Sinodo. Lo stesso papa Francesco lo ammette nel preambolo, rimandando alla relazione finale e limitandosi a “recepire, nella stesura di questa lettera, le proposte che mi sembravano più significative” [n. 4].
Non siamo dentro la mente del Papa, e ciò che possiamo arguire dalla lettera è che le tematiche LGBTQ non sono tra quelle che Francesco considera “più significative”, nonostante i numerosi e insistiti inviti ad affrontarle in maniera seria e costruttiva. La Christus vivit ci lascia perciò con due ipotesi. Una è che papa Francesco semplicemente non è in grado di vedere ciò che vede la maggior parte dei cattolici, vale a dire che il genere e la sessualità sono tra le tematiche più significative, oggigiorno, per i giovani e la Chiesa.
L’altra ipotesi è che semplicemente per lui non è così, e che tali tematiche le considera assolutamente secondarie, da approcciare occasionalmente, e mai nella maniera decisa e profetica che molti fedeli vorrebbero sentire. Sono ambedue ipotesi non rassicuranti.
La Christus vivit avrebbe potuto essere lo sconvolgente culmine profetico di un processo senza precedenti nella vita della Chiesa; invece, salvo alcuni passi commoventi sulla capacità di piangere assieme ai giovani che soffrono, la lettera è davvero deludente. Non è però detta l’ultima parola.
L’esortazione è una delle tante voci di un attivissimo dibattito ecclesiale che certamente non si ferma qui. I cattolici continueranno a sollevare la questione LGBTQ nella nostra Chiesa, Papa o non Papa.
* Robert Shine è direttore associato di New Ways Ministry, per cui lavora dal 2012, e del blog Bondings 2.0. È laureato in teologia alla Catholic University of America e alla Boston College School of Theology and Ministry.
Testo originale: Why Did Pope Francis Nearly Omit LGBTQ Issues from His Post-Synod Exhortation?