La diocesi Torino, il carisma delle persone omosessuali e la pastorale. Intervista a Don Ermis Segatti
Intervista di Silvia Lanzi del 23 febbraio 2011
Si è già dato ampio spazio, anche su Gionata.org (e rimando agli articoli già pubblicati a riguardo), all’iniziativa presa dalla diocesi di Torino, sfociata nella pubblicazione del sussidio scritto da don Valter Danna “Fede e omosessualità” (editrice Effeta, 2009).
Ora, a distanza di poco più di un anno, don Ermis Segatti che con don Danna ha seguito, e segue questo progetto – mi ha concesso una breve intervista per fare un po’ il punto della situazione.
“Anzitutto” precisa don Ermis “l’iniziativa si deve fattivamente non tanto alla Curia di Torino, ma ad alcuni omosessuali credenti che, in occasione dell’ultimo Gay Pride (ndr era il 2006) chiesero di poter essere ascoltati dal cardinal Poletto.
Ne è nato un dialogo sfociato in un documento, curato dal responsabile della pastorale per la famiglia”.
Questo agevole opuscolo contiene una serie di indicazioni per una effettiva pastorale delle persone omosessuali.
“Persone che non sono malate, contro natura, ma che hanno una loro specifica sessualità che ha diritto di essere espressa, sempre che non si tratti di una sovrastruttura psicologica transitoria o ostentata devianza”.
Parole forti, queste di don Segatti, quasi di rottura. “No” dice lui “l’omosessuale veramente tale è innanzitutto persona, che come tale ha diritto di vivere pienamente anche questo suo aspetto”.
– Quindi la Chiesa è a favore o contro l’omosessualità?
“È riduttivo questo discorso. Contro. A favore. Che significa? Innanzitutto bisogna porsi un altro problema, quello dell’effettiva conoscenza della natura specifica della sessualità delle persone di cui si parla.
Bisogna ascoltare gli interessati, le loro esperienze e il loro vissuto, per andare oltre i luoghi comuni che rendono impossibile una visione serena e priva di preconcetti. Questo è il primo passo da fare. Dialogo sì, ma prima di tutto conoscenza, e cultura”
Soprattutto su queste ultime insiste don Segatti. Perché il diverso è visto assai spesso e comunemente come esotico e più spesso fa paura.
Conoscere vuol dire dissipare quella nebbia che, a furia di cliché e pregiudizi, si è addensata intorno agli omosessuali.
Significa riportarli alla loro essenza – l’essere persone – e non semplicemente etichettarli rispetto a quale declinazione essi riscontrano in se stessi come espressione dell’amore, sempre, anche qui, escluse violenze e perversioni a danno altrui.
Queste sono parole piene di speranza. È bello anche che un’esperienza così si sia instaurata a livello, per così dire “ufficiale” – anche se le uniche esperienze di cui sono a conoscenza sono solo quelle di Torino e Cremona (con il gruppo “Alle querce di Mamre”).
Su questa scia chiedo a don Segatti se sia possibile un disvelamento nella comunità cristiana a noi più prossima, vale a dire la parrocchia, nella quale molti omosessuali di ambo i sessi, prestano servizio in vario modo e a vario titolo.
Don Ermis dice che è un argomento molto delicato da affrontare.
“Molto dipende dalle relazioni instaurate. Non dire giusto per fare coming out. Ma anche in questo caso bisogna valutare molto attentamente le variabili in gioco e tener previamente ben conto di quale è il livello di ricezione seria di questa realtà”
– Ma come?
“Non sbandierando a destra e a manca la propria omosessualità, ma nello stesso tempo senza avere paura che essa possa emergere.
Dando testimonianza concreta della propria fede, facendosi conoscere e apprezzare per prima cosa come persone e poi entro questa dimensione aiutare la comunità ad accogliere la propria identità sessuale”.
– Qual è il carisma specifico delle persone omosessuali?
“Di esprimere nella loro sessualità tutta la ricchezza delle relazioni e dell’amore. Di essere, attraverso se stessi, realizzate pienamente come persone”.
“Fantastico!” mi viene da pensare. E poi, l’ultima domanda: “Perché questa sua – e non solo sua – visione ‘pionieristica’ (brutto termine ma che rende l’idea) considerazione dell’omosessualità accanto ad una assolutamente più problematica all’interno della stessa Chiesa?
“Si tratta, senza dubbio, di una carenza che si rispecchia e rispecchia, purtroppo, modi di pensare diffusi, anzi largamente maggioritari nel vivere sociale corrente”
– L’antidoto?
“La conoscenza e la capacità di incontrare le persone per ciò che sono. Bisogna, criticando gli eccessi plateali della omosessualità ostentata, nefasti innanzitutto per la dignità degli omosessuali , far capire la normale serietà della cosa, al di là delle frasi fatte”
Quindi testimonianza e basso profilo, ovvero gutta cavat lapidem non vi sed saepe cadendo.
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