La vicenda di Eluana. Storia di uno scontro tra diversi paradigmi morali
Sono passati cinque mesi dalla conclusione drammatica del caso di Eluana, e non se ne parla più. Eppure aveva raggiunto un livello di coinvolgimento emotivo, di aspre e feroci polemiche, di scontro istituzionale (il governo contro la magistratura e contro il capo dello stato) raramente visto in Italia.
Ora che le grida sono finite, forse è il momento più adatto per leggere questo denso e pacato libro di Maurizio Mori (Il caso Eluana Englaro, 2008), importante filosofo e studioso di bioetica dell’università di Torino.
Mori non si stupisce del fatto che Eluana sia diventata un simbolo, un caso cruciale che ha messo in moto grandi emozioni e passioni incontrollate. Tocca infatti le nostre concezioni profonde : la scelta e la possibilità dell’uomo di intervenire in meccanismo considerati sacri : il processo della vita e della morte.
Viene rotto un tabù millenario: la morte “naturale” e la nascita “naturale”. Oggi i provvidenziali progressi della medicina e della scienza rendono la nascita e la morte sempre più processi influenzati dall’uomo e orientabili dal suo controllo e dalla sua responsabilità.
Ma esiste oggi la “morte naturale”?
Cos’è la “morte naturale” tanto auspicata della chiesa cattolica? Quando cessa il battito del cuore? Ma il cuore può essere espiantato e riprendere a battere. Quando cessa il respiro? Respirazione assistita, alimentazione artificiale, dialisi: quasi ogni processo vitale può essere riprodotto da una “macchina”.
“Dal momento in cui un malato entra in un servizio di rianimazione convenientemente equipaggiato, si potrebbe quasi dire che gli diventa difficile morire” scrive Umberto Veronesi, il grande oncologo che di sicuro conosce l’argomento.
E’ sempre più problematico sostenere quello che Mori chiame il paradigma vitalistico ippocratico, cioè l’insieme delle convinzioni profonde e spesso inconsapevoli che hanno determinato finora le nostre scelte morali per quanto riguarda la vita.
Secondo questa concezione tradizionale la “natura” regola in maniera immodificabile la vita con delle leggi sacre e immutabili ( per la chiesa stabilite da Dio e solo dal magistero ecclesiale correttamente interpretate). La natura stabilisce “da sé” come e quando morire e nascere; interferire con questo disegno misterioso è “contro natura”, è rompere l’ordine divino dell’universo è bestemmia.
Secondo questo paradigma il medico deve solo seguire le leggi della natura e “promuovere la vita”: la “vita per la vita” si potrebbe dire, perché la vita è un sacro mistero di cui il medico, novello Ippocrate, è il sacerdote; la vita non è un fenomeno biologico, analizzabile dalla scienza e condizionabile dalle scelte umane.
Da questo punto di vista il medico non avrebbe neanche l’obbligo di consultare il paziente per stabilire la terapia, deve sempre “promuovere la vita” perché la vita è buona, sacra, satura di essere ( vitalismo) indipendentemente da chi la vive e dalle sue convinzioni.
In questo senso la “vita non è disponibile” come ripete la chiesa cattolica., perché il senso della vita non è dato da chi la vive, ma dal disegno divino della natura, di cui la chiesa è l’unica interprete autentica.
La pratica del consenso informato alle terapie come cruciale attacco alla “indisponibilità della vita”
Questo paradigma vitalista tradizionale male regge al confronto con le conoscenze scientifiche e le tecniche mediche. Esse infatti hanno profondamente modificato la nostra vita e ci permettono scelte nel passato impensabili ( trapianti, ingegneria genetica, medicina ricostruttiva, fecondazione assistita, rianimazione).
Questa concezione sacrale della vita naturale, però, affonda le radici nei nostri simboli profondi, nella tradizione millenaria, nelle convinzioni religiose di molti cattolici. Non tutte le chiese cristiane, è utile notare, sono allineate nella posizione d’intransigenza assoluta del cattolicesimo e anche all’interno di esso ci sono rilevanti differenziazioni.
Un cambio di paradigma comporta sempre un profondo senso di smarrimento, di perdita di certezze consolidate e rassicuranti, e questo potrebbe motivare, ma non giustificare, reazioni scomposte, impaurite e violente. Il primo colpo al paradigma vitalistico è stato assestato dalla pratica, ormai consolidata, del consenso informato alle terapie mediche.
Essa implica, ovviamente, la possibilità, anzi il diritto, del paziente di scegliere e anche di rifiutare le cure mediche. Il medico deve seguire la volontà del paziente perché è lui a decidere in ultima istanza sulla sua vita. Una rivoluzione: è il soggetto che ha disponibilità delle propria vita e su di essa deve prendere decisioni responsabili.
Questa posizione, per altro garantita dalla nostra costituzione, è infatti aspramente contestata dai vitalisti: secondo loro le cure non possono essere rifiutate e non esiste un diritto a non essere curato.
Vita biologica e vita biografica: il paradigma bioetico. L’uomo dà valore alla vita, non la natura
Il paradigma bioetico, come lo chiama Mori, capovolge quello tradizionale: la vita biologica è, di per sé, neutra: un insieme di processi chimico-fisici in sé né buoni, né cattivi; è l’uomo che dà ad essa valore e senso. L’uomo decide se e come vuole essere curato con un consenso informato, l’uomo controlla la propria fecondità con una genitorialità responsabile e la procreazione assistita, l’uomo condiziona le modalità della propria morte con il testamento biologico.
Tutte queste decisioni nel passato non potevano essere prese perché non c’erano le conoscenze e le tecniche necessarie. Ora è possibile. Sono nuovi orizzonti di responsabilità e di libertà che si aprono.
Ma nello stesso tempo viene demolita l’idea della sacralità della vita biologica, l’idea di una natura che determina la nostra vita con leggi esterne a noi e intoccabili ( non negoziabili). Sembra, per qualcuno, che crolli l’ordine divino delle cose, come quando Copernico ipotizzò il sole fisso e al centro dell’universo e la terra periferica e in moto attorno al sole.
Eluana come caso critico nello scontro di paradigmi morali
La magistratura italiana ha riconosciuto il diritto di Eluana, tramite il suo tutore legale, il padre Beppino Englaro, di rifiutare il trattamento sanitario che per 15 anni l’aveva legata a uno Stato Vegetativo Permanente ( SVP), uno stato di “non vita” che lei esplicitamente non voleva.
Rappresenta il riconoscimento da parte dei giudici che il valore della vita non è in un parametro puramente biologico o in una funzione organica disancorata totalmente da una vita biografica di relazioni, e l’affermazione che in quel caso specifico ( dopo 15 anni di SVP !) doveva decidere la volontà espressa da Eluana.
Questa sentenza ha provocato delle reazioni violentissime: gli avversari hanno parlato di assassinio, di pena di morte, di crisi di civiltà. Questa, dice Mori, è la reazione fortemente emotiva di chi vede il suo paradigma morale messo in discussione e negato: disorientamento, paura, sembra che il mondo gli caschi addosso!
Si demonizza l’avversario, si fa appello alle passioni più irrazionali. In questo senso la vicenda di Eluana rappresenta un caso critico ed esemplare che fa emergere contrasti apparentemente insolubili.
Mori nel libro analizza con rigore logico e razionale le varie e opposte posizioni emerse nella polemica – il libro è stato scritto quando la vicenda non era ancora conclusa – , e dimostra le fallacie logiche spesso usate: false analogie ( Eluana come un bambino che deve essere nutrito), errori scientifici ( dalla SVP si può uscire; morirà con dolore di fame e di sete), ambiguità terminologiche (la nutrizione con sondino gastrico non è una pratica medica, ma “alimentazione naturale” ), ma soprattutto emerge l’inconciliabile difformità di paradigmi morali: è questa la radice profonda dello scontro.
Nuove libertà e nuove responsabilità
Il progresso delle conoscenze biologiche e mediche ci ha spalancato nuovi orizzonti possibili e, in conclusione, nuove libertà e nuovi diritti. Proprio per questo sarà difficile, nonostante i tanti ostacoli, tornare indietro. Mori azzarda una previsione: con tempo ( quanto?) anche la chiesa cattolica integrerà il nuovo paradigma etico dimostrando come si possa adattare con il messaggio cristiano (altre chiese cristiane l’hanno già fatto ora !).
Nella storia è successo tante volte: senza andare al processo a Galileo, considerato eretico per idee che ora la stessa chiesa condivide, si può vedere come il magistero pontificio considerava nell’800 la libertà di opinione e di stampa ( basta rileggersi le condanne durissime e assolute del Sillabo di san Pio IX), o perfino la vaccinazione antivaiolo ( proibita dal papa perché “contro natura”, in quanto mescolava con l’uomo il siero di un animale!).
Mori fin dal titolo richiama un episodio storico: la breccia di porta Pia (1870) e la perdita del potere temporale del papa, giudicata dalla chiesa cattolica per molti decenni successivi una azione blesfema, contro Dio e contro la santa fede, meritevole di scomunica, e ora invece considerata “provvidenziale”.
Peppino Englaro che con dignità e con pacatezza ha sopportato insulti incredibili per dare corso alla volontà della figlia ( l’Avvenire, giornale dei vescovi, ha alluso a lui come “assassino “ ), diventa, in questa prospettiva, un “ eroe nazionale, da additare come esempio ai giovani: senza violenza né rancori, mosso da una straordinaria fortezza d’animo e tenacia, pressoché da solo, ha saputo aumentare lo spazio di libertà di tutti” (Pag. 244)
Ho creduto opportuno che questo libro sia presentato in un sito di gay credenti perché battaglia di Peppino ha, secondo me, ricadute anche nel nostro cammino di cristiani e di gay, e gli strumenti concettuali che Mori focalizza sono essenziali anche per la nostra liberazione: non a caso l’accusa principale contro noi omosessuali è di essere “ contro natura”.
Maurizio Mori, Il caso Eluana Englaro, Pendragon editore, 2008, pag. 244