In Africa sui temi LGBT le posizioni sono molto più sfumate di quanto si pensi
Articolo di Sarah K. Dreier* pubblicato sul sito del quotidiano Washington Post (Stati Uniti) il 7 marzo 2019, liberamente tradotto da Stefano M.
La Chiesa Metodista Unita ha votato recentemente a favore del mantenimento dei vecchi divieti sull’ordinazione di pastori apertamente LGBTQ e sulla celebrazione di matrimoni tra persone dello stesso sesso. I delegati metodisti di tutto il mondo hanno approvato quello che è stato chiamato il “Piano Tradizionale”, e hanno rigettato una proposta alternativa, sostenuta dai vescovi metodisti, che avrebbe permesso alle singole congregazioni di decidere da sole su entrambe le tematiche. Molti metodisti americani, il 60% dei quali sono a favore dell’accettazione dell’omosessualità, sono rimasti costernati dalla decisione e hanno cominciato a parlare di scissione dalla Chiesa a livello mondiale.
Ad ogni modo, la mia ricerca suggerisce che l’opinione dei protestanti sulle tematiche LGBTQ nel “Sud del mondo”, in particolare l’Africa, forse è più sfumata di quanto sembri.
Che cosa è successo alla Conferenza Metodista?
La votazione ha avuto luogo alla fine di una speciale conferenza generale mondiale della UMC (Chiesa Metodista Unita) tenutasi dal 23 al 26 febbraio a Saint Louis, in particolare per esaminare tematiche relative alla sessualità umana. Degli 864 delegati votanti della conferenza, il 41% era costituito da elettori provenienti da fuori degli Stati Uniti, e il 30% provenivano dall’Africa. Il voto non è stato soverchiante; 438 delegati hanno votato in favore del divieto, mentre i contrari sono stati 384, o, in percentuale, il 53% contro il 47%.
Dopo la votazione, gli analisti mediatici hanno messo in evidenza una alleanza tra i delegati conservatori provenienti dagli Stati Uniti, dall’Africa e dal Sud del mondo per sostenere la linea politica della Chiesa, secondo cui “la pratica dell’omosessualità è incompatibile con gli insegnamenti cristiani”.
Delle coalizioni così ampiamente sovranazionali relative alle politiche LGBTQ sono decisamente una novità. I cristiani conservatori degli Stati Uniti e dell’Africa si sono alleati nell’opporsi a movimenti sui diritti LGBTQ anche all’interno di altre confessioni cristiane.
Gli anglicani e i luterani hanno affrontato scismi simili
La Comunione Anglicana mondiale e la Federazione Mondiale Luterana (che rappresentano 85 e 75 milioni di cristiani protestanti, rispettivamente) hanno sofferto di uno scisma sulle politiche LGBTQ.
Negli anni 2000 le chiese anglicane e luterane nel nord America e in Europa iniziarono a ordinare pastori e vescovi che vivevano in coppie dello stesso sesso. I capi africani della chiesa hanno guidato gli sforzi per rigettare queste linee politiche, e hanno criticato queste “azioni unilaterali” prese dalle Chiese “economicamente più avvantaggiate” del Nord del mondo. Per esempio, la Chiesa Anglicana della Nigeria ha rilasciato una dichiarazione secondo cui “Molti di noi dal secondo e dal terzo mondo sentono che il Nord del mondo ancora cerca di mantenere il suo potere e la sua influenza sproporzionati nella nostra Chiesa, così come nel mondo”. Numerosi tra gli organismi africani luterani e anglicani più vasti e potenti hanno reciso ogni legame con le loro controparti statunitensi.
Gli Africani non sono stati soli nel rifiutare i membri LGBTQ della Chiesa. I capi religiosi africani hanno formato coalizioni con i cristiani conservatori americani nell’opporsi all’inclusione delle persone LGBTQ. Alcune congregazioni anglicane americane hanno abbandonato la Chiesa Episcopale, a favore dell’inclusione delle persone LGBTQ, e hanno cercato riparo sotto l’autorità degli arcivescovi nigeriani e ugandesi. Nel contempo, alcuni capi della Chiesa etiope Mekane Yesus si sono coalizzati con i conservatori della Chiesa Luterana – Sinodo del Missouri dopo essersi separati dalla, più grande, Chiesa Luterana Evangelica Americana a seguito della decisione di quest’ultima di consentire alle parrocchie di accogliere pastori LGBTQ.
Le posizioni anti-LGBTQ dei capi delle Chiese africane si allineano in gran parte alle tendenze dell’opinione pubblica di quel vasto continente, dalla mentalità generalmente negativa verso l’omosessualità. Quasi l’80% degli Africani di 33 Paesi, chiamati a rispondere ad un sondaggio nel 2016, hanno affermato che non tollererebbero l’omosessualità. Questi dati corrispondono a quelli dell’opinione pubblica statunitense di 30 anni fa.
Ma alcuni capi delle Chiese africane sono di mentalità più aperta sulla sessualità di quanto questi scismi suggeriscano.
Ad ogni modo, la mia ricerca suggerisce che le ampie tendenze dell’opinione pubblica, le dichiarazioni pubbliche anti-LGBTQ delle Chiese e le coalizioni transnazionali tra Chiese conservatrici possono essere fuorvianti. Ho effettuato quasi 50 colloqui con capi cristiani nazionali e regionali, e con professionisti dello sviluppo basato sulla fede di Kenya, Uganda e Etiopia. Ecco cosa ho scoperto.
Le Chiese africane generalmente si oppongono all’intimità tra persone dello stesso sesso, per motivazioni religiose. Un’eccezione degna di nota è la Chiesa Anglicana del Sud Africa, i cui vescovi si sono decisi nel 2016 ad accogliere membri omosessuali nella Chiesa. (La provincia più vasta del Sud Africa ha successivamente rigettato la risoluzione.)
E tuttavia, i capi che ho intervistato avevano dei livelli di tolleranza verso le minoranze sessuali molto diversi. Parecchi di loro hanno affermato di lavorare per proteggere i membri LGBTQ della loro chiesa, e per costruire un’accettazione a lungo termine delle minoranze sessuali. Una professionista dei diritti umani a livello regionale mi ha detto che i pastori cristiani locali le chiedono regolarmente aiuto per trattare con i loro fedeli LGBTQ, comprenderli, proteggerli dai maltrattamenti fisici e fornirli di supporto psicologico. Per esempio, il vescovo ugandese Christopher Senyonjo ha ricevuto un encomio internazionale per i suoi sforzi di confortare le persone LGBTQ ugandesi e di incoraggiare una più grande accettazione tra i capi religiosi dell’Uganda.
Altri capi intervistati non accettano completamente, né rifiutano le minoranze sessuali. Uno ha affermato: “Mi impegno con le persone LGBTI. […] Penso sia una distorsione completa il definire le persone in base al loro orientamento sessuale. Noi siamo umani. […] Non si può definire l’identità. No. Ciò è una disumanizzazione egoistica”.
Quindi, come spiegare le differenze tra le posizioni pubbliche anti-LGBTQ delle Chiese e alcuni punti di vista, più sfumati, di alcuni capi a livello nazionale? I capi delle Chiese cercano di mantenere autonomia e indipendenza dalle congregazioni straniere. Quando i movimenti per i diritti LGBTQ guadagnavano popolarità in tutta l’Europa dell’Est, i capi religiosi spesso si opponevano a questi movimenti, in quanto forze straniere che minacciavano i valori nazionali.
Conformemente a ciò, un capo tra quelli che ho intervistato era sospettoso sull’influenza di organizzazione straniere sul suo Paese: “Noi viviamo assieme. Loro [le minoranze sessuali] sono nella nostra zona. Sono nella nostra casa. Sono nostri fratelli. Sono nostre sorelle. Nessuno ne parlava, finché non c’è stato un finanziamento e una promozione molto palesi, e la gente ha detto ‘Perché sta avvenendo questo? C’è un interesse straniero?’”.
Questa reazione può essere una risposta all’”omonazionalismo”, ovvero l’uso che fanno le società occidentali del loro atteggiamento LGBTQ per raffigurarsi superiori alle società “arretrate”. I capi delle Chiese africane oppongono resistenza nei confronti dei cristiani occidentali “liberal”, le cui azioni implicano il credere che la loro strada sia la migliore, con degli atteggiamenti che richiamano alla mente il primo nazionalismo e la prima colonizzazione.
Numerosi capi religiosi inclusivi nei confronti delle persone LGBTQ, con sede a Nairobi, mi hanno confidato che le Chiese del Nord del mondo non hanno dato alle loro controparti africane tempo sufficiente per sviluppare un loro approccio e una loro comprensione delle identità LGBTQ. Uno di loro mi ha detto: “Ciò di cui ho disperatamente bisogno, personalmente, è che l’Occidente […] pigi sul freno invece di spingere questo tema LGBTQ […] perché non ci state dando il tempo di comprenderlo”.
In altre parole, politiche transnazionali più vaste influenzano, e spesso soffocano, le risposte delle Chiese africane alle campagne per i diritti LGBTQ. Le pressioni esercitate per accettare le linee politiche straniere possono impedire ai capi religiosi di giungere, o di essere d’esempio pubblicamente, a posizioni sfumate. Le risoluzioni ecclesiastiche, quali ad esempio il voto dei metodisti sulle tematiche LGBTQ, costringono i capi africani ad adottare o cristallizzare posizioni che potrebbero altrimenti essere ancora in divenire. E quando capi come quelli religiosi africani, la cui opinione è molto rispettata e sono molto influenti politicamente, prendono posizioni pubbliche fortemente anti-LGBTQ, è probabile che i loro fedeli ne seguano l’esempio.
* Sara K. Dreier è una ricercatrice post-dottorato all’Università di Washington. Nelle sue ricerche si occupa di politica, religione, e diritti umani per comunità emarginate in Africa Orientale e in tutto il mondo.
Testo originale: Not all Christian leaders in Africa are opposed to LGBTQ inclusion