Perchè l’integralismo cristiano fomenta l’omofobia
Articolo di Alex Seitz-Wald pubblicato sul sito del National Journal (Stati Uniti) il 23 gennaio 2014, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Molto prima che il presidente Obama scegliesse tre atleti gay come guida della delegazione statunitense alle Olimpiadi di Sochi, molto prima che il presidente Vladimir Putin dichiarasse la Russia la nuova “bussola morale” mondiale, molto prima che chiunque in Occidente sentisse parlare della legge sulla “propaganda omosessuale”, c’era un americano che aveva già considerato tutto, contribuendo a inventare la questione.
“Il mio più grande successo, in termini di strategia personale, è la Russia” dice Scott Lively dal suo nativo Massachusetts, dove quest’anno si è impegnato in una donchisciottesca corsa per il governatorato.
Lively, che ha una causa pendente alla Corte federale per presunti crimini contro l’umanità a causa del suo impegno nel combattere “il programma gay” in Uganda, diversi anni fa ha guidato un tour attraverso 50 città dell’ex Unione Sovietica per mettere in guardia gli abitanti di laggiù sulla cospirazione gay internazionale.
Il suo messaggio e la soluzione da lui proposta (criminalizzare la difesa dei diritti LGBT) sono stati ricevuti a braccia aperte negli incontri cittadini con gli amministratori locali, anche a San Pietroburgo, che ha scritto una lettera aperta al popolo russo, divenendo una delle prime città del Paese a mettere fuori legge la “propaganda omosessuale”, aprendo la via alla legge nazionale.
“Ero alcolizzato e tossicodipendente quando sono stato salvato nel 1986, e da allora il mio obiettivo è promuovere il punto di vista biblico per quanto riguarda il matrimonio e la sessualità.” Lively è divenuto avvocato, scrittore e difensore della causa, ma ha rinunciato agli Stati Uniti quasi dieci anni fa, quando perse una causa contro una legge antidiscriminazione.
“Cominciai a rivolgermi altrove, ad altri Paesi del mondo che hanno ancora una cultura conservatrice per metterli in guardia su come la Sinistra abbia fatto passi avanti negli Stati Uniti, in Canada e in Europa, e per aiutare a innalzare una barriera. L’obiettivo è creare una coalizione di nazioni morali per far arretrare il programma della Sinistra nel mio Paese” spiega senza nessuna emozione.
Per Lively e gli altri componenti della piccola ma incredibilmente influente banda di attivisti statunitensi che passano il tempo a girare il mondo per incontrare legislatori stranieri, pronunciare discorsi, tessere alleanze, staccare assegni e fomentare la reazione contro il cosiddetto “programma internazionale per i diritti gay”, questa è niente di meno che una guerra per il destino della civiltà umana. E stanno vincendo in gran parte del mondo.
Solo negli ultimi mesi del 2013 la Suprema Corte dell’India ha reintrodotto la criminalizzazione dell’omosessualità, la Nigeria ha messo fuori legge la difesa dei diritti LGBT (il sesso omosessuale era già punibile con la reclusione fino a 14 anni) e l’Uganda ha approvato una versione annacquata della famigerata legge “uccidi-gay” che prevede l’ergastolo, e in certi casi la pena capitale, per “omosessualità aggravata”. Le relazioni omosessuali sono illegali in almeno 77 Paesi: il matrimonio omosessuale è legale solamente in 16 Paesi.
Mentre la pressione per i diritti gay ha permesso notevoli passi in avanti in Occidente, la situazione è molto diversa nella maggior parte dei Paesi in via di sviluppo. I governi mediorientali continuano a minacciare i gay con la pena di morte. Mentre in parte dell’America Latina e dell’Asia Orientale ci sono stato progressi, nell’Europa dell’Est, in Africa, in India e nei Caraibi gli omosessuali stanno perdendo terreno. In quasi tutti questi Paesi i veterani americani delle guerre culturali lavorano dietro le quinte.
“Se grattiamo la superficie del regresso in atto nei molti Paesi nei quali è sempre più difficile essere LGBT, troveremo molti americani” dice Ty Cobb, direttore dell’impegno globale di Human Rights Campaign [Campagna per i diritti umani], che ora sta lavorando per combattere tali influenze.
Mentre negli Stati Uniti perdono una battaglia dopo l’altra, gli attivisti conservatori hanno trovato all’estero orecchie attente, partner molto disponibili e un modo per reinventarsi. Per persone come Lively, le cui vedute sarebbero del tutto inaccettabili negli Stati Uniti – nel suo libro “The Pink Swastika” [La svastica rosa] spiega l’Olocausto con il fatto che la maggior parte dei gerarchi nazisti erano omosessuali – , tutto questo è eccitante.
“Era una cosa davvero bizzarra” dice Lively ricordando la calorosa accoglienza da lui ricevuta durante il primo tour russo quasi dieci anni fa. I maggiori gruppi conservatori americani tengono alla larga Lively e i suoi soci e non sostengono più i suoi sforzi per criminalizzare le relazioni omosessuali dopo la decisione della Suprema Corte del 2003 di abolire le leggi texane sulla sodomia.
“Ci sono i gruppi molto conservatori che combattono il programma dei diritti gay in questo Paese, e poi ci sono i gruppi ancora più a destra, che combattono nel resto del mondo” dice Warren Throckmorton, professore all’ateneo evangelicale Grove City College in Pennsylvania, che è critico su questo programma internazionale.
Ma non pensiate che questi gruppi di estrema destra siano tutti così minoritari come, per esempio, la Westboro Baptist Church [Chiesa battista di Westboro]. Durante il suo processo, Lively è stato rappresentato legalmente dal Liberty Counsel [Consiglio della libertà], un gruppo legato alla conservatrice Liberty University fondata da Jerry Falwell.
“Questa causa contro il reverendo Scott Lively è un tentativo grossolano di utilizzare una vaga legge internazionale per ridurre al silenzio e criminalizzare dei cittadini americani che parlano di omosessualità e tematiche morali” dice Mathew Staver, fondatore e presidente di Liberty Counsel. Alcuni siti di destra come Accuracy in the Media e WND hanno pubblicato gli editoriali di Lively e Bryan Fischer della conservatrice American Family Association [Associazione americana per la famiglia] ha citato il suo libro. E Lively non è certamente solo.
“Non è il più estremista, è semplicemente molto visibile” dice Pam Spees, avvocato dell’organizzazione newyorchese Center for Constitutional Rights [Centro per i diritti costituzionali], che ha condotto la causa contro Lively per conto di un gruppo LGBT ugandese. Almeno mezza dozzina di organizzazioni americane sono specializzate in questioni LGBT internazionali, difendono le leggi contro la sodomia in vari Paesi o appoggiano la criminalizzazione dei diritti LGBT. Persino alcuni gruppi locali si dedicano alle questioni internazionali.
Brian Brown, presidente della National Organization for Marriage [Organizzazione nazionale per il matrimonio], il più importante gruppo contrario al matrimonio omosessuale negli Stati Uniti, la scorsa estate ha parlato dinnanzi al comitato parlamentare russo responsabile della legge sulla propaganda gay, pochi giorni prima che questa passasse alla Duma.
“Io penso che questa visita, questo invito a visitare la Russia, aiuterà lo sviluppo di questo movimento in tutto il mondo” ha detto ai legislatori. Fra le altre cose, Brown ha sostenuto una legge contro le adozioni da parte di persone LGBT, approvata cinque giorni dopo. Uno dei più grandi gruppi nell’arena è Alliance Defending Freedom [Alleanza per la difesa della libertà], che dalla sua sede in Arizona sostiene di lavorare in 31 Paesi con un budget annuale di 30 milioni di dollari e uno staff di 44 avvocati e 2.200 procuratori alleati.
Gruppi più centristi, come American Center for Law and Justice [Centro americano per la legge e la giustizia], fondato dal televangelista Pat Robertson come contraltare alla American Civil Liberties Union [Unione americana per le libertà civili], hanno impiantato sedi in Africa ed Europa dell’Est che, tra le altre cose, combattono l’uguaglianza per le persone LGBT.
Il Family Research Council [Consiglio per le ricerche sulla famiglia] invece ha speso 25.000 dollari per fare pressione sul Congresso statunitense “per eliminare le radicali ed errate dichiarazioni che il comportamento omosessuale sia riconosciuto in tutto il mondo come diritto umano fondamentale” in una risoluzione bipartisan che condanna la legge anti-gay ugandese.
Il Family Research Council chiarisce di non sostenere questa legge, né di approvare la pena di morte per i gay, ma in un messaggio radiofonico, poi cancellato dal sito web dell’organizzazione, il presidente Tony Perkins ha criticato la condanna da parte di Obama della legge ugandese: “Signor presidente, fino a che i vostri sforzi per appoggiare una condotta morale che protegga il prossimo, e in particolare i più vulnerabili, saranno caratterizzati dagli attacchi al prossimo, la civiltà continuerà a ignorarci” ha detto Perkins, che non ha voluto commentare la vicenda.
Nei luoghi dove la discriminazione, se non la violenza, contro i gay è non solo tollerata, ma ben accetta, le folle hanno bevuto i messaggi degli americani e gli americani sono stati pronti a propinarglieli, senza contare il denaro incassato da queste congregazioni e riportato a casa.
Cento anni fa c’era solo una decina di milioni di cristiani in Africa. Oggi sono 500 milioni. Da anni i missionari evangelicali investono in Uganda, soprattutto da quando il presidente Yoweri Museveni ha dichiarato che il Paese è al servizio di Dio e la first lady ha cominciato a frequentare la Chiesa capeggiata da Robert Kayanja, che ha paragonato l’omosessualità all’omicidio.
“Tutto quello che vedete qui è frutto del lavoro degli americani” dice Kayanja a Roger Ross Williams nel documentario “God Loves Uganda”, mentre siede in una lussuosa chiesa costruita con denaro americano (il pastore è uno degli uomini più ricchi del Paese).
Kapya Kaoma è un sacerdote anglicano dello Zambia. Quando ha cominciato a frequentare gli incontri evangelicali e le librerie cristiane in vari Paesi africani per la sua ricerca di dottorato ha scoperto qualcosa di sorprendente. “Il loro linguaggio cristiano è molto più americano che africano. Ovunque si vada, in Zambia, in Zimbabwe, in Uganda, in Nigeria… ovunque i conservatori siano vincenti, hanno i tic linguistici tipici degli americani.”
David Bahati, il parlamentare ugandese autore della famigerata legge anti-omosessualità, ha dichiarato al New York Times di averne avuto l’idea dopo aver parlato con dei membri della Fellowship [Fratellanza], un potente gruppo con sede ad Arlington in Virginia, molto inserito negli ambienti politici e diplomatici statunitensi (ma l’organizzazione ha preso le distanze da Bahati).
Anche Lively è molto impegnato in Uganda, e un gruppo LGBT di quel Paese gli ha fatto causa beneficiando di una legge che permette alle vittime non americane di abusi dei diritti umani di chiedere un risarcimento nei tribunali degli Stati Uniti.
Durante il dibattito sulla legge, un tabloid ugandese ha rivelato i nomi di cento gay con un titolo cubitale che recitava “IMPICCATELI”. Poche settimane dopo David Kato, noto come “il primo ugandese apertamente gay”, che aveva vinto una causa per diffamazione contro il giornale, viene ucciso nella sua abitazione.
Il rivale di Kayanja, il pastore Martin Ssempa, un giorno diede al redattore di un giornale locale una copia del libro di Lively sui nazisti gay, secondo una comunicazione diplomatica statunitense pubblicata da WikiLeaks. Lively liquida la causa intentatagli come “una cosa poco seria”, dicendo che l’idea che lui, un americano bianco, sia il responsabile di una legge ugandese, è “razzista”.
Tuttavia la causa va avanti: lo scorso agosto, con una decisione di 79 pagine, il giudice di corte distrettuale Michael Ponsor ha deciso che i querelanti hanno presentato “asserzioni e fatti dettagliati a sostegno” del fatto che Lively “abbia delle responsabilità individuali nell’aiutare e spalleggiare l’esecuzione di un crimine contro l’umanità”. Spees afferma di sperare che la decisione stabilisca un precedente per poter citare altre persone.
“Non è che questi vanno semplicemente in giro a blaterare delle loro idee e della Bibbia. Questa è gente che ha un programma molto preciso per negare dei diritti fondamentali. E se lo facessero qui a casa loro, avrebbero del filo da torcere.”
I conservatori americani sono molto coinvolti anche in uno dei casi di più alto profilo: difendono infatti il diritto del governo del Belize di mantenere le sue leggi sulla sodomia. Il piccolo Paese anglofono riveste un’importanza spropositata perché ambedue le parti lo vedono come un mezzo per far vacillare le leggi nel resto dei Caraibi (una delle regioni più oppressive del pianeta per le persone LGBT) e in altre ex colonie britanniche.
L’80% dei 53 Paesi del Commonwealth proibiscono il sesso omosessuale, e dato che i loro sistemi legali e i loro codici penali sono tutti simili tra loro, riformarne uno potrebbe stabilire un precedente per tutti gli altri. I sistemi legali delle piccole nazioni caraibiche sono sorprendentemente intrecciati tra loro e dodici membri della Comunità Caraibica hanno una corte comune di ultima istanza, la Corte Caraibica di Giustizia.
”La cosa più importante che la gente deve capire è la connessione tra l’abolizione delle leggi sulla sodomia e il matrimonio omosessuale” dice Bradley Abramson, consigliere di Alliance Defending Freedom.
“Questa è una porta al matrimonio omosessuale. Se riusciranno ad abbattere le leggi sulla sodomia non mancherà che un piccolo passo, pochi centimetri, al matrimonio omosessuale.” Dall’altra parte della barricata troviamo Caleb Orozco, fondatore del più grande gruppo LGBT del Belize.
Sta portando avanti una causa per abolire le leggi sulla sodomia e ha ricevuto talmente tante minacce che i suoi avvocati temono che venga assassinato prima che il processo cominci.
Nessun altro è stato disponibile ad uscire allo scoperto e solo poche settimane fa un uomo gay è stato picchiato a una festa e un orecchio gli è stato mozzato. Quando l’uomo si è recato dalla polizia, sanguinante e stordito, i poliziotti gli hanno riso in faccia.
“Gli evangelicali del Belize non si comportano certo così, sono gli americani li corrompono” ci dice Orozco al telefono. “Scelgono piccoli Paesi che poco si curano dei diritti umani per raccogliere consensi. È una vera e propria strategia.”
Nel 2011 più di 2.200 leader evangelicali di tutto il mondo si sono riuniti a Città del Capo in Sudafrica e, per quanto riguarda le prospettive ottimistiche sul loro movimento, hanno constatato un grosso divario tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo. La maggior parte dei leader del Nord del mondo hanno constatato che gli evangelicali stanno perdendo terreno nei loro Paesi.
Gli americani sono stati particolarmente pessimisti: secondo l’82% la loro influenza sta declinando, mentre il 58% dei leader del Sud del mondo hanno affermato di essere sempre più forti e tre quarti di essi hanno predetto un ulteriore avanzamento di lì a cinque anni.
L’omofobia nei Paesi in via di sviluppo non l’hanno certo inventata gli americani. In Nigeria, per esempio, un sondaggio rivela che il 98% degli abitanti disapprova l’omosessualità, e in Kenya questo dato è ancora maggiore: 99%. I gay non hanno mai avuto vita facile in quei luoghi, ben prima che arrivassero gli americani.
Ma costoro offrono una ragione per risolvere brutalmente il problema solleticando un nervo nazionalistico che altrimenti sarebbe rimasto coperto. La maggior parte dei Paesi in via di sviluppo considera l’omosessualità un problema importato dall’Occidente e la sua legittimazione una insidiosa forma di neoimperialismo culturale.
I cittadini di questi Paesi si guardano attorno e non vedono nessun gay perché le leggi e le norme culturali li tengono nascosti, così tutto ciò che sanno dell’omosessualità proviene spesso da fuori.
“Gli africani sono d’accordo nel denunciare l’omosessualità come complotto postcoloniale; la loro omofobia è tanto un’espressione di resistenza all’Occidente quanto una dichiarazione sulla sessualità umana” scrive Kaoma in un rapporto di Political Research Associates [Soci per la ricerca politica], un gruppo liberal con sede in Massachusetts che è in prima linea nel seguire l’opera estera dei conservatori americani sulle tematiche LGBT.
Non è difficile capire questo ragionamento. Il primo Gay Pride del Kenya si è tenuto all’ambasciata statunitense a Nairobi, dato che l’amministrazione Obama ha dichiarato che l’avanzamento dei diritti LGBT è “importantissimo… per la realizzazione dei nostri obiettivi di politica estera” come ha riferito un portavoce dell’ambasciata. Quando Obama ha difeso i diritti gay durante la visita in Senegal dello scorso anno, i leader africani si sono uniti nel rifiuto.
“Gli altri credano in quello che vogliono, è affar loro. Noi crediamo in Dio” ha detto il vicepresidente kenyota William Ruto. L’arcivescovo cattolico di Nairobi ha detto ad Obama di “scordarsi, scordarsi e scordarsi” che l’omosessualità possa essere decriminalizzata nel continente, facendosi beffe degli americani che “vogliono diventare i nostri maestri e dirci dove dobbiamo andare.”
Gli attivisti americani che lavorano all’estero hanno giocato con queste paure, provenendo da un posto dove tante voci – i media, il governo, il mondo accademico, Hollywood – sono state cooptate nel programma omosessuale, come loro lo concepiscono.
“La vera sfida era convincerli che questo poteva accadere nel loro Paese” dice Lively. La minaccia non è che le coppie gay faranno sesso e si sposeranno: la minaccia è che emargineranno il cristianesimo, disgregheranno l’ordine sociale e, cosa più importante, adescheranno i loro figli. “Gli omosessuali europei vengono in Africa per adescare” ha detto il presidente ugandese Museveni. Tutto questo proviene dal copione di Lively.
“Non fosse stato per questo argomento [l’adescare bambini] non avrebbe avuto successo” dice Kaoma. “Stanno approvando queste leggi perché vogliono proteggere i loro figli dal programma internazionale gay.”
I difensori dei diritti LGBT guardano con grande ironia a queste paure perché le leggi di tutti i Paesi del Commonwealth, inclusi Uganda e India, sono dei relitti della legislazione coloniale britannica contro il sesso anale.
“Dobbiamo ancora trovare un modo di instaurare una discussione sui diritti fondamentali che non sia gravata dal fardello del colonialismo, dell’imperialismo economico, dell’imperialismo culturale” deplora Mark Bromley, presidente del Council for Global Equality [Consiglio per l’uguaglianza globale], un gruppo LGBT con sede a Washington.
Ecco perché la recente decisione della Suprema Corte indiana sulla costituzionalità della legge sulla sodomia è un passo indietro. “È importante che, nel dialogo globale, noi diciamo che questa non è una questione solo americana ed europea” aggiunge Bromley.
In Russia, l’atteggiamento fieramente omofobo e supermascolino di Putin è un modo di affrontare l’Occidente e fomentare il nazionalismo. L’omosessualità è stata decriminalizzata nel 1993 e le persone LGBT hanno visto alcuni progressi in questioni di minor rilievo come la legalizzazione delle donazioni di sangue da parte di uomini gay e il diritto di cambiare legalmente sesso.
Ma a partire dal 2006, mentre il Paese ha visto un ritorno sulla ribalta della Chiesa ortodossa perseguitata sotto il regime sovietico, un certo numero di regioni ha approvato delle leggi che proibiscono la “propaganda”delle “relazioni sessuali non tradizionali” con i minori.
Tali leggi sono spesso scritte in modo così ampio che è molto difficile discutere o difendere i diritti gay. Da allora le cose sono andate sempre peggio per le persone LGBT russe: il consiglio municipale di Mosca nel 2012 ha approvato un bando di 100 anni contro le sfilate del Gay Pride; il giornalista TV Anton Krasovskij nel 2013 è stato licenziato dopo il suo coming out; il parlamento ha approvato una versione nazionale della legge sulla propaganda che era stata respinta a larga maggioranza nel 2009.
Quando i gay russi hanno cercato di organizzare delle dimostrazioni hanno subito attacchi violenti da parte delle bande antigay e anche dalla polizia, che spesso arresta gli attivisti LGBT senza toccare i violenti contromanifestanti.
Il governo di Putin incoraggia queste reazioni: tale forzato conservatorismo sociale è utile per unire la sua base e costruire il suo potere internazionale. “Putin sta praticamente dicendo che essere a favore della Russia significa essere anti-LGBTQ e che essere a favore delle persone LGBTQ significa essere anti-Russia” dice Cole Parke, uno studioso dei diritti LGBTQ in Russia.
Da nessuna parte questo è più visibile che nella sfida a distanza tra Occidente e Oriente in Ucraina, un Paese spaccato in due tra chi vuole unirsi all’Europa e chi vuole mantenere i legami con la Russia.
Gli attivisti pro-Russia spandono la paura della decadenza morale se Kiev si unisse all’Occidente e, mentre le proteste di massa bloccano la capitale, compaiono sinistri manifesti che avvertono che “l’unione con la Comunità Europea ci porterà il matrimonio omosessuale.”
Il presidente del comitato affari esteri della Duma con un tweet ha affermato che la vicinanza con l’Europa significherebbe “assistere al Gay Pride invece che alla sfilata del Giorno della Vittoria” per le strade di Kiev, mentre i dimostranti pro-Russia marciano con cartelli che recitano “L’omosessualità è una minaccia alla sicurezza nazionale.”
Nel frattempo, nella non lontana Lettonia, Lively si è unito con il leader di una megachiesa locale (un pastore di Seattle) e il proprietario di alcuni media in lingua russa per fondare un gruppo chiamato Watchmen on the Walls [Sentinelle sulle mura], attivo nell’Europa postsovietica e che crede “sia in atto una guerra tra cristiani e omosessuali”.“Putin sta cercando di costruire un movimento non-allineato e orgogliosamente omofobo, che si oppone all’omofobia moderata alle Nazioni Unite” spiega Bromley, che fa notare come il diritto di veto della Russia al Consiglio di Sicurezza restringa le speranze di progressi all’ONU.
Cacciati da gran parte del Nord America, dell’Europa, dell’Australia e dell’America Latina, i conservatori sociali statunitensi stringeranno alleanze dove potranno, pur ammettendo che tali legami sono lungi dall’essere perfetti. Da Putin a Robert Mugabe nello Zimbabwe (dove l’American Center for Law and Justice ha aperto una sede che si è opposta alla menzione dei diritti LGBT nella nuova costituzione) gli americani mettono le loro forze al servizio di chiunque voglia lavorare con loro.
“Alle Nazioni Unite cerchiamo alleati dappertutto. Non approviamo il trattamento dei cristiani da parte dei Paesi islamici, ma al tempo stesso loro ci sostengono sulla questione del matrimonio e su quella dell’aborto” sostiene Abramson della Alliance Defending Freedom.
È facile scherzare sull’”alleanza tra battisti e burkha”, che però è sicuramente efficacissima nello sconfiggere le dichiarazioni internazionali a favore dell’aborto e dei diritti gay. Austin Ruse, capo del Catholic Family and Human Rights Institute [Istituto cattolico per la famiglia e i diritti umani], che lavora soprattutto alle Nazioni Unite e si oppone alla criminalizzazione dell’omosessualità pur combattendo il matrimonio omosessuale, è dello stesso avviso.
“Per quanto riguarda l’identità sessuale, la nostra coalizione è davvero enorme”, indicando tra 80 e 100 Paesi alleati, a seconda del tema in esame. Il grande punto interrogativo è cosa farà la Cina. Pechino per lo più si astiene dai dibattiti internazionali sull’identità sessuale; tollera i gruppi LGBT in casa sua finché non fanno troppa politica, ma se dovesse rovesciare il suo atteggiamento la situazione potrebbe cambiare di molto.
Stessa cosa per le maggiori denominazioni cristiane, in cui i conservatori americani si alleano spesso con i conservatori africani e di altre parti del mondo sulle questioni sociali chiave, contro i loro compatrioti.
Dopo che Gene Robinson nel 2003 è stato eletto primo vescovo apertamente gay della Chiesa Episcopale, almeno 30 congregazioni hanno giurato fedeltà all’arcivescovo anglicano del Kenya per evitare di sottostare alla Chiesa statunitense.
I conservatori americani comprendono che essere associati a questi Paesi non è una grande pubblicità, ma insistono sul fatto di “odiare il peccato e amare il peccatore”, come recita l’adagio. “Davvero non siamo mostri” dice Ruse, ”non vogliamo far del male a nessuno”.
In effetti hanno tutti preso le distanze dalla legge antigay ugandese e dalla pena di morte. Lively, forse il più estremista del mazzo, definisce anche la misura dell’ergastolo troppo severa e afferma: “È il mio più grande fallimento”. Ma per i difensori dei diritti LGBT questo non è abbastanza.
Anche se i conservatori statunitensi non appoggiano leggi che danneggino gli omosessuali, nei luoghi dove costoro lavorano le persone LGBT subiscono violenze. “Il sangue dei gay africani in luoghi quali l’Uganda e altre parti del mondo sporca le mani dell’estrema destra americana” dice Kaoma.
“Quando mentono alla gente, quando dicono agli ugandesi che esiste un gruppo pieno di soldi che vuole mettere le mani sui loro bambini e che devono difendersi da questo movimento, allora gli ugandesi faranno ciò che vorranno della legge e non si sa cosa ne verrà fuori.”
Testo originale: Evangelicals Are Winning the Gay Marriage Fight–in Africa and Russia